E’ sufficiente un luogo chiuso, avulso dal mondo, quattro personaggi e una minaccia alle porte per creare un film, non eccessivamente lungo, appena un’ora e mezza, ma capace di porre inquietanti interrogativi sull’esistenza umana e sulla paventata apocalisse che pandemia a questa parte, pare attrarre cineasti di ogni dove.
M.Night Shyamalan in Bussano alla porta, riprende un tema molto simile a E venne il giorno, ovvero la profezia di un’apocalisse, paventata da quattro oscuri personaggi che di punto in bianco, irrompono in una baita isolata tra i boschi della Pennsylvania che una coppia gay, Andrew e Eric, ha preso in affitto con la figlia adottata Wen.
Orbene, il gruppo, che a primo avviso pare una combriccola di matti: un nerboruto tatuato Leonard (Bautista), un nevrotico Redmond, un’infermiera, Sabrina e una cuoca Adriane, avvisa lo spaventato terzetto che sono stati scelti per decidere le sorti dell'umanità: dovranno scegliere chi tra loro tre uccidere e compiere il sacrificio, senza possibilità di suicidio. Ad ogni rifiuto, uno dei quattro intrusi verrà sacrificato e una pestilenza o un cataclisma si verificherà sul pianeta fino a che non rimarranno solo loro tre vivi. Isolato e spaurito, il terzetto cercherà di comprendere in maniera razionale quell’insensato sproloquio di una setta di fanatici religiosi dalle visioni mistiche, ma via via che le coincidenze diverranno sempre più inquietanti (con tanto di notizie a primo avviso capaci di confermare il delirio di questi personaggi), le loro certezze si faranno sempre più precarie.
Ma allora, quei quattro chi sono? Omofobi fanatici o cavalieri dell’apocalisse venuti ad avvisare della fine del mondo? Quale la verità?
Shyamalan è abile a seminare il dubbio, ponendo i protagonisti dai caratteri antitetici, Andrew irruento ed Eric pacato, dinanzi a una situazione estrema e cercando, con cura, di far riflettere noi spettatori su temi universali, facendoci ascoltare le une e altre ragioni, come un romanzo a tesi contemporaneo e difficile. Abbiamo un discorso costruito sulle ambiguità di genere, sul rapporto basato sulla fiducia, sulle false dicerie a cui l’intelletto cerca di trovare una ragione e in generale al concetto sacro di famiglia nonché alla difesa dell’unità ad ogni mezzo anche se ciò comporta un sacrificio.
Il cineasta non fa che ribadire un concetto di fondo cruciale oggi: la difficoltà di decifrare la verità in un mondo pieno di mitomanie e menzogne, raggiri e psicosi diffuse. E il senso è proprio quello che i due protagonisti: l’impulsivo Andrew e il sentimentale Eric dovranno comprendere ed in fondo anche noi: prendere delle decisioni, rinunciare a qualcosa senza chiudersi nel proprio fondamentalismo egotico, figlio dell’imborghesito ambiente in cui viviamo. Ci dice in fondo, Shyamalan nel rispetto dei valori, che l’individuo deve recuperare un concetto sin troppo relegato ovvero il suo senso di responsabilità e buonsenso, di rispetto della collettività, senza il quale, ovviamente, nessuno si potrà mai salvare se non da solo nella sua piramide di indifferenza, deleteria per lo stesso pianeta in cui vive oltre che masochistica.
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