ashtray_bliss
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lunedì 27 maggio 2019
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i due volti della legge.
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Ormai è inutile ribadire il fatto che ogni nuovo lavoro di Zahler crea elevata anticipazione visti i primi due lavori da regista che sono a dir poco sensazionali e giustamente memorabili. Dal western sanguigno al prison movie violento e splatter Zahler ci trasporta questa volta all'interno di un noir poliziesco vecchia maniera, costruito sui dialoghi intelligenti e brillanti, scanditi da corpose dosi di sagacia e ironia, sulla fotografia in chiaroscuro che domina lo schermo, sui tempi dilatati attraverso i quali emerge lentamente il racconto, e l'indole, di due poliziotti caduti in disgrazia e in cerca di riscatto personale. Questi sono gli elementi basilari, i costituenti della pellicola di cui Zahller si avvale anzichè seguire le scorciatoie consuete e non sempre convincenti dell'action dinamico e rocambolesco e riuscendo a sfuggire ai canoni di genere senza collocarsi in alcun genre predefinito; non è un pulp o un heist movie e tanto mento un action o un dramma sociale e nonostante flrti pericolosamente con la commedia nera non è nemmeno semplicemente catalogabile come black comedy.
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Ormai è inutile ribadire il fatto che ogni nuovo lavoro di Zahler crea elevata anticipazione visti i primi due lavori da regista che sono a dir poco sensazionali e giustamente memorabili. Dal western sanguigno al prison movie violento e splatter Zahler ci trasporta questa volta all'interno di un noir poliziesco vecchia maniera, costruito sui dialoghi intelligenti e brillanti, scanditi da corpose dosi di sagacia e ironia, sulla fotografia in chiaroscuro che domina lo schermo, sui tempi dilatati attraverso i quali emerge lentamente il racconto, e l'indole, di due poliziotti caduti in disgrazia e in cerca di riscatto personale. Questi sono gli elementi basilari, i costituenti della pellicola di cui Zahller si avvale anzichè seguire le scorciatoie consuete e non sempre convincenti dell'action dinamico e rocambolesco e riuscendo a sfuggire ai canoni di genere senza collocarsi in alcun genre predefinito; non è un pulp o un heist movie e tanto mento un action o un dramma sociale e nonostante flrti pericolosamente con la commedia nera non è nemmeno semplicemente catalogabile come black comedy. Piuttosto risulta come un abile miscela di generi e nonostante li eluda volontariamente resta un prodotto ben definito in pieno stile Zahler.
Quello di Dragged Across Concrete è essenzialmente un noir urbano estremamente attuale, poco incline alla political correctness tanto in voga al giorno d'oggi, narrativamente stratificato dove si riesce a scorgere oltre le vicende dei partner Ridgeman e Lusaretti facendoci riflettere su molteplici questioni che ci circondano e ci riguardano da vicino. Dalla prepotenza e pervasività dei cellulari, dei social e dei video virali che spesso denunciano un altrimenti tacito abuso di potere (esercitato spesso dalle forze dell'ordine, specialmente negli States), alla corruzione della polizia, all'insidiosa ma incontrovertibile tendenza di seguire lo schema del politicamente corretto in ogni ambito, o settore della vita pubblica, per finire al sempre attuale tema del razzismo e le sue mille sfumature. Senza omettere le considerazioni riguardo la mancanza di fiducia verso il prossimo, il clima di parossismo sociale e i drammi personali che portano ognuno dei protagonisti a situazioni estreme, al limite, pur di perseguire e raggiungere i propri obiettivi ma che avranno conseguenze inevitabilmente drammatiche.
Ma la vera carta vincente del regista, ovvero ciò che conquista subito in questo atipico noir che mescola elementi di generi disparati in modo armonico e funzionale, è il fatto che nessun personaggio e nessuna situazione è quello che sembra. Non ci sono semplicemente buoni e cattivi stereotipati e by the book come spesso succede, ma questi ruoli si alternano e si ribaltano, si rovesciano in base alla prospettiva di ognuno dei protagonisti. I poliziotti in questo caso spesso superano ogni limite consentito e agiscono al di sopra della legge, mentre quelli che dovrebbero essere i criminali, Johns e Biscuit, sono motivati e guidati da intenzioni nobili e da un proprio ma rigoroso codice morale e si mostrano perfettamente abili di controbilanciare i principali protagonisti in divisa (e sopratutto senza). Gli unici veri spietati, i villain, della pellicola in questione si mostrano Lorenz Vogelman e i suoi scagnozzi i quali rappresentano un'altro classico archetipo di un poliziesco che si rispetti impersonando dei brutali assassini, macchine della morte capaci di compiere atti di estrema violenza essendo totalmente privi di empatia e d'umanità.
