luca scialo
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mercoledì 10 gennaio 2024
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il diavolo probabilmente... negli anni 2000
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A distanza di 45 anni da Il diavolo probabilmente del grande Bresso, questa pellicola affronta ancora una volta il nichilismo, la disillusione e l'isolazionismo dei giovani critici nei confronti degli adulti e della società. Considerata alla fine e senza possibilità di redenzione. Certo, la disillusione post-sessantottina vista anche in Bianca di Nanni Moretti è ormai lontana decenni. Ma lo smarrimento viene raffigurato efficacemente anche in questa pellicola, di un regista molto interessante nel raccontare la reazione che le delusioni possono generare negli esseri umani. Il finale però redime e dà ragione a quei ragazzi, prodotto di una società senza speranza.
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dandy
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venerdì 15 ottobre 2021
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prepararsi alla fine...
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Dall'omonimo romanzo di Christophe Dufoussè,uno spaccato iperrealistico e apocalittico su temi che non sono certo nuovi come l'incomunicabilità tra giovani e adulti,le lacune del sistema scolastico e il vuoto di una società contemporanea violenta ed autodistruttiva dove non c'è scampo nè umanità indipendentemente dall'età.Se il meccanismo è risaputo,a partire dal protagonista circondato dall'indifferenza di colleghi e preside,ciechi e preoccupati solamente del prestigio scolastico,il ritratto dei 6 studenti e della loro routine estrema è inquietante e rimane impresso.E il regista dimostra di aver attinto bene sia dai colleghi europei(l'uso dei filmati e il tono generale rimandano ad Haneke)che americani,con memorie di "Il villaggio dei dannati", "Elephant" , l'odiosissima Apolline che sembra ricalcare la Esther di "Orphan" e l'efficace colonna sonora del duo Zombie Zombie che rimanda a John Carpenter.
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Dall'omonimo romanzo di Christophe Dufoussè,uno spaccato iperrealistico e apocalittico su temi che non sono certo nuovi come l'incomunicabilità tra giovani e adulti,le lacune del sistema scolastico e il vuoto di una società contemporanea violenta ed autodistruttiva dove non c'è scampo nè umanità indipendentemente dall'età.Se il meccanismo è risaputo,a partire dal protagonista circondato dall'indifferenza di colleghi e preside,ciechi e preoccupati solamente del prestigio scolastico,il ritratto dei 6 studenti e della loro routine estrema è inquietante e rimane impresso.E il regista dimostra di aver attinto bene sia dai colleghi europei(l'uso dei filmati e il tono generale rimandano ad Haneke)che americani,con memorie di "Il villaggio dei dannati", "Elephant" , l'odiosissima Apolline che sembra ricalcare la Esther di "Orphan" e l'efficace colonna sonora del duo Zombie Zombie che rimanda a John Carpenter.Notevole il clima opprimente e la tensione in crescendo.Non scontata anche la caratterizzazione di Pierre,la cui omosessualità è solo accennata ma mai esplicata.Se il finale inizialmente sembra calare di tono,l'ultimo colpo di scena spiazza e costringe lo spettatore ad aderire alla prospettiva nichilista e desolata dei giovani protagonisti,donando loro una sinistra aura profetica.
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carloalberto
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lunedì 1 febbraio 2021
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confusionario e millenaristico
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Sébastien Marnier confonde le carte in tavola fin da subito con un richiamo letterario a Kafka, che allude forse ad una trasformazione in atto nella vita interiore del protagonista, Laurent Lafitte, icasticamente concretizzatasi nella presenza di scarafaggi nella sua casa, un inizio drammatico alla Polanski, con un suicidio che ricorda quello di L’inquilino del terzo piano, che suggerisce sviluppi relazionali ambigui ed esoterici all’interno del corpo insegnante e con la classe di piccoli geni, poi deludentemente disattesi, così come un accenno alla omosessualità latente del protagonista che non significa nulla rispetto al focus del plot. E’ un continuo sviamento, forse messo in atto per sorprendere con un finale inatteso, quanto precipitoso, che cambia lo scenario e muta la pellicola da thriller psicologico in film preapocalittico, che ricorda molto il finale di Take Shelter di Jeff Nichols del 2011.
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Sébastien Marnier confonde le carte in tavola fin da subito con un richiamo letterario a Kafka, che allude forse ad una trasformazione in atto nella vita interiore del protagonista, Laurent Lafitte, icasticamente concretizzatasi nella presenza di scarafaggi nella sua casa, un inizio drammatico alla Polanski, con un suicidio che ricorda quello di L’inquilino del terzo piano, che suggerisce sviluppi relazionali ambigui ed esoterici all’interno del corpo insegnante e con la classe di piccoli geni, poi deludentemente disattesi, così come un accenno alla omosessualità latente del protagonista che non significa nulla rispetto al focus del plot. E’ un continuo sviamento, forse messo in atto per sorprendere con un finale inatteso, quanto precipitoso, che cambia lo scenario e muta la pellicola da thriller psicologico in film preapocalittico, che ricorda molto il finale di Take Shelter di Jeff Nichols del 2011. Gli inserimenti di immagini di repertorio sul disastro ecologico sono indizi che preannunciano una tragedia incombente, che coinvolgerebbe soltanto alcuni studenti modello iperintelligenti, ex bambini plusdotati, votati ad un azione eclatante per sconvolgere le coscienze, come se ci volesse un intelligenza fuori dal comune per capire in che guaio si è cacciata l’umanità con l’idolatria della tecnica, se non fosse per l’intervento salvifico del loro professore, che non potrà tuttavia salvare il mondo stesso. La confusionaria commistione di temi, non ultimo quello animalista, se attrae visione durante, lascia però perplessi alla fine, sconcertando più che convincendo e nonostante l’ottima interpretazione di Lafitte, che ce la mette tutta per rendere credibile la spaesatezza a volte attonita ed impacciata del suo personaggio, preso in una cosa più grande di lui, il film non colpisce né per originalità né per forza rappresentativa, auto definendosi da solo, con l’ultima scena, che lo destina all’archiviazione nel genere visionario apocalittico ispirato dal più vieto millenarismo pessimistico.
