giorgio
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sabato 20 gennaio 2024
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un po'' di noia
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Un film che, a parte l'ultima parte, trascorre tra la ripetizione di gesti quotidiani dal risveglio alla fine della giornata con un tempo infinito dedicato alla pulizia degli invidiabili gabinetti pubblici di Tokyo, i silenzi ostinati del protagonista che non disdegna qualche sorriso ammiccante alla vita e l'ascolto di brani di successo in musicassetta (per chi ha ancora memoria). Qualcuno, forse più acculturato, troverà elementi di filosofia spicciola di vita ma onestamente sembra arduo passare il tempo seduti per capire persino quello che non si vede. Chi ha buone dosi di immaginazione potrà dispiegarle nella visione di questo film oppure la noia sarà una risorsa.
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Un film che, a parte l'ultima parte, trascorre tra la ripetizione di gesti quotidiani dal risveglio alla fine della giornata con un tempo infinito dedicato alla pulizia degli invidiabili gabinetti pubblici di Tokyo, i silenzi ostinati del protagonista che non disdegna qualche sorriso ammiccante alla vita e l'ascolto di brani di successo in musicassetta (per chi ha ancora memoria). Qualcuno, forse più acculturato, troverà elementi di filosofia spicciola di vita ma onestamente sembra arduo passare il tempo seduti per capire persino quello che non si vede. Chi ha buone dosi di immaginazione potrà dispiegarle nella visione di questo film oppure la noia sarà una risorsa.
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giajr
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sabato 20 gennaio 2024
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un film carico di contenuti e molto studiato
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Si tratta di un film che non deve essere visto come si farebbe con una qualsiasi pellicola; l'autore, il regista, lo sceneggiatore, il costumista, ecc. lo hanno voluto caricare di contenuti, forse, fin in troppo (anche se queste sapienti operazioni non sono mai eccessive).
Il protagonista è un universo di caratteristiche che non si possono elencare tutte, nella certezza che non si sarebbe esaustivi, ma che si possono soltanto citare a titolo esemplificativo: il suo non parlare, il rituale delle sue azioni e quelli giornalieri, la metodica precisione, la sua solitudine, gli sguardi e le espressioni (elementi tutti, frutto di un ben preciso percorso di vita). Poi ci sono gli altri personaggi, anche quelli totalmente secondari, tutti inseriti in questo film in modo non certo casuale, ma con la finalità di darvi un loro peso unico che, inevitabilmente, lo caratterizza: il giovane collega, la ragazza bionda "amica" di quest'ultimo, la proprietaria del ristorante di cui probabilmente il protagonista è attratto, l'ex marito di lei, la libraia, la nipote, la sorella "ricca".
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Si tratta di un film che non deve essere visto come si farebbe con una qualsiasi pellicola; l'autore, il regista, lo sceneggiatore, il costumista, ecc. lo hanno voluto caricare di contenuti, forse, fin in troppo (anche se queste sapienti operazioni non sono mai eccessive).
Il protagonista è un universo di caratteristiche che non si possono elencare tutte, nella certezza che non si sarebbe esaustivi, ma che si possono soltanto citare a titolo esemplificativo: il suo non parlare, il rituale delle sue azioni e quelli giornalieri, la metodica precisione, la sua solitudine, gli sguardi e le espressioni (elementi tutti, frutto di un ben preciso percorso di vita). Poi ci sono gli altri personaggi, anche quelli totalmente secondari, tutti inseriti in questo film in modo non certo casuale, ma con la finalità di darvi un loro peso unico che, inevitabilmente, lo caratterizza: il giovane collega, la ragazza bionda "amica" di quest'ultimo, la proprietaria del ristorante di cui probabilmente il protagonista è attratto, l'ex marito di lei, la libraia, la nipote, la sorella "ricca"... e ancora, che dire delle sceneggiature? Unici gli ambienti: i bagni pubblici che lui pulisce e quello in cui si reca per lavarsi, l'appartamento del protagonista, la sua automobile, i negozi che frequenta, le tavole calde che abitualmente visita per mangiare.
Si tratta davvero di una pellicola che fa riflettere e della quale si potrebbe dire tanto, specialmente e, non per ultimo, in ordine alle scelte di vita a cui, probabilmente, il protagonista è stato chiamato attraverso un suo percorso, del quale non si dice niente ma lo si capisce.
Un film il cui il protagonista è fermo in un passato recente, gli anni '90 e nel quale, per scelta, vuole restare.
