athos
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lunedì 8 gennaio 2024
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colpito e affondato
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Wim Wenders colpisce il circoletto più piccolo del bersaglio interiore girando un film "grande", che non riesco a descrivere tanto è l'intensità del messaggio. Sforzandomi, interrompendo controvoglia il silenzio del protagonista, sceglierei queste tre parole: libertà, gentilezza, altruismo. Bellissime le canzoni. All'uscita dalla sala potreste avere il desiderio di abbracciare la prima persona che incontrate.
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volontã¨78
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lunedì 8 gennaio 2024
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nel cuore della vita
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Non trascurare qualsiasi sfumatura che questa vita ci offre, senza mai perdere di vista la nostre debolezze umane, per nutrirci delle vibrazioni che la natura dona a noi. E' la lezione che Wim Wenders e lo stupefacente Koji Yakusho ci insegnano in questo ritratto della vita con dedica ad Ozu.
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folignoli
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lunedì 8 gennaio 2024
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un film che poteva racchiudersi in un corto
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Un uomo d'altri tempi che ascolta la musica tramite le musicassette: quindi musica su nastro, su un supporto fisico, che riproduce i suoni in maniera decisamente più armoniosa rispetto al digitale odierno. Questo dice la ragazza del collega di Hirayama, una biondina annoiata dal fidanzato Takashi, ma in grado di avere un sussulto ascoltando vecchi brani nell'auto. Takashi misura ogni cosa su una scala da 1 a 10: le possibilità di far innamorare Aya sono solo 2 su 10, la cordialità di Hirayama 9 su 10. In questo microcosmo che viene incredibilmente ricreato in una metropoli come Tokio, ove il trambusto ed il traffico sembra apparentemente lontano, alberga Hirayama, un sessantenne atipico che svolge meticolosamente un lavoro sporco, umile, come quello di pulitore di bagni pubblici.
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Un uomo d'altri tempi che ascolta la musica tramite le musicassette: quindi musica su nastro, su un supporto fisico, che riproduce i suoni in maniera decisamente più armoniosa rispetto al digitale odierno. Questo dice la ragazza del collega di Hirayama, una biondina annoiata dal fidanzato Takashi, ma in grado di avere un sussulto ascoltando vecchi brani nell'auto. Takashi misura ogni cosa su una scala da 1 a 10: le possibilità di far innamorare Aya sono solo 2 su 10, la cordialità di Hirayama 9 su 10. In questo microcosmo che viene incredibilmente ricreato in una metropoli come Tokio, ove il trambusto ed il traffico sembra apparentemente lontano, alberga Hirayama, un sessantenne atipico che svolge meticolosamente un lavoro sporco, umile, come quello di pulitore di bagni pubblici. La sua vita è ciclica: nel film appaiono ripetuti, i vari gesti della vita quotidiana. Sveglia all’alba, barba, lavaggio denti, lattina presa alle macchinette automatiche, rigorosamente bevuta nel suo furgoncino blu. Una solitudine che scorre senza tristezza: lui è un uomo solitario ma felice, che fotografa gli alberi con una vecchia macchina fotografica analogica e fa stampare le foto, tutte uguali. Il film scorre così senza grandi sussulti, nella apatia bonaria di questo stupendo attore, dal volto buono. Kôji Yakusho regge il film da solo, col suo viso dolcissimo e con pochissime parole. Wenders ha la stoffa del regista che gira i suoi film col cuore – in un mercato dove non esistono più film fatti col cuore – tuttavia il film non decolla mai e le scene troppo spesso ripetute, rischiano di abbassare di molto il peso specifico di un’opera che avrebbe potuto avere un’altra valenza, se avesse avuto una sceneggiatura leggermente più corposa.
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uppercut
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domenica 7 gennaio 2024
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pulire
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Per capire cosa vi è successo dopo aver visto Perfect days, fate una cosa: tornate a casa e guardatevi qualsiasi prodotto identificato da una bella "N" rossa. Tempo necessario: venticinque minuti, non di più. Dovrete correre via. Avete in mente? come quando entrate in un cesso su un treno, a fine giornata, e il disgusto impone un'unica scelta: tenersela fino alla stazione d'arrivo. Ecco, lì capite che Perfect days è molto più di un film. E' una sorta di consiglio estremo, dato mentre l'alba pare un tramonto (o viceversa), dal mondo delle ombre a quello dei vivi (o viceversa), ridendo con gli occhi che piangono (o viceversa): non c'è che pulire.
