Chi non ama King si astenga. Il film è tratto da un suo romanzo dell’83. Si salva soltanto l’inizio, denso di suggestioni, con le immagini dall’alto di una grande casa di campagna isolata, ai margini di un bosco inquietante e incombente, con l’inquadratura ravvicinata di tracce e macchie di sangue sulla soglia della porta che evocano qualcosa di tremendo che è accaduto o sta per accadere, poi la banalità del male, rappresentato e descritto nei minimi particolari, come è tipico di questi horror partoriti dall’idea che per scrivere un romanzo o una sceneggiatura di questo genere occorre scegliere un tema orribile per poi rendere immediatamente concrete e reali le paure, l’uomo nero, lo spaventapasseri, il pagliaccio, allo scopo di terrorizzare i bambini di ogni età. Qui siamo fermi agli zombies. Spinto dalla pretenziosa fantasia di sondare il sentimento angosciante della morte nell’animo umano, King si muove come un elefante in un negozio di cristalleria e la regia non è da meno, in quanto a superficialità, nel mettere in scena il remake di Cimitero vivente dell’89, tratto dallo stesso romanzo. Il cast è da apprezzare, Jason Clarke e John Lithgow offrono una prova più che dignitosa, e del resto il film, esclusi i bambini, si basa solo su tre protagonisti, la terza è la madre dei pargoli. Lo svolgimento della trama è prevedibile, il finale un po’ meno, ma questo non giustifica la visione di una pellicola che non lascerà il segno nella storia della cinematografia, tuttavia, forse, servirà a scoraggiare del tutto la visione, in futuro, di altri film tratti dai romanzi di King per chi non ama King.
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