goldy
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giovedì 28 novembre 2019
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cinema senza emozione
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Trovo altamente apprezzabile la volontà del regista di puntare la sua attenzione non sulla puntuale ricostruzione dei fatti ma piuttosto al conflitto, il più delle volte irrisolvibile, tra " verità e ragion di stato". Polanski pensa a un pubblico adulto, maturo capace di sganciarsi dai "must" tipici dei film di genere. Lo fa bene, con eleganza sia narrativa che visiva. Tuttavia, ritengo che il cinema non sia adatto a questo tipo di lettura. Lo spettatore vuole punti fermi, ondulazioni emotive e coinvolgimento che qui non ci sono. Si è asciugato l'humus che è il sale del cinema e non so quanto spazio sia rimasto per una riflessione più alta e filosofica.
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Trovo altamente apprezzabile la volontà del regista di puntare la sua attenzione non sulla puntuale ricostruzione dei fatti ma piuttosto al conflitto, il più delle volte irrisolvibile, tra " verità e ragion di stato". Polanski pensa a un pubblico adulto, maturo capace di sganciarsi dai "must" tipici dei film di genere. Lo fa bene, con eleganza sia narrativa che visiva. Tuttavia, ritengo che il cinema non sia adatto a questo tipo di lettura. Lo spettatore vuole punti fermi, ondulazioni emotive e coinvolgimento che qui non ci sono. Si è asciugato l'humus che è il sale del cinema e non so quanto spazio sia rimasto per una riflessione più alta e filosofica. Ho visto il pubblico disorientato, perplesso se non addirittura annoiato. Peccato.
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alfiosquillaci
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lunedì 25 novembre 2019
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il processo non fu tutto l'affaire dreyfus
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Visto il film "L'ufficiale e la spia",
titolo sotto il quale è sviluppata la clamorosa vicenda politico-giornalistico-culturale che occupò la scena pubblica francese per un quindicennio dal 1894 al 1909 che va sotto il nome di "affaire Dreyfus". La pellicola parte dalla scena grandiosa nel cortile settecentesco dell'École militaire della degradazione dell'ufficiale ebreo alsaziano Dreyfus a seguito di un processo non lineare che lo aveva dichiarato colpevole di spionaggio e di intendenza col nemico.
Subito dopo prende avvio l'inchiesta del colonnello Georges Picquart egli stesso non simpatizzante degli ebrei ma ufficiale probo che, rovistando tra gli incartamenti processuali archiviati, accerta l'assoluta innocenza di Dreyfus e la colpevolezza dell'ufficiale Esterházy e consegnando un rapporto ai suoi superiori determina così la revisione del processo in capo a Dreyfus, che con colpi di scena si concluderà nel 1909 com l'assoluzione del capitano alsaziano (esito finale non narrato qui).
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Visto il film "L'ufficiale e la spia",
titolo sotto il quale è sviluppata la clamorosa vicenda politico-giornalistico-culturale che occupò la scena pubblica francese per un quindicennio dal 1894 al 1909 che va sotto il nome di "affaire Dreyfus". La pellicola parte dalla scena grandiosa nel cortile settecentesco dell'École militaire della degradazione dell'ufficiale ebreo alsaziano Dreyfus a seguito di un processo non lineare che lo aveva dichiarato colpevole di spionaggio e di intendenza col nemico.
Subito dopo prende avvio l'inchiesta del colonnello Georges Picquart egli stesso non simpatizzante degli ebrei ma ufficiale probo che, rovistando tra gli incartamenti processuali archiviati, accerta l'assoluta innocenza di Dreyfus e la colpevolezza dell'ufficiale Esterházy e consegnando un rapporto ai suoi superiori determina così la revisione del processo in capo a Dreyfus, che con colpi di scena si concluderà nel 1909 com l'assoluzione del capitano alsaziano (esito finale non narrato qui).
Il film tecnicamente si sviluppa après coup, a cose fatte, dopo il primo processo, quello del dicembre 1894, conclusosi con la condanna del capitano e il suo confinamento all'Isola del Diavolo, ricorrendo ad ampi flashback o analessi come la chiamano i narratologi. Questa scelta compositiva di portare il racconto a ritroso fa sì che tutto il focus della pellicola si concentri sulla vicenda processuale, che non è poco, ma non è tutto, ahimè.