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Per capire cosa vi è successo dopo aver visto Perfect days, fate una cosa: tornate a casa e guardatevi qualsiasi prodotto identificato da una bella "N" rossa. Tempo necessario: venticinque minuti, non di più. Dovrete correre via. Avete in mente? come quando entrate in un cesso su un treno, a fine giornata, e il disgusto impone un'unica scelta: tenersela fino alla stazione d'arrivo. Ecco, lì capite che Perfect days è molto più di un film. E' una sorta di consiglio estremo, dato mentre l'alba pare un tramonto (o viceversa), dal mondo delle ombre a quello dei vivi (o viceversa), ridendo con gli occhi che piangono (o viceversa): non c'è che pulire. Se tutto vi pare una merda, non c'è che pulire. Pulire i cessi sporchi, pulire il mondo e noi stessi ma, soprattutto, pulire lo sguardo. Come? Con umile, paziente, attenta applicazione quotidiana. Armati di uno spruzzino per le piante e magari anche di una macchinetta analogica, tanto per non farsi prendere dalla fretta. Perfect days è un film urgente per chi ha la fortuna di poterlo andare a vedere, non tanto per chi l'ha realizzato. Ed è per questo un dono, un dono di cui non ci dimenticheremo, nipotini di uno zio su cui si può contare quando c'è da trovare un rifugio. Grazie.
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vincenzo ambriola
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domenica 7 gennaio 2024
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il tempo ciclico
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Siamo a Tokyo e osserviamo la vita di Hirayama, un addetto alle pulizie delle toilette pubbliche. Una persona metodica, che si impegna in un'attività che nessuno di noi vorrebbe fare. La cura con cui si occupa delle "sue" toilette è pari a quella che dedica al suo corpo e alla sua anima. Solitario ma non emarginato, frequenta piccoli bar, lavanderie e un ristorante a gestione familiare, in cui incontra persone che lo conoscono e ne rispettano il silenzio, apprezzando il sorriso e la serenità che irradia il volto da giovane anziano. Wim Wenders costruisce questo splendido film usando pochi ma sapienti ingredienti: la musica, energica ma a volte emozionale; la città di Tokyo, incoerentemente coperta da edifici moderni e piccole case slabbrate; la natura.
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Siamo a Tokyo e osserviamo la vita di Hirayama, un addetto alle pulizie delle toilette pubbliche. Una persona metodica, che si impegna in un'attività che nessuno di noi vorrebbe fare. La cura con cui si occupa delle "sue" toilette è pari a quella che dedica al suo corpo e alla sua anima. Solitario ma non emarginato, frequenta piccoli bar, lavanderie e un ristorante a gestione familiare, in cui incontra persone che lo conoscono e ne rispettano il silenzio, apprezzando il sorriso e la serenità che irradia il volto da giovane anziano. Wim Wenders costruisce questo splendido film usando pochi ma sapienti ingredienti: la musica, energica ma a volte emozionale; la città di Tokyo, incoerentemente coperta da edifici moderni e piccole case slabbrate; la natura. Ma il vero protagonista è il tempo, che scorre ciclicamente, facendo ripercorrere a Hirayama gesti sempre uguali ma mai identici. Questa visione del tempo ciclico, fortemente connaturata in noi da non essere più percepita consapevolmente, colpisce e stupisce, invitandoci a fermarci e a riflettere su ciò che siamo e ciò che facciamo. Solo allora potremmo renderci conto che pulire le toilette o dirigere una grande azienda in realtà sono la stessa cosa.
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lucmin
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domenica 7 gennaio 2024
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un film-meditazione
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Tutti i film di Wim Wenders che avevo visto fin qui (penso al Cielo sopra Berlino, Buena Vista Social Club, Il sale della Terra) avevano una storia, erano un vero e proprio racconto, accadevano cose. E, senza aver letto nulla prima, mi ero preparato a un nuovo racconto, a seguire una storia con un inizio, un percorso narrativo e una fine. Perfect Days, ambientato a Tokyo non è così, non ha nulla a che fare con tutti quei precedenti, se non una colonna sonora ben assortita, da Lou Reed, a van Morrison a Patty Smith a The house of Rising Sun in versione originale e in quella giapponese, e così via. Per il resto non ti devi aspettare che accada nulla, se non un’apparente ripetizione di gesti sempre uguali della vita quotidiana di Hirayama, sessantenne che vive solo in un monolocale di un quartiere povero: dal risveglio al sonno della notte, con brevi tracce di sogni indefiniti.
