Un’altra esordiente nella regia in una stagione del cinema italiano ricca di opere prime. Micaela Ramazzotti vi è arrivata non certo da sconosciuta avendo alle spalle una carriera di successo da attrice, sul grande e sul piccolo schermo, iniziata da giovanissima. Con Felicità si è messa alla prova anche dietro la macchina da presa pur senza rinunciare all’interpretazione della protagonista, Desiré, personaggio che le è congeniale. Intorno a lei o meglio contro di lei, nella Roma contemporanea, una serie di squallidi personaggi, mostri a cui Dino Risi, negli anni ’60 e nell’Italia del boom economico, diede questo appellativo nel film che intitolò appunto I Mostri.
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Un’altra esordiente nella regia in una stagione del cinema italiano ricca di opere prime. Micaela Ramazzotti vi è arrivata non certo da sconosciuta avendo alle spalle una carriera di successo da attrice, sul grande e sul piccolo schermo, iniziata da giovanissima. Con Felicità si è messa alla prova anche dietro la macchina da presa pur senza rinunciare all’interpretazione della protagonista, Desiré, personaggio che le è congeniale. Intorno a lei o meglio contro di lei, nella Roma contemporanea, una serie di squallidi personaggi, mostri a cui Dino Risi, negli anni ’60 e nell’Italia del boom economico, diede questo appellativo nel film che intitolò appunto I Mostri. Mostri in carne ed ossa, oggi come allora, ben più pericolosi di quelli partoriti dalla fantasia. I mostri di Desiré sono innanzi tutto i genitori (Anna Galiena e Max Tortora) che l’hanno cresciuta con scarsa considerazione, svalutandola di continuo per meglio far leva sul suo buon cuore e la sua ingenuità ed estorcerle soldi. Il compagno (Sergio Rubini), un professore universitario che si vergogna di lei, dei suoi strafalcioni linguistici, la svilisce, tipico narcisista che le rimane legato, a quanto pare, solo per un’attrazione fisica, pronto a lasciarla appena incontra la donna “giusta” da cui avere un figlio. Intanto sul set dove fa la parrucchiera deve difendersi da aggressioni e avances sessuali che ha conosciuto appena bambina quando fu abusata dallo zio mentre “mamma e papà” erano troppo impegnati a godersi la bella villa al mare messa a disposizione proprio dal parente predatore. Due brutti ceffi mandati dalla finanziaria con la quale si è sentita costretta a firmare un prestito a favore della famiglia, la minacciano ripetutamente. Un contorno devastante dunque, al quale però Desiré non soccombe, anzi trova in sé la forza e l’energia per resistere e aiutare il fratello Claudio (Matteo Olivetti), un ragazzo fragile che vede in un gesto autolesionista l’unica possibilità per sottrarsi alle manipolazioni dei genitori. Lo salveranno l’amore, e i risparmi, della sorella che lo farà curare in una clinica per disturbi mentali.
Una storia con tutti gli ingredienti per portare sugli schermi certe drammatiche realtà di ambienti socialmente marginali. Alla fotografia e al montaggio due tra i migliori nel loro campo. Rispettivamente Luca Bigazzi e Jacopo Quadri. Per gli interpreti un cast di ottimo livello che la Ramazzotti però non riesce a sfruttare al meglio costruendo personaggi con poche sfumature, come descritti da un cronista frettoloso. Anche Max Tortora, utilizzato qui soprattutto per le sue doti di comico, diventa la caricatura di se stesso senza poter esprimere a pieno il tragico cinismo del ruolo: un guitto senza qualità che pur di farsi strada nel cinema o in televisione è disposto ad ogni sordido compromesso o umiliazione. Manca quasi del tutto l’ambiente della periferia, fisico e sociale, dato troppo per scontato. Verso il finale però un bel colpo di coda. Un montaggio in parallelo in cui vediamo entrambi i genitori agitarsi in un modesto spettacolo musicale in una casa di riposo. Altrove il figlio Claudio, appena uscito dal trattamento con un “moderno” elettroshock, è accompagnato da un infermiere lungo un livido corridoio. Metafora perfetta di quanto, per i figli, possano essere rovinosi i rapporti familiari se privi di un autentico legame affettivo, dove i problemi che ne derivano vengono affrontati con la negazione o l’autoassoluzione.
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