Unica critica, forse, un film un po' lento e non per tutti, ma d'altronde è questo che lo caratterizza. Impegnativo ma consigliato.
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venerdì 19 gennaio 2024
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capolavoro assoluto
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Io credo che il segreto della vita sia tutto in questo film, che rappresenta due ore di meditazione pura con tutti i suoi insegnamenti essenziali, come chi pratica sa ... la capacità di vivere nella semplicità dell'adesso; ricordare che ogni momento è nuovo e pieno di potenzialità; ossevare il mondo con curiosità e apertura, con la mente del principiante; vivere la potenza del silenzi e delle domande; scegliere di togliere e scoprire che la vera ricchezza è quella; fare spazio a ogni emozione, alla tristezza, alla rabbia e alle paure; coltivare ciò che nutre nel pieno rispetto di se stessi, così come avere la capacità di dire no a ciò che ci danneggia; assecondare i cambiamenti con fiducia, perché la natura è questa.
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Io credo che il segreto della vita sia tutto in questo film, che rappresenta due ore di meditazione pura con tutti i suoi insegnamenti essenziali, come chi pratica sa ... la capacità di vivere nella semplicità dell'adesso; ricordare che ogni momento è nuovo e pieno di potenzialità; ossevare il mondo con curiosità e apertura, con la mente del principiante; vivere la potenza del silenzi e delle domande; scegliere di togliere e scoprire che la vera ricchezza è quella; fare spazio a ogni emozione, alla tristezza, alla rabbia e alle paure; coltivare ciò che nutre nel pieno rispetto di se stessi, così come avere la capacità di dire no a ciò che ci danneggia; assecondare i cambiamenti con fiducia, perché la natura è questa. Un capolavoro assoluto.
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angelo umana
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giovedì 18 gennaio 2024
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una vita tranquilla
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Wim Wenders ha 78 anni, ci regala un film di quiete, che predispone alla calma, al vivere semplice. Ha “creato” il protagonista Hirayama il cui viso e gesti comunicano pace, dall'apparente età di 50-60 anni, ma in questo caso l'attore è Koji Yakusho che di anni ne ha 67, benissimo portati. Dev'essere allora una calma dell'età adulta, la più augurabile forse. Wenders ci ha portati a Tokyo questa volta, non è più la Berlino e il suo cielo né la Parigi del Texas: un dedalo di strade, un groviglio architettonico moderno ben congegnato, dove tutto è ben funzionante, dove pare che la cortesia tra le persone predomini, e forse un po' di solitudini.
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Wim Wenders ha 78 anni, ci regala un film di quiete, che predispone alla calma, al vivere semplice. Ha “creato” il protagonista Hirayama il cui viso e gesti comunicano pace, dall'apparente età di 50-60 anni, ma in questo caso l'attore è Koji Yakusho che di anni ne ha 67, benissimo portati. Dev'essere allora una calma dell'età adulta, la più augurabile forse. Wenders ci ha portati a Tokyo questa volta, non è più la Berlino e il suo cielo né la Parigi del Texas: un dedalo di strade, un groviglio architettonico moderno ben congegnato, dove tutto è ben funzionante, dove pare che la cortesia tra le persone predomini, e forse un po' di solitudini. Insieme all'altro film di questi giorni, Viaggio in Giappone con Isabelle Huppert, ci fa desiderare di andare almeno una volta nel Paese del Sol Levante. Tutto è così ben funzionante e pulito: Hirayama concorre nella sua mansione a tenere coscienziosamente, accuratamentepulite The Tokyo toilets, così è scritto sulla sua tuta, perennemente sereno cortese paziente silenzioso, chiunque incontri.
Sorride a ogni nuovo giorno nell'aprire la sua porta e partire col suo furgoncino verso il lavoro, che svolge impeccabile. Ha un'abitazione piccola ed essenziale, per la doccia e la sauna và ai bagni pubblici, và in biblioteca per il prestito libri, ogni sera legge sul suo tatami prima di addormentarsi. E fà bei sogni, sereni anch'essi, ma in bianco e nero. Spruzza ogni mattino dell'acqua sulle sue piantine raccolte nei parchi. Ecco, i parchi, gli alberi suoi amici che tanto osserva e fotografa con la sua macchinetta fotografica strettamente analogica o tradizionale, le cui foto sono da far sviluppare e stampare. E' legato alle sue (le mitiche) audiocassette che ascolta nel furgoncino: è musica rock o soul degli anni 60 e 70.