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Tutti i film di Wim Wenders che avevo visto fin qui (penso al Cielo sopra Berlino, Buena Vista Social Club, Il sale della Terra) avevano una storia, erano un vero e proprio racconto, accadevano cose. E, senza aver letto nulla prima, mi ero preparato a un nuovo racconto, a seguire una storia con un inizio, un percorso narrativo e una fine. Perfect Days, ambientato a Tokyo non è così, non ha nulla a che fare con tutti quei precedenti, se non una colonna sonora ben assortita, da Lou Reed, a van Morrison a Patty Smith a The house of Rising Sun in versione originale e in quella giapponese, e così via. Per il resto non ti devi aspettare che accada nulla, se non un’apparente ripetizione di gesti sempre uguali della vita quotidiana di Hirayama, sessantenne che vive solo in un monolocale di un quartiere povero: dal risveglio al sonno della notte, con brevi tracce di sogni indefiniti. Negli intervalli del suo lavoro, ascolta vecchie audiocassette e fotografa su pellicola il sole che filtra fra gli alberi, sempre gli stessi. Il suo legame indissolubile col passato, di cui possiamo solo intuire rotture e traumi, si manifesta nell’uso di tecnologie obsolete e ricordi musicali. Pochissime parole, Hirayama tiene tutto dentro, ascolta tutto e dice solo l’essenziale. Il protagonista, interpretato da Koji Yakusho, premiato come miglior attore al Festival di Cannes, è un vero e proprio artista, applica la sua sensibilità, la cura, l’attenzione ai dettagli, la gentilezza, il rispetto per gli altri, a tutto ciò che fa nella vita quotidiana. Poco importa se il suo lavoro è quello di pulire le toilette pubbliche, man mano che le immagini si snodano davanti allo spettatore si può cogliere la sua parentela stretta con gli altri artisti raccontati da Wenders nei film precedenti: l’acrobata, il fotografo, i musicisti. Se scopri che la lingua giapponese ha un vocabolo, komorebi, che significa “il riflesso del sole tra le foglie degli alberi”, allora comprendi come le piantine di cui si prende cura e gli alberi fotografati da lui e da Wim Wenders riportano al lavoro immenso fatto in una vita da Sebastiao Salgado e da sua moglie. E se leggi che subito prima della pandemia venti grandi firme dell’architettura giapponese avevano disegnato 15 toilette pubbliche in varie zone della città, comprendi che l’arte può essere davvero ovunque, nelle cose più banali e “sporche” (che pulite con grande cura possono risplendere) ma il nostro sguardo spesso non la vede se non è preso per mano dalla visione illuminante di un artista. E pensi che un film così in Italia non si potrebbe mai fare per il semplice fatto che da noi i bagni pubblici (gratuiti) sono scomparsi del tutto, come tutto ciò che era e dovrebbe essere pubblico. Non perdetevi questo film, ma andateci con l’attesa di sedervi per meditazione visiva (e auditiva). E se ci andate in compagnia di qualcuno sarà inevitabile, alla fine, scambiarvi le impressioni di straniamento di ciascuno, diversi per quanto ognuno di noi è originale e diverso dagli altri. Alla fine del film potremo ripensare in altro modo il senso dell’espressione “cogli l’attimo” e ringraziare Wenders.
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paperinik
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sabato 6 gennaio 2024
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che gioia ritrovare i registi veri!
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Quattro stelle e mezzo. Poetica sospesa nel silenzio e nella distensione. La rielaborazione dei sogni fa tornare al cinema madgli anni venti. Vien voglia di visitare Tokyo, di recuperare le musicassette e il "mangianastri" per ascoltare Lou Reed. Vien voglia di abbracciare il protagonista: una prova attoriale superlativa. Viva il Giappone, viva la Germania.
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francesca meneghetti
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venerdì 5 gennaio 2024
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la nuda perfetta felicità interiore
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Al contrario di certi film che puntano sul ritmo, la velocità, su cambi rapidissimi di scena, l’ultimo film di Wenders si svolge all’insegna di una pacata lentezza e della reiterazione, strumento necessario per far entrare lo spettatore nel mondo di Hirayama, un filosofo silenzioso, che di mestiere pulisce i cessi. Detto così è orribile, ma tutto il peggio che può essere evocato da questo lavoro – sporcizia di ogni genere, puzza – viene reso asettico perché non conta nulla per il protagonista.