L'affaire Dreyfus non fu un "semplice" processo. Fu una sorta di cerniera ideale tra i campi semantici di "destra" e "sinistra", cleavage non ancora scomparso nella nostra epoca. Fu uno degli ultimi incendi ideologici fra sinistra e destra infatti, i due campi ideali che da un lato affondano nelle trincee politico-ideali apertesi in Francia con la grande Rivoluzione del 1789 (e i suoi sussulti del 1830, 1848, 1870) e quelle che si apriranno da lì a poco con l'avvento delle ideologie socialiste, comuniste da un lato e nazionaliste e nazifasciste dall'altro che aprirono l'epoca nuova.
Se fu quel caso clamoroso che giustamente e coraggiosamente il produttore italiano Barbareschi e il regista americano-polacco Polanski (presenti nella pellicola con un buffo cammeo) rammemorano riportandolo sul grande schermo, di esso tuttavia non vengono neanche dati per accenno i riferimenti testuali e contestuali di quella lotta ideale intercorsa tra i due blocchi, e che fu accesa, furibonda, lacerante nella Francia fin-de- siècle. Non solo Zola col suo celebre "J'accuse" ma tutta una costellazione di intellettuali dreyfusards (sinistra: radicali, progressisti, primi socialisti) e anti-dreyfusards (destra: antisemiti, cattolici, nazionalisti) si schierarono con veemenza l'uno contro l'altro per tutta la durata del processo e dopo.
Da una parte Zola, Clemanceau, Octave Mirbeau, Joseph Reinach dall'altra pezzi grossi del "partito" conservatore-reazionario con a capo il brillante intellettuale Maurice Barrès, o il centrale Charles Maurras monarchico nazionalista, come il sintomatico Edouard Drumont antisemita unitamente a Jules Guérin ecc . Questa tempesta ideale resta sullo sfondo.
Ma forse la scelta di concentrarsi su personaggi idealtipici attrattivi come "l'ufficiale e la spia", più evocativi di un romanzo che di una secca cronaca politica, sono più accessibili al largo pubblico di oggi aduso a proiezioni di personaggi idealtipici, piuttosto che a barbogi intellettuali, scrittori e giornalisti. Figure di cui peraltro abbiamo perso i grandi riferimenti iconici esemplari (ma anch'essi mitopoetici se saputi interpretare), totalmente fuori portata per noi abituati a vedere tali figure proiettate a rovescio in "personaggetti" che sulla nostra scena politica, giornalistica e televisiva si sfidano con le loro mossette tutti i giorni e che portano i nomi di Sgarbi, Gramellini, Travaglio y Padellaro y Gomez, Giordano, ecc.
Insomma non abbiamo più gli schemi, l'attrezzatura intellettuale, la temperatura stilistica, l'atmosfera politica e morale per poter interpretare al meglio un viluppo di tale sorta, una lotta ideale furibonda come quella. Sibaritici e spettriti spettatori televisivi non abbiamo più i codici per decrittare i grandi drammi intellettuali ed epocali, e allora vai con la mitopiesi filmica - di grande nitore formale eh, ma un po' asfittica, ritratta com'è in ambienti cupi e pieni di fumo-, delll'ufficiale e della spia; noi restiamo qui, al di qua dello schermo, in compagnia di Scanzi, giornalista-teatrante, sommelier e assaggiatore di formaggi.