Dei suoi anni precedenti nulla sappiamo ma tant'è, lui stesso lo dice alla nipotina che improvvisamente gli fa visita ed è fuggita da casa: c'è un'altra volta e c'è adesso. I suoi sono Perfect days in una vita perfettamente uguale: ha incontri umani sporadici, routinari o di necessità, di percorsi ben collaudati che non lo sorprendano. Ed è un po' questa la cosa che impensierisce - ma così ha disegnato Wenders il nostro Hirayama (a cui cmq. un po' ci si affeziona) – un uomo solo che non coltiva amicizie, non ha lunghi discorsi da tenere e nemmeno scambi profondi con altri esseri umani. L'unico “avvenimento” nella sua vita tranquilla avviene in chiusura, è una piacevole inaspettata sorpresa: un uomo sconosciuto più talkative o più comunicativo gli si avvicina per strada una sera, inventa con lui discorsi non importanti, giocano perfino a calpestarsi le rispettive ombre, per vedere se un'ombra sovrapposta all'altra cambia di intensità. E giocare, comunicare, avere scambi, è salutare, serve!
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figliounico
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giovedì 18 gennaio 2024
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un film quasi perfetto
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Perfect days è il tentativo riuscito di Wim Wenders di girare un film nello stile del suo amato maestro, Yasujir? Ozu, già celebrato con Tokio-Ga, documentario del 1985 che si apriva con queste testuali parole dello stesso Wenders: “Se nel nostro secolo ci fossero ancora delle cose sacre…per me questo sarebbe l’opera del regista giapponese Yasujiro Ozu, Mai prima di allora il cinema è stato così vicino alla sua essenza e alla sua funzione”. Nel gioco della sovrapposizione delle ombre del protagonista, uno straordinario K?ji Yakusho, che rappresenta l’alter ego del regista nel film, con l’ex marito della donna segretamente amata, che gli confida di avere un tumore allo stadio terminale, è rappresentato simbolicamente l’incontro con lo spirito di Ozu, non a caso morto di cancro, che lo invita, in un ideale passaggio di consegna, a prendersi cura della sua ex consorte, ossia di ciò che resta dell’anima più profonda ed antica del Giappone.
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Perfect days è il tentativo riuscito di Wim Wenders di girare un film nello stile del suo amato maestro, Yasujir? Ozu, già celebrato con Tokio-Ga, documentario del 1985 che si apriva con queste testuali parole dello stesso Wenders: “Se nel nostro secolo ci fossero ancora delle cose sacre…per me questo sarebbe l’opera del regista giapponese Yasujiro Ozu, Mai prima di allora il cinema è stato così vicino alla sua essenza e alla sua funzione”. Nel gioco della sovrapposizione delle ombre del protagonista, uno straordinario K?ji Yakusho, che rappresenta l’alter ego del regista nel film, con l’ex marito della donna segretamente amata, che gli confida di avere un tumore allo stadio terminale, è rappresentato simbolicamente l’incontro con lo spirito di Ozu, non a caso morto di cancro, che lo invita, in un ideale passaggio di consegna, a prendersi cura della sua ex consorte, ossia di ciò che resta dell’anima più profonda ed antica del Giappone. Le due ombre sovrapponendosi formeranno un’ombra più scura? In questa domanda c’è l’angoscia di Wenders di capire se il suo messaggio anticonformista, replicando quello di Ozu, sarà più forte ed incisivo, ma anche la triste consapevolezza dell’impermanenza di tutte le cose. A parte la storia, semplice e con pochi elementi narrativi, con dialoghi scarni ed essenziali, giustificati dalla vita solitaria del protagonista chiuso in un magniloquente mutismo, che in sé stessa è la riproposizione del cinema minimalista di Ozu, e la tecnica di ripresa, che nell’inquadratura a mezzo busto mima quella famosa ad altezza tatami di Ozu, molteplici rinvii alla sua opera sono sparsi qua e là, alla stregua di semi pronti a sbocciare per formare nell’animo dello spettatore un angolo di bellezza nell’orrendo panorama contemporaneo, come il piccolo giardino di piantine curato dal protagonista, un’oasi di serenità e di vita nel deserto cementificato della metropoli, su cui svetta mostruosa la torre, simbolo della modernità, presente anche nelle inquadrature iniziali di Tardo autunno. Il mono no aware, tema che permea tutta l’opera di Ozu, si manifesta implicitamente nelle foto scattate ogni giorno allo stesso paesaggio, come a voler fermare il tempo che fugge via inesorabile, ed esplicitamente nella battuta della ristoratrice, che, in modo apparentemente gratuito, dice ai tre avventori del suo locale che vorrebbe che tutto rimanesse uguale come in quel momento. Al parco, nella pausa pranzo del protagonista, nella panchina accanto alla sua siede una giovane donna silenziosa che sembra essere una materializzazione di Noriko, uno dei personaggi ricorrenti nei film di Ozu. Un'altra incarnazione di