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Al contrario di certi film che puntano sul ritmo, la velocità, su cambi rapidissimi di scena, l’ultimo film di Wenders si svolge all’insegna di una pacata lentezza e della reiterazione, strumento necessario per far entrare lo spettatore nel mondo di Hirayama, un filosofo silenzioso, che di mestiere pulisce i cessi. Detto così è orribile, ma tutto il peggio che può essere evocato da questo lavoro – sporcizia di ogni genere, puzza – viene reso asettico perché non conta nulla per il protagonista. Hirayama è un uomo metodico, ordinato, che si alza al mattino, e, come in un rituale, ripiega il futon, ripone su uno scaffale il libro che ha letto prima di addormentarsi, innaffia le piantine, si lava, si sbarba, indossa la tuta da lavoro, esce e guarda il cielo, sorridendo. Anche nel lavoro è impeccabile: tutti i sanitari devono uscire lustri al suo passaggio, a costo di controllare con uno specchietto le superfici nascoste. È il suo lavoro, e va fatto con dignità e amore, come qualsiasi altro lavoro. Hirayama è un uomo di poche parole, un solitario, che sta bene con se stesso, ma dedica cura agli altri esseri umani, soprattutto a quelli in difficoltà (un bambino che si è allontanato dalla mamma, un giovane collega svampito, un barbone, il ragazzo del bar, un malato terminale, la nipote adolescente fuggita di casa). Come l’angelo di Un cielo sopra Berlino. Non li disdegna, è disponibile, ma resta libero da legami. Ama la lettura (nella sua modesta casetta incastonata tra i grattacieli di Tokio ha una libreria nutritissima). Ama fotografare, con una vecchia macchina analogica che richiede il rullino e la stampa. Ama la musica, che ascolta in auto da cassette diventate oramai oggetto di culto. Si snoda così una magnifica colonna sonora (almeno da un punto di vista “boomer”), che parte dalla magnifica The house of the rising sun” degli Animals (eseguita due volte: ma siamo nel paese del sol Levante), e transita attraverso canzoni di Patti Smith, Lou Reed, Van Morrison e altri. Hirayama ha un passato, che non viene rivelato compiutamente, probabilmente un fallimento. Proviene da una famiglia molto benestante (a giudicare dall’auto, con autista, con cui sua sorella viene a riprendersi la figlia), ha avuto problemi con il padre. Ma tutto questo non conta più. Il passato ritorna nei sogni in bianco e nero, dove immagini confuse e sfocate del passato si sovrappongono ai fotogrammi delle chiome degli alberi che lui fotografa in un parco, durante la pausa pranzo. L’iterazione delle scene di vita quotidiana, che imprime al film un andamento a spirale, non annoia lo spettatore, ma lo avvolge. Crea un’atmosfera immersiva che fa riflettere: che cosa è veramente essenziale nella nostra vita? E cosa risponde invece a bisogni indotti e artificiali? E se il segreto della felicità fosse proprio quello di privarvi dell’inutile, come fece Terzani accingendosi a morire, per sorridere alle piccole cose umili e belle della vita? La fotografia è stupenda ed evidenzia il contrasto tra l’ipertecnologica capitale del Giappone e il piccolo mondo dimesso, la nicchia ecologica, che Hirayama ha saputo ritagliarsi. L’interpretazione di Koji Yakusho (Palma d’oro a Cannes) è appunto da Palma d’oro. Quarant’anni fa Wenders usciva con un altro capolavoro, Paris Texas. Ho ritrovato delle analogie con quel protagonista: il mutismo, la solitudine, un passato da dimenticare, ma lo sguardo al cielo, e il potere consolatorio della musica.
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[+] non ho parole
(di mauridal )
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(di sandra nesti)
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(di nino pellino)
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(di writer58)
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cinnacla
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venerdì 5 gennaio 2024
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10/10
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Delicato, profondamente leggero, esteticamente appagante, in una parola perfetto. L'impressione è quella di venire trascinati nella routine del protagonista fino a viverla quasi in prima persona, come sotto l'effetto di una potente ipnosi da cui non ci si può e non ci si vuole mai risvegliare. Hirayama vive "nel suo mondo", uno dei tanti possibili, così lontano dalla nostra realtà ma così affine alla nostra anima al punto da farci uscire dalla sala anche noi un po' guariti.
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