xerox
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venerdì 11 giugno 2021
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ma sicuramente che la perdoniamo!
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Bellissimo film attoriale! Due grandissimi personaggi, due grandissimi attori... Melissa McCarthy, Richard Grant.... Una New York vista e rivista mille volte al cinema, ma sempre intrigantissima. Sono personaggi e attori come questi che ci fanno capire appieno la crudezza e la durezza dell'american life. Regia sempre attenta, e finalmente si riesce a vedere un film senza buchi di sceneggiatura. Film da conservare nella nostra cineteca. Bravissimi!
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felicity
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martedì 6 aprile 2021
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un film che oscilla continuamente fra i generi
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Copia originale è un film molto interessante e ha ricevuto ben tre nomination agli Oscar (migliore attrice protagonista, miglior attore non protagonista e miglior sceneggiatura non originale)
Un genere molto inflazionato negli ultimi decenni, quello dei biopic, raramente però ci si imbatte in prodotti dalla profondità di Copia originale.
Il film racconta la vera storia di Lee Israel (Melissa McCarthy), biografa in declino economico e sociale nella New York degli anni ’90.
Quello che salta subito all’occhio è l’ottimo lavoro di scrittura. I personaggi sono ispirati, scavati nel profondo, veri. Un merito però che non si ferma alla fase di scrittura, ma che va attribuito anche ai due attori principali.
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Copia originale è un film molto interessante e ha ricevuto ben tre nomination agli Oscar (migliore attrice protagonista, miglior attore non protagonista e miglior sceneggiatura non originale)
Un genere molto inflazionato negli ultimi decenni, quello dei biopic, raramente però ci si imbatte in prodotti dalla profondità di Copia originale.
Il film racconta la vera storia di Lee Israel (Melissa McCarthy), biografa in declino economico e sociale nella New York degli anni ’90.
Quello che salta subito all’occhio è l’ottimo lavoro di scrittura. I personaggi sono ispirati, scavati nel profondo, veri. Un merito però che non si ferma alla fase di scrittura, ma che va attribuito anche ai due attori principali. la McCarthy e Grant danno magnificamente vita a due personaggi unici, che catturano la nostra attenzione dal primo frame in cui compaiono. I due si muovono in una New York pulsante, dipinta con estrema eleganza dalla Heller. Una città fredda, dura, contrapposta al calore confortante delle librerie e della casa di Lee, portandoci con estrema facilità all’interno del mondo narrato.
Lee è cinica, schietta, riservata. Odia i costumi del suo ambiente di lavoro, rimanendone sempre al limite di quel milieu, così come rimane al bordo della società tout court. Ma è anche particolarmente estrosa e dotata di una penna ed un carattere tagliente, alle volte fin troppo. Jack è invece molto estroverso, ma condivide con Lee un’esistenza sempre fra le righe, oltre ad una certa passione per il whisky. Sono loro il grande motore che fa funzionare così bene il film. Non si può infatti non entrare in empatia con i due, sebbene entrambi possano apparire piuttosto controversi. Due anime essenzialmente solitarie che si ritrovano a vivere in un mondo che non riconosco più (se mai lo è stato) loro.
Un film che oscilla continuamente fra i generi. Essenzialmente drammatico, riesce però a non prendersi troppo sul serio ed a strapparci più di qualche sorriso in certi momenti, passando per il buddy movie. È forse anche per questo che l’opera non annoia mai e distinguendosi da molti film biografici per la sua capacità di cambiare continuamente registro in favore dei momenti narrativi.
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fabiofeli
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domenica 18 agosto 2019
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"potrai mai perdonarmi?"
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Lee Israel, (Melissa McCarthy), esperta biografa di scrittori, collabora con una rivista letteraria a New York tra gli anni ’70 e ‘90; la donna risponde sgarbatamente a due giovani che in una biblioteca le rimproverano di bere disturbando il loro lavoro di documentazione e manda a quel paese chi si unisce alla loro protesta: il guaio è che si tratta del direttore della sua rivista che la licenzia in tronco. Lee vive in una discreta casa nella metropoli con una gatta dai gusti apparentemente sofisticati; si trova a dover fronteggiare scadenze e bollette, ma l’editrice che ha pubblicato una sua biografia non vuole aiutarla anticipandole denaro per un nuovo libro; ad un party in casa della donna, Lee si ingozza di scotch on the rocks e affronta le rigide temperature invernali infagottata in un cappotto altrui reclamato come suo al guardaroba con la scusa di aver smarrito lo scontrino.