E se da un lato bisogna ammettere che Dragged Across Concrete costituisce un film lineare, poco originale e costruito attorno agli immancabili clichè del genere non possiamo negare che tutti questi elementi sono gestiti in modo decisamente intelligente e convincente tanto da non risultare affatto ripetitivo, noioso o pesante nonostante si tratti di una maratona da ben 160 minuti. Del resto le formule classiche sono quelle che spesso si mostrano anche vincenti e Zahler riesce a superare abilmente questa terza prova dimostrando e riconfermando di saper creare e gestire un solido noir, sporco, disincantato, decadente e narrativamente sfumato proprio come il nostro mondo cinico, razzista, sregolato e amorale che si riflette in modo eccessivamente candido in questa pellicola.
Abile regista che conosce perfettamente come tradurre in immagini il dramma umano, Zahler opta per un approccio più soft rispetto a quello dei suoi due precedenti film, dove la violenza spesso brutale c'è ma viene ben calibrata e dosata nei momenti più focali della pellicola esplodendo de facto negli ultimi quaranta minuti. Sorretto da una suspense leggera ma costante che permea l'intera pellicola ci trasportiamo lentamente verso lo zenith narrativo e cinematografico, esplosivo e drammatico, come infatti accade nonostante la prevedibilità degli eventi narrati e riguardo le sorti dei nostri. Ciò comunque non comporta alcuna delusione nemmeno per il finale cinico e amaro ma anche in grado di ristabilire quel minimo di giustizia nei confronti dei suoi personaggi.
Spassosa e convincente la coppia Gibson-Vaughn che riesce a regalarci un duo non solo sopra le righe ma dalle notevoli sfumature caratteriali e nonostante non siano il massimo per creare la doverosa empatia e connessione col pubblico riescono comunque a suscitare e mantenere attivo e vivo l'interesse degli spettatori, grazie ovviamente alla dettagliata scrittura dei rispettivi personaggi e alle brillanti e ispirate ma talvolta sporche battute che gli vengono assegnate. Anchovies!
Cupe e grigie ma perfettamente aderenti allo schema narrativo risultano le atmosfere che dominano lo schermo e che donano quella nota nostalgica tipica dei film d'epoca, di altri (bei) tempi ormai andati proprio come il mondo che conoscevano i due poliziotti. Un film, dunque, che rifugge dagli schemi prestabiliti rma che con la sua apparente semplicità e linearità riesce a garantirsi un meritato posto tra i migliori polizieschi indipendenti dell'anno, assicurando l'intrattenimento del pubblico ma senza rinunciare a proporre riflessioni più profonde e attuali attraverso gli elementi disseminati lungo il percorso e le diverse sottotrame presenti.
Probabilmente non è proprio all'altezza dei due precedenti lungometraggi del regista, ma è assolutamente consigliabile la visione, possibilmente più volte, con calma e parecchio tempo libero, per poterlo apprezzare come si deve: 3/5.
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roberteroica
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lunedì 3 settembre 2018
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dragged across concrete
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#Venezia75 - DRAGGED ACROSS CONCRETE - Fuori Concorso - Due poliziotti vengono "sospesi" dal servizio per i loro metodi poco ortodossi. Tenteranno di rifarsi rubando un ingente carico d'oro ad una banda di feroci malviventi. Un poliziesco brutto, sporco e cattivo, politicamente scorrettissimo, adattissimo per un Mel Gibson in gran forma, bena coadiuvato da Vince Vaughn. Non ci sono eroi e lo sporco lavoro del poliziotto qualcuno lo dovra' pur fare. Action al 100 % e a suo modo molto divertente. VOTO: 6,5
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gianleo67
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venerdì 8 novembre 2019
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you should have trusted a nigga!
