L'ultima ora

   
   
   

Il supplente nella classe dei misteri

di Fabio Ferzetti L'Espresso

Abbiamo visto molti professori perseguitati da classi di allievi esagitati, ingestibili, aggressivi, carichi di una rabbia che condensa tutte le contraddizioni del presente e del prossimo futuro. Raro è invece il docente alle prese con giovani serissimi, imperturbabili, saccenti, dunque perfino più inquietanti. Tanto più che il loro insegnante si è appena buttato dalla finestra e il supplente chiamato a sostituirlo, il professor Pierre Hoffman (il sempre impeccabile Laurent Lafitte, già vicino cattolico e stupratore in "Elle" di Verhoeven), si trova presto alle prese con sinistri comportamenti collettivi, episodi violenti e incomprensibili, riti di passaggio dominati insieme dal più estremo disincanto e dal tentativo di forgiarsi una vita a prova di angoscia e di dolore. Seconda regia di un giovane superdotato, un po' come i suoi piccoli protagonisti, "L'ultima ora" (dal romanzo omonimo di Christophe Dufossé, Einaudi), ricorda un classico del mystery con minorenni, l'inglese "Il villaggio dei dannati". Anche se qui i ragazzi, bella collezione di volti e corpi disarmonici e contratti, forse non sono realmente malvagi. Mentre l'incubo in cui vivono, come scoprirà quel supplente troppo sensibile per non seguirli anche fuori dalle mura scolastiche, è quello in cui siamo tutti più o meno consapevolmente immersi. L'incubo della modernità, del profitto a tutti i costi, dell'inquinamento fuori controllo, della catastrofe ecologica o terroristica. Quel pensiero dell'Apocalisse che accompagna come un basso continuo la crescita delle nuove generazioni, gettando per contrasto una luce di banalità e rassegnazione sugli adulti. Che infatti sono anche la parte meno interessante del film, teso e inventivo finché cerca di capire le ragioni della piccola, implacabile Apolline e dei suoi compagni di classe, che trovano fiducia e coesione solo cantando tutti insieme a piena voce "Free Money" di Patti Smith. Ma è meno compatto e fantasioso quando segue i colleghi spiazzati o indifferenti di Pierre. Con citazioni disseminate un po' come bandierine lungo il percorso, da Kafka al "Dormeur du val" di Rimbaud, il primo forse a capire l'incanto e il mistero di una nuca. Ma anche momenti onirici e perfino una grande scena d' azione in sottofinale, a movimentare un quadro già ben definito senza guadagnarci troppo in coerenza o in profondità.
Da L'Espresso, 7 luglio 2019


di Fabio Ferzetti, 7 luglio 2019

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