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Lee Israel, (Melissa McCarthy), esperta biografa di scrittori, collabora con una rivista letteraria a New York tra gli anni ’70 e ‘90; la donna risponde sgarbatamente a due giovani che in una biblioteca le rimproverano di bere disturbando il loro lavoro di documentazione e manda a quel paese chi si unisce alla loro protesta: il guaio è che si tratta del direttore della sua rivista che la licenzia in tronco. Lee vive in una discreta casa nella metropoli con una gatta dai gusti apparentemente sofisticati; si trova a dover fronteggiare scadenze e bollette, ma l’editrice che ha pubblicato una sua biografia non vuole aiutarla anticipandole denaro per un nuovo libro; ad un party in casa della donna, Lee si ingozza di scotch on the rocks e affronta le rigide temperature invernali infagottata in un cappotto altrui reclamato come suo al guardaroba con la scusa di aver smarrito lo scontrino. E’ ridotta alla disperazione e staziona in un bar col bicchiere sempre pieno e sempre vuoto, quando appare Jack, (Richard Grant), un tizio pieno di sussiego che afferma di averla conosciuta ad una festa. Lee infine ricorda che in quella festa, Jack, forse ubriaco o in un improvviso slancio di “creatività” ha orinato dentro un armadio. Potrebbe essere l’inizio di un sodalizio per scucire soldi a gestori di librerie con false dediche di scrittori su libri ormai esauriti o loro lettere autografe vere o contraffatte …
Colpisce nel film la certosina ricostruzione dell’atmosfera letteraria newyorchese che racconta la storia di dropout che si aggrappano a precarie ciambelle di salvataggio per non scivolare definitivamente giù nella povertà e nell’oblio. Ti manca il fiato mentre affianchi questi personaggi contro il vento che sputa in faccia turbini di fiocchi di neve tra i grattacieli; con loro cerchi l’insegna e le tende blu che sovrastano le tre vetrine dei caldi locali pieni di libri rari, nuovi o usati, autentiche chicche per i bibliofili: roba esaurita, ma non ancora giudicata degna di una nuova edizione. Di sicuro è complice la colonna sonora che risale a molto prima tra musica jazz, be bop, hard bop, soul rovistando tra vinili della Dietrich e della Fitzgerald, di Mahalia Jackson e Dinah Washington. I dialoghi tra Lee e Jack sono sboccati, ma raffinati e rarefatti quelli tra Lee e Anna, proprietaria di una libreria, che confessa di aver scritto anche lei racconti e muore dalla voglia di sottoporli al giudizio critico ed esperto di quella che ormai le appare come un’amica. La biografa è ruvida e “non ama la gente” come George Bukowski, anzi ancora meno; questi in “Compagni di sbronze” ammette un certo “interesse per il prossimo, certo: solo per fare sesso!”. Alla Israel non interessa chi incontra e neanche fare sesso, ma una lampadina si accende se si può guadagnare per mezzo di estranei. Solo per la gatta malata è disposta a fare sacrifici economici. Non può piacere un personaggio così egocentrico, questa donna goffa e non bella, eppure se ne subisce il fascino per la sua capacità di conoscere a menadito il carattere, il modo di scrivere ed inventare, le frasi ricorrenti di tanti scrittori – ad esempio la Parker col suo ripetuto: “Potrai mai perdonarmi?”-. Lee finisce male, ma sta preparando un trionfale ritorno con un nuovo libro che sarà di certo un irresistibile bestseller. Ottimo film, recitato benissimo.
Valutazione ****
FabioFeli
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jl
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sabato 20 aprile 2019
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la banda degli onesti
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La scrittrice Lee Israel ha da poco perso il suo lavoro come correttrice di bozze presso il New Yorker e per sbarcare il lunario inizia, assistita da Jack Hock, un pusher senza fissa dimora, a creare finta corrispondenza di artisti famosi da rivendere a esperti antiquari. Quando tutto pare andare per il meglio una prima segnalazione giunta all'FBI inizia a generare i primi sospetti riguardo le lettere venduta da Lee.
La scrittrice Lee Israel era in vita tanto odiosa come la Melissa McCarthy che la interpreta sul grande schermo? Chi l’ha realmente conosciuta è pronto a dire senza tema di smentita di sì e ad affermare che l’attrice comica originaria di Plainfield abbia saputo impersonarla come meglio non si poteva.
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La scrittrice Lee Israel ha da poco perso il suo lavoro come correttrice di bozze presso il New Yorker e per sbarcare il lunario inizia, assistita da Jack Hock, un pusher senza fissa dimora, a creare finta corrispondenza di artisti famosi da rivendere a esperti antiquari. Quando tutto pare andare per il meglio una prima segnalazione giunta all'FBI inizia a generare i primi sospetti riguardo le lettere venduta da Lee.