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Sospesi dal servizio per le modalità brutali di un arresto finito sotto la lente dei media, i detective Ridgeman (Gibson) e Lurasetti (Vaughn) decidono di risolvere i propri problemi economici passando dall'altra parte della barricata. I ladri che intendono derubare però, sono professionisti meticolosi e spietati che hanno intenzione di non fare ostaggi e soprattutto di vender cara la pelle. Nel manifesto programmatico di una originale rivisitazione dei generi che parte dalla propria produzione letteraria, il poliedrico ed eclettico S. Craig Zahler giunge al polar dopo le precedenti incursioni nel western fantastico di un immaginario weird da graphic novel (Bone Tomahawk) e nel prison drama ad alto tasso testosteronico (Brawl in Cell Block 99).
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Sospesi dal servizio per le modalità brutali di un arresto finito sotto la lente dei media, i detective Ridgeman (Gibson) e Lurasetti (Vaughn) decidono di risolvere i propri problemi economici passando dall'altra parte della barricata. I ladri che intendono derubare però, sono professionisti meticolosi e spietati che hanno intenzione di non fare ostaggi e soprattutto di vender cara la pelle. Nel manifesto programmatico di una originale rivisitazione dei generi che parte dalla propria produzione letteraria, il poliedrico ed eclettico S. Craig Zahler giunge al polar dopo le precedenti incursioni nel western fantastico di un immaginario weird da graphic novel (Bone Tomahawk) e nel prison drama ad alto tasso testosteronico (Brawl in Cell Block 99). Accomunati da un uso iperrealista della violenza e da una storia di rivalsa (vendetta) che si risolve nel reciproco e quasi totale annientamento delle parti in causa, quello che si profila dietro le intraprese di personaggi sempre politicamente scorretti è un orizzonte morale di ineluttabile sconfitta dove il libero arbitrio viene neutralizzato nel rapporto tra carattere dei personaggi e determinismo delle loro azioni (i pistoleros vendicatori della prima storia, il bruto dal cuore tenero della seconda , il poliziotto che tiene famiglia della terza) e dove il confine tra buoni e cattivi, giusto e sbagliato, bene e male viene reso appena più sfumato dal retroterra di motivazioni sociali che sembrano animare gli eroi negativi delle tre storie rispetto ad antagonisti volutamente abbozzati come creature informi (quasi sempre coperti da maschere, travisamenti rituali o dalla semplice inespressività dei lineamenti) e del tutto privi di umanità e coscienza etica. Questa asimmetria della rappresentazione dei caratteri antitetici è certo alla base di una consapevole costruzione di un universo sociale che preserva un livello sindacale di empatia verso i protagonisti e consente una direzionalità nella fruizione della storia da parte di spettatori molto spesso spiazzati dal livello insostenibile della violenza che ispira le azioni dei personaggi, ma è anche l'elemento di una ambiguità di fondo che ha attirato su Zahler le critiche di osservatori che lo vedono parteggiare nettamente per i suoi antieroi con molti scheletri nell'armadio (coloni americani intenti nel genocidio di autoctoni antropofagi, criminali che regolano i conti con i mandanti che hanno servito per anni, poliziotti razzisti che hanno a cuore la serenità del proprio focolare domestico), avanzando la tesi ingiusta (ma era toccato anche ad un altro sperimentatore pulp come Tarantino) di una deriva destrorsa del discorso politico e della visione della società americana. Forte di una progressione drammatica che fa della dilatazione dell'azione e della prevalenza dei dialoghi la cifra di un cinema di chirurgica attenzione ai dettagli, il cinema di Zhaler è la rappresentazione di una visione nerissima dei rapporti umani, tutti più o meno strumentali al conseguimento del proprio interesse personale e dove l'ethos che dovrebbe scaturire dal rapporto con l'altro viene mediato esclusivamente dall'uso brutale della violenza (vedi il trattamento riservato alla Carpenter che implora il suo boia mostrando la scarpetta insanguinata del proprio cucciolo, ma anche la resa dei conti finale tra sodali che potrebbero semplicemente spartirsi il bottino). All'interno di questo microcosmo iperrealista e sanguinario, dove l'apparente finalismo sociale si volge nel beffardo riscatto di un 'negro' che finisce per riprodurre ludicamente gli stessi rituali di violenza che hanno ridotto sulla sedia a rotelle il fratellino con