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lbavassano
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lunedì 22 luglio 2019
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la prima scena fa ben sperare
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La prima scena fa ben sperare, sul tutto il resto è meglio tacere
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domenica 7 luglio 2019
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un insulto all'intelligenza
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Una storia inverosimile. Il corpo insegnante non riesce a interagire con un gruppo di psicopatici. Uno sfondo pseudo ecologista per coprire un'ideologia elitaria e razzista.
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fabiofeli
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sabato 6 luglio 2019
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e' gia scoccata l'ultima ora
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In una scuola media superiore francese gli alunni sono intenti a scrivere un elaborato. Il professore di circa 60 anni siede alle loro spalle vicino ad una finestra. Scruta a lungo il cielo velato da nuvole diafane dietro le quali il sole ha un bagliore “malato”; poi avvicina la sedia alla finestra, sale sul davanzale e si lascia cadere di sotto. Solo allora i ragazzi avvisati dal tonfo si affacciano alla finestra. Alla scuola giunge un supplente 40enne, Pierre (Laurent Lafitte); quando chiede al preside della scuola il motivo del suicidio, questi dice che non si sa nulla, ma avverte Pierre che la sua classe racchiude gli alunni più dotati.
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In una scuola media superiore francese gli alunni sono intenti a scrivere un elaborato. Il professore di circa 60 anni siede alle loro spalle vicino ad una finestra. Scruta a lungo il cielo velato da nuvole diafane dietro le quali il sole ha un bagliore “malato”; poi avvicina la sedia alla finestra, sale sul davanzale e si lascia cadere di sotto. Solo allora i ragazzi avvisati dal tonfo si affacciano alla finestra. Alla scuola giunge un supplente 40enne, Pierre (Laurent Lafitte); quando chiede al preside della scuola il motivo del suicidio, questi dice che non si sa nulla, ma avverte Pierre che la sua classe racchiude gli alunni più dotati. Il supplente cerca di familiarizzare con i ragazzi sottoponendo loro un formulario con la domanda su che lavoro vorrebbero svolgere al termine degli studi, ma gli alunni lo deludono rispondendo con impieghi poco prestigiosi (cassieri di supermercato, imballatori e … supplente: sarà una presa in giro?). Accadono anche fatti inquietanti: aggressioni improvvise ai sei alunni più dotati della sua classe, che sembrano formare un clan coeso; la sparizione del computer di Pierre; il suo cellulare che squilla di notte senza che nessuno all’altro capo parli e contemporaneamente le luci nel giardino di fronte si spengono.
Ovviamente dire qualcosa di più sulla trama e sul finale del film è estremamente scorretto. Si possono solo svelare le “fonti” del film: nella letteratura il romanzo omonimo di Christophe Dufossé. Nella filmografia Il villaggio dei dannati di Wolf Rilla (1960) ricavato dal romanzo fantascientifico di John Wyndham, e il remake del 1995 Villaggio dei dannati (senza l’articolo il) di John Carpenter, ma non solo: L’inquilino del terzo piano di e con Roman Polanski si conclude proprio con un suicidio come quello del professore. Nel film vengono create atmosfere e situazioni alla Lynch; ed è perfetta la rappresentazione di una scuola alto-borghese segnata da accadimenti e fatti di violenza che sembrano sfuggire a tutti gli insegnanti eccettuato Pierre. Non a caso il regista racconta che ha fatto vedere ai ragazzi impegnati nei ruoli principali sia i film di Rilla e Carpenter che Il nastro bianco di Haneke. Un altro piccolo indizio che possiamo fornire è La trilogia di Praga di Agotha Kristoff , parzialmente trasposta in film. Dal punto di vista della recitazione non possiamo non citare Lafitte e i due ragazzi che impersonano i leader del gruppo dei sei, Apolline e Brice. La musica è perfettamente funzionale nel creare l’atmosfera di mistero ed il coro “Free money” è un pezzo di bravura notevole. Le più belle inquadrature sono riservate a paesaggi industriali abbandonati (una cava); ed alle torri di raffreddamento di una centrale nucleare in prossimità di un placido laghetto nel verde, che inspiegabilmente destano il ricordo della copertina dell’album “Animals” dei Pink Floyd. Il film è da consigliare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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