La scrittrice Lee Israel era in vita tanto odiosa come la Melissa McCarthy che la interpreta sul grande schermo? Chi l’ha realmente conosciuta è pronto a dire senza tema di smentita di sì e ad affermare che l’attrice comica originaria di Plainfield abbia saputo impersonarla come meglio non si poteva. Odiosa e al tempo stesso terribilmente sola e legata esclusivamente al suo fido gatto che accudiva come un figlio. La pellicola ci sa restituire il mondo di un’autrice che ruota da sempre nel campo dell’editoria ma che a causa di un carattere impossibile, e di una vena artistica che ormai latita da tempo, non riesce più a trovare un modo per guadagnarsi da vivere. Il mondo di Lee è anche quello che gira attorno alle librerie antiquarie e che grazie a queste gli permetterà di ricominciare a guadagnare nel mentre che consuma numerosi bourbon ini bar di quart’ordine in compagnia del suo (quasi) amico, ma sicuro approfittatore, Jack Hancock; un Richard Grant in grado di muoversi fin troppo bene nel ruolo di un pusher senza casa e incapace di qualunque moralità al punto di trovarsi candidato alla statuetta Oscar come miglior attore non protagonista. La fotografia di Brandon Trost ci riesce a restituire una New York intravista solamente in rare occasioni e attraverso le sapienti inquadrature viste nelle pellicole di Woody Allen e il risultato finale è anche molto attuale a causa della guerra a tutto campo che si combatte nel tentativo di smascherare possibili false notizie, rappresentando al tempo stesso uno scorcio sulla vita depravata e sconfitta di un’antieroina dei nostri giorni che però ha saputo rimediare a tutto quello che aveva guadagnato illegalmente. Oltre a Grant il film dell’eclettica scrittrice e regista Marielle Heller, nota per aver diretto Diario di una teenager e per aver partecipato in veste di attrice a La preda perfetta ha saputo imporsi e candidarsi alla notte degli Oscar sia in termini di sceneggiatura non originale; scritta a quattro mani da Nicole Holofcener e Jeff Whitty e basata sulle memorie della stessa Lee Israel, sia nella categoria di migliore attrice protagonista, grazie alle indubbie qualità di un’eccezionale Melissa McCarthy.
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lucio di loreto
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lunedì 15 aprile 2019
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gli ultimi saranno i primi
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La storia di Lee Israel - un’eccezionale Melissa McCarthy - underdog per scelta, sociopatica e innamorata della bottiglia, ci viene raccontata con la bellissima New York di trent’anni fa sullo sfondo, che con le sue mille luci e colori, i marciapiedi da cui brillano le insegne di meravigliosi locali, salotti e pub, amplifica da un lato l’incanto della Grande Mela e dall’altro il dramma delle vite da marciapiede. Il blocco dello scrittore che pervade la nostra protagonista, il lavoro perduto e un successo letterario mai raggiunto la porteranno proprio a doversi arrangiare per riuscire ad evadere una difficoltà sia lavorativa che economica nonché a “sopravvivere” nel senso reale del termine.
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La storia di Lee Israel - un’eccezionale Melissa McCarthy - underdog per scelta, sociopatica e innamorata della bottiglia, ci viene raccontata con la bellissima New York di trent’anni fa sullo sfondo, che con le sue mille luci e colori, i marciapiedi da cui brillano le insegne di meravigliosi locali, salotti e pub, amplifica da un lato l’incanto della Grande Mela e dall’altro il dramma delle vite da marciapiede. Il blocco dello scrittore che pervade la nostra protagonista, il lavoro perduto e un successo letterario mai raggiunto la porteranno proprio a doversi arrangiare per riuscire ad evadere una difficoltà sia lavorativa che economica nonché a “sopravvivere” nel senso reale del termine. Can you ever forgive me? è basato sul libro omonimo e autobiografico che è valso per la scintillante sceneggiatura non originale una candidatura all’oscar a Jeff Whitty e Nicole Holofcener. L’attrice riesce grazie a dialoghi mai banali a far trasparire il crescente dramma di una donna non bella, grassa, riservata e ormai emarginata, che non ha nemmeno il mese d’affitto in tasca da poter pagare, a reagire di fronte ad una città talmente magnifica ma fredda, distante e indifferente verso i problemi umani e muta perciò di fronte al suo destino. Al suo fianco Jack, un impeccabile Richard E. Grant, omosessuale compagno di bevute e di ingegno, anche lui un perdente segnato dalla vita. La scrittura riesce ad omaggiare l’arte in tutte le sue sfaccettature, compresa quella di Lee che la trasforma in furto, creando falsi che nessuno riesce a riconoscere ma a cui tutti vogliono credere, che siano Brice, Coward o Dorothy Parker. La pellicola, molto più drammatica che commedia, riesce così a movimentarsi e a diventare quasi una sorta di action movie sulla capacità di arrangiarsi in un mondo, quello dei collezionisti, talmente snob e altolocato, da trasformarsi quasi in un pozzo dal quale attingere soldi e ricchezza, sfruttando proprio la cecità e la brama di chi, a costo di possedere cimeli, acquista invece aria fritta. La straordinaria abilità di “Melissa” Israel a scrivere lettere taroccate ne accresce l’autostima che la porterà in un finale spettacolarmente commovente a uccidere il suo vecchio blocco. I due attori portano sul grande schermo magnificamente con ciniche battute e un drink di troppo i lunatici sentimenti che li caratterizzano, le riflessioni intrinseche, la solitudine e il bipolarismo, omaggiando quella città che alle proprie spalle si diverte quasi a vederli ridere soddisfatti dei loro misfatti ma anche piangere a crepacuore una volta giunti davanti allo specchio di casa a giornata finita. Uno straordinario spaccato sugli ultimi della vita, su chi si sveglia all’alba senza sapere dove si andrà a sbattere, senza obiettivi e con mille rimpianti su quel che non è stato e non sarà mai! Un film che diventa struggente, semplice, autoironico, triste e crudo come pochi, grazie a due interpretazioni che rimarranno nella storia e alla macchina da presa di Marielle Heller, che in modo asfissiante ed invadente agguanta oggetti, macchina da scrivere, lacrime, rughe e il peso opprimente di essere un loser in cerca di riscatto.