cui gioca alla playstation nella magione vista oceano cui è approdato, un ruolo rilevante è rappresentato dal rapporto di scala: da un livello dell'azione che coinvolge la più generale dinamica esterna e pubblica a quelle più intime e personali dei protagonisti impegnati con la propria famiglia, ma anche una strumentale parcellizazione dei caratteri: tra la normalità della gente comune e la brutalità di automi senza cuore, si muovono nella zona grigia di una 'terra di mezzo' le due coppie di antieroi (i dui poliziontti bianchi che condividono durante l'appostamento i propri problemi familiari e i dui gregari criminali neri che rievocano i difficili trascorsi comuni di un'infanzia felice) che capiscono e sanno parlare la lingua di entrambi i due mondi, quello della probità relazionale e quello della brutalità criminale, e che quindi si propongono un'incursione nel secondo per risolvere i problemi nel primo. Film di ineluttabile e orizzontale progressione drammatica, l'ultima opera del regista indipendente americano è una summa dell'originale sincretismo tra forma e tematiche di un autore che va dritto alla meta come un rullo compressore. Colonna sonora perfettamente a tema composte dallo stesso S. Craig Zahler con il sodale Jeff Herriott per un film presentato in anteprima mondiale fuori concorso alla 75ª edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, ma uscito solo on demand al di fuori del circuito distributivo statunitense.
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carloalberto
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giovedì 15 aprile 2021
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ogni limite ha una pazienza
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Più che poliziotti al limite il film dovrebbe intitolarsi, citando Totò, ogni limite ha una pazienza. Due ore e mezza per una narrazione che si sarebbe potuta sintetizzare nella metà del tempo. Film di una lentezza spasmodica in cui l’azione è diluita in dialoghi estenuanti, tra i due agenti appostati per ore in auto, che si dilungano all’infinito e che vorrebbero essere ironici e brillanti ma che dopo un po’ risultano soltanto stancanti e ripetitivi e noiosi. La pretesa del regista di tessere un racconto corale intrecciando al plot principale, che vede protagonisti i due eroi negativi, altre storie drammatiche che si incrociano con quella principale, affidate ad attori che non possono definirsi comprimari ma poco più che comparse, naufraga nella approssimazione delle figure non centrali, impegnate nei ruoli minori, appena caratterizzate anche se in modo molto colorito e perciò destinate all’oblio un minuto dopo la fine della pellicola.
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Più che poliziotti al limite il film dovrebbe intitolarsi, citando Totò, ogni limite ha una pazienza. Due ore e mezza per una narrazione che si sarebbe potuta sintetizzare nella metà del tempo. Film di una lentezza spasmodica in cui l’azione è diluita in dialoghi estenuanti, tra i due agenti appostati per ore in auto, che si dilungano all’infinito e che vorrebbero essere ironici e brillanti ma che dopo un po’ risultano soltanto stancanti e ripetitivi e noiosi. La pretesa del regista di tessere un racconto corale intrecciando al plot principale, che vede protagonisti i due eroi negativi, altre storie drammatiche che si incrociano con quella principale, affidate ad attori che non possono definirsi comprimari ma poco più che comparse, naufraga nella approssimazione delle figure non centrali, impegnate nei ruoli minori, appena caratterizzate anche se in modo molto colorito e perciò destinate all’oblio un minuto dopo la fine della pellicola. Rimane la bravura di Mel Gibson, qualcuno potrebbe pensare nella caricatura patetica di sé stesso quando interpretava il poliziotto eccentrico e mezzo matto in Arma letale uno, due, tre e quattro e del collega più giovane Vince Vaughn che non meritava di certo il ruolo di spalla. Caricato di toni drammatici eccessivi, dalla moglie ammalata di Gibson al fratellino in sedia a rotelle di uno dei banditi buoni, fino alla tragedia di una giovane madre innocente sottratta al suo amatissimo neonato, crolla in un finale prevedibile e scontato almeno al novanta per cento, tanto per parafrasare uno dei due protagonisti. Perfino le scene d'azione sembrano girate al moviolone e la sparatoria finale mima le sfide lentissime e fascinose dei western alla Leone, ma erano altri tempi.
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