Noriko è nella nipote adolescente che ha la sua stessa sensibilità, dimostrata dall’interesse per le medesime letture dell’uomo, in particolare per Urla d’amore, un romanzo di Patricia Highsmith scrittrice molto amata da Wenders che da una sua opera ha tratto il film L’amico americano del ’77. La vecchia macchina fotografica che lo zio le ha regalato è un simbolo analogo all’orologio che il suocero dona a Noriko in Viaggio a Tokyo; in entrambi i casi il dono degli oggetti rappresenta il passaggio di testimone da una generazione all’altra, ovvero il compito di assicurare il perpetuarsi delle antiche tradizioni nel tempo. Che il protagonista sia un uomo contro corrente, un uomo estraneo alla nostra epoca dominata da concitate chiacchiere televisive e verbosità massmediatiche aggressive, è reso icasticamente evidente nella sequenza nella quale la sua auto viaggia solitaria sulla tangenziale di Tokyo mentre nella direzione opposta c’è una lunga fila di auto in marcia. Wenders ha sfiorato la perfezione, che avrebbe raggiunto se l’ultima sequenza, che passerà comunque alla storia del cinema, con l’alternarsi emotivamente impattante delle contrastanti espressioni facciali di K?ji Yakusho, giustamente vincitore a Cannes del premio per la miglior interpretazione maschile, fosse durata soltanto trenta secondi di meno. La visione è consigliata a chi vuole, almeno per la durata del film, sentirsi in pace con il mondo e con sé stessi. All’uscita ci attende il consueto caos.
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giampaolo
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giovedì 18 gennaio 2024
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sopravvalutato !!! 2 ore (quasi) inutili in 4:3
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Wenders ha messo solo la firma come regista, per il resto è un film giapponese, lento, banale, in 4:3, sopravvalutato, il trayler è ampiamente fuorviante.
Ho visto film più interessanti di Wenders. Evidentemente gli anni di età pesano anche per lui. Se almeno la durata fosse stata di 90 minuti sarebbe stato meno pesante. Musiche ok ma spesso sono interrotte bruscamente.
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giovedì 18 gennaio 2024
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film che delude
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Noioso....tutto in un unica parola
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kukkurella
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giovedì 18 gennaio 2024
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noia
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Dialoghi al minimo indispensabile,forse avevo aspettative troppo alte (voglio assumermi le mie responsabilità), ma l'ho trovato lungo e x questo noiosissimo,mi diventa difficile anche commentarlo... colonna sonora degna di nota unica cosa a mio parere davvero bella.... ma ill resto,noia!
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no_data
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mercoledì 17 gennaio 2024
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sulla scia di ozu
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Tra tante le tante, una cosa ho visto: la continuità e la risposta agli interrogativi di un grande del cinema giapponese Yasujiro Ozu. Tutto parte da lui e a lui ritorna. I temi centrali che Ozu poneva, di dove sarebbe andato il popolo e il sentimento giapponese, nel confronto e dilemma tra tradizione e progresso, trovano nel film di Wenders una risposta aggiornata e precisa: il progresso tecnico serve se è buono, se è usato a misura del proprio "mondo", è cattivo se al progresso deleghiamo il nostro mondo e questo non riesce a distinguersi dai mondi altrui che a quel progresso si votano. Una stellina in meno, per un eccesso di compiacimento intellettuale, a voler far sapere che il regista le cose le sa, e toglie un po' il senso poetico che l'ambiguità degli spunti narrativi potrebbero offrire.
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Tra tante le tante, una cosa ho visto: la continuità e la risposta agli interrogativi di un grande del cinema giapponese Yasujiro Ozu. Tutto parte da lui e a lui ritorna. I temi centrali che Ozu poneva, di dove sarebbe andato il popolo e il sentimento giapponese, nel confronto e dilemma tra tradizione e progresso, trovano nel film di Wenders una risposta aggiornata e precisa: il progresso tecnico serve se è buono, se è usato a misura del proprio "mondo", è cattivo se al progresso deleghiamo il nostro mondo e questo non riesce a distinguersi dai mondi altrui che a quel progresso si votano. Una stellina in meno, per un eccesso di compiacimento intellettuale, a voler far sapere che il regista le cose le sa, e toglie un po' il senso poetico che l'ambiguità degli spunti narrativi potrebbero offrire. Comunque un film importante, non una narrazione, ma un manifesto di vita.