Alfio Squillaci
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(di alex2044)
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carlosantoni
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domenica 24 novembre 2019
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una delle solite storie di spionaggio
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Il titolo a commento su Mymovies dice che si tratta di un film “dall’impianto classico”, io forse preferirei definirlo un film di genere. Solido, ben recitato (ma Polanski non può proprio farne a meno di rifilarci sempre e comunque Emmanuelle Seigner, nei suoi film?) ben fotografato, ben congegnato attraverso i continui flash back, ma a dire il vero non “buca”. Troppa patina Fin de Siècle, troppe atmosfere interne polverose, le carrozze, il can-can, quasi un continuo (e un po’ fastidioso) volerci ricordare che il fattaccio si svolge ai tempi della Belle Epoque. In compenso, se si riflette che si trattò di un “affaire” di clamorosa eco nazionale e internazionale, nel film si parla poco, decisamente poco o niente del contesto sociale e politico, della lotta sociale che animava allora la Francia, e non solo la Francia: da lì a qualche anno in Russia sarebbe scoppiata la rivoluzione del 1905… Certo, il film mette bene in luce il razzismo antiebraico dell’élites militari francesi, della simpatia che molta parte della Francia di allora tributava alle teorie antisemite, un po’ come da noi accade oggi contro gli arabi, con i tre quarti del parlamento decisamente spinti su posizioni razziste o comunque reazionarie, ma non mette per niente il luce la controparte, cioè il crescendo delle lotte del movimento socialista, anarchico, radicale contro la deriva razzista francese: c’è un per niente combattivo Zola, si direbbe uomo da salotto, c’è un baffuto Clemenceau che compare per una manciata di secondi… e in questo caso direi meglio così: poi finirà per mostrarsi al mondo come uno dei più sporchi guerrafondai di ogni tempo.
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Il titolo a commento su Mymovies dice che si tratta di un film “dall’impianto classico”, io forse preferirei definirlo un film di genere. Solido, ben recitato (ma Polanski non può proprio farne a meno di rifilarci sempre e comunque Emmanuelle Seigner, nei suoi film?) ben fotografato, ben congegnato attraverso i continui flash back, ma a dire il vero non “buca”. Troppa patina Fin de Siècle, troppe atmosfere interne polverose, le carrozze, il can-can, quasi un continuo (e un po’ fastidioso) volerci ricordare che il fattaccio si svolge ai tempi della Belle Epoque. In compenso, se si riflette che si trattò di un “affaire” di clamorosa eco nazionale e internazionale, nel film si parla poco, decisamente poco o niente del contesto sociale e politico, della lotta sociale che animava allora la Francia, e non solo la Francia: da lì a qualche anno in Russia sarebbe scoppiata la rivoluzione del 1905… Certo, il film mette bene in luce il razzismo antiebraico dell’élites militari francesi, della simpatia che molta parte della Francia di allora tributava alle teorie antisemite, un po’ come da noi accade oggi contro gli arabi, con i tre quarti del parlamento decisamente spinti su posizioni razziste o comunque reazionarie, ma non mette per niente il luce la controparte, cioè il crescendo delle lotte del movimento socialista, anarchico, radicale contro la deriva razzista francese: c’è un per niente combattivo Zola, si direbbe uomo da salotto, c’è un baffuto Clemenceau che compare per una manciata di secondi… e in questo caso direi meglio così: poi finirà per mostrarsi al mondo come uno dei più sporchi guerrafondai di ogni tempo. Per questo sembra di vivere un po’ nel mondo delle favole: Dreyfuss è innocente, e si sa che è innocente, ma viene giudicato colpevole perché ebreo: ed è contro gli ebrei che gli alti ranghi militari, reazionari e razzisti, vogliono una condanna: una condanna politica. Un po’ come ai tempi della strage di Piazza Fontana: il colpevole doveva essere necessariamente un anarchico, e Valpreda fu costruito a tavolino proprio come Dreyfuss, e non come invece lo furono realmente, manovali delle varie organizzazioni fasciste al servizio della reazione nazionale e internazionale marcata CIA. Dunque Dreyfuss colpevole, poi di nuovo colpevole in appello con penna mitigata… però poi tutto ad un tratto in cassazione viene riconosciuto innocente! Chissà perché! E chissà come e perché, il tenente colonnello Dujardin, “colpevole” di aver sollevato il vespaio della congiura antisemita ordita dai suoi superiori, dopo essere finito in galera come Dreyfuss, alla fine della favola si ritrova prima promosso generale, poi addirittura ministro della guerra in un successivo governo! Succedono forse miracoli in Francia? O non è per caso tutto quanto il frutto di lotte sociali che modificarono almeno in parte il panorama politico francese? Polanski si guarda bene da mettere il suo lungo naso in questa materia, e il film finisce come un classico romanzo d’amore.
Io gli do la sufficienza, abbondante, non di più.
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