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writer58
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martedì 16 gennaio 2024
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la casa del sol levante
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Hirayama si sveglia il mattino presto all’interno di una casa quasi spoglia: solo un futon, una libreria con molte edizioni economiche, decine e decine di audiocassette, un comò, un tavolo basso.
Hirayama si sveglia il mattino e compie sempre gli stessi gesti: si alza, va in bagno, si rade, si veste, innaffia le piante, scende mezzo piano di scale, prende le chiavi da una mensola, apre la porta di casa e guarda la luce del primo mattino. E’ sereno, il volto gli si illumina di contentezza, mentre scorge il profilo delle case e il cielo sopra di lui. Prende un caffè da un distributore automatico, sale su una vettura e s’inoltra nelle strade trafficate che attraversano la gigantesca città di Tokio.
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Hirayama si sveglia il mattino presto all’interno di una casa quasi spoglia: solo un futon, una libreria con molte edizioni economiche, decine e decine di audiocassette, un comò, un tavolo basso.
Hirayama si sveglia il mattino e compie sempre gli stessi gesti: si alza, va in bagno, si rade, si veste, innaffia le piante, scende mezzo piano di scale, prende le chiavi da una mensola, apre la porta di casa e guarda la luce del primo mattino. E’ sereno, il volto gli si illumina di contentezza, mentre scorge il profilo delle case e il cielo sopra di lui. Prende un caffè da un distributore automatico, sale su una vettura e s’inoltra nelle strade trafficate che attraversano la gigantesca città di Tokio. Ascolta la musica, una compilation del rock e del folk degli anni ’70: Lou Reed, Nina Simone, i Velvet Underground, The house of rising sun, magari pensando che nel paese del sole levante, a quell’ora del mattino, è proprio la canzone giusta.
Hirayama inizia il suo giro dei bagni pubblici. Indossa una maglia su cui c’è scritto, in Inglese “the Tokio toilet”. Li pulisce con estrema cura, usando anche uno specchietto per vedere se c’è dello sporco negli angoli più nascosti, li lascia splendenti e immacolati.
Hirayama si concede un sandwich su una panchina del parco come pausa pranzo, prima di riprendere il suo giro. A volte, prima di tornare a casa, si ferma in un bar, dove la padrona lo conosce e gli riserva un trattamento di favore.
Hirayama quasi non parla, non è muto, è in grado di articolare le parole. Ma anche così, sembra procedere per sottrazione. Parla con un bambino che si è perduto e con la nipote che lo viene a trovare dopo anni di separazione, ma anche in quel caso usa meno parole possibili, come se fosse un monaco che ha fatto un voto di silenzio.
Hirayama sembra contento della sua vita, che scorre su binari sempre uguali, con poche esili variazioni, pare aver saldato un debito col passato. Apprendiamo da un’intervista al regista che, in passato, era un uomo di affari che svolgeva un lavoro intenso e stressante e che, a un certo punto, ha deciso di cambiare radicalmente vita.
La ripetizione delle sue giornate, scandite dalle abitudini quotidiane (la narrativa di Faulkner e della Highsmith, la fotografia usando una vecchia macchina degli anni ’90) producono in chi guarda un effetto simile a quello di una melodia che trae forza dalla reiterazione del suo tema centrale inserendo le variazioni dentro un modulo ipnotico che incatena l’attenzione dello spettatore.
E’ un film, come dice lo stesso protagonista (uno splendido Koji Jakuso) centrato sull’adesso, su quello spartiacque virtuale che separa il passato dal futuro, su quel presente che in Occidente e non solo viene eroso da aspettative, fughe in avanti, nevrosi e rimpianti.
Hirajama è un personaggio magnifico: ha un profondo rispetto per gli altri e per il suo ambiente, vive il suo quotidiano con pienezza e, a suo modo, intensità. Ha scoperto che la gioia si alimenta di ciò che è essenziale e che il vuoto è spesso più pregnante dell’accumulazione compulsiva di oggetti, parole, relazione, soldi, beni materiali.
Wenders ha realizzato un film meraviglioso, in linea con la sua produzione migliore. Dopo i documentari Pina e Il Sale della Terra, che sembravano sconfinare nella narrativa, ci regala un’opera di fiction rigorosa come un documentario e, al contempo, poetica.
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(di samanta)
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(di paolorol)
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