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zarar
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giovedì 7 marzo 2019
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alla fine la perdoniamo
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Coinvolgente interpretazione di Melissa McCarthy, nel film la scrittrice biografa Lee Israel che, in un momento di crisi creativa e conseguente grave difficoltà economica, agli inizi degli anni ’90, divenne una falsaria di lettere autografe di celebri scrittori, attività che esercitò per un certo periodo con successo, abile com’era nell’immedesimarsi nella personalità degli interessati, al punto di ingannare a lungo compratori e collezionisti. La Israel parlò poi di questa esperienza in un libro, che è alla base della sceneggiatura di questo film. La McCarthy interpreta con ricchezza di sfumature una Lee ridotta alla fame, ma ostinatamente legata al suo destino di scrittrice come unico destino possibile, anche se momentaneamente bloccato e incompreso.
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Coinvolgente interpretazione di Melissa McCarthy, nel film la scrittrice biografa Lee Israel che, in un momento di crisi creativa e conseguente grave difficoltà economica, agli inizi degli anni ’90, divenne una falsaria di lettere autografe di celebri scrittori, attività che esercitò per un certo periodo con successo, abile com’era nell’immedesimarsi nella personalità degli interessati, al punto di ingannare a lungo compratori e collezionisti. La Israel parlò poi di questa esperienza in un libro, che è alla base della sceneggiatura di questo film. La McCarthy interpreta con ricchezza di sfumature una Lee ridotta alla fame, ma ostinatamente legata al suo destino di scrittrice come unico destino possibile, anche se momentaneamente bloccato e incompreso. Ce la troviamo davanti goffa ma indomita, troppo spesso con un bicchiere in mano, con la sua rabbia e il suo orgoglio compressi nella misantropia e nel sarcasmo, ormai incapace di accettare bontà e candore anche dove lo trova, perché non se lo può permettere, eppure sensibile con le creature ancora più indifese e infelici di lei, come la vecchia gatta malatissima o l’amico gay Jack Hoch, un tenero disperato senza fissa dimora. Una regia accurata disegna con efficacia i luoghi chiave della sua parabola discendente nel milieu letterario newyorkese: l’appartamento un tempo trendy, ora sporco e trascurato, i party di lavoro, gli squallidi fast food e le sale solenni della City Library, le strade gelide di Manhattan in inverno, le raffinate librerie e i bar equivoci. Nella buona caratterizzazione del personaggio e del suo ambiente, ricca di echi letterari, il film ha i suoi meriti migliori, anche se il focus vero e proprio è la truffa di cui Lee, messa alle corde dal bisogno, si fa protagonista: la contraffazione di lettere di personaggi noti smerciate a caro prezzo con la complicità di Jack Hoch. Anche in questo caso, però, è il personaggio Lee a fare la parte del leone. Più che il divertimento legato alla spudoratezza dell’impresa e alla suspense per il rischio che Lee e Jack corrono ogni volta, ci fa sorridere la sotterranea soddisfazione con cui la protagonista, lavorando a questa attività truffaldina, valorizza – nel gioco della simulazione - la sua competenza di biografa e la sua capacità di scrittura, trascinandoci involontariamente dalla sua parte. E così non possiamo non essere dalla sua parte quando fa pagare un prezzo ad interlocutori non propriamente innocenti... Proprio per questo, più efficace del titolo italiano ci appare quello originale. “Can You Ever Forgive me?” Yes, we can. Un film gradevole.
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cardclau
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giovedì 28 febbraio 2019
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brutta solitudine
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Il film di Marielle Heller pesca in una storia vera degli anni 90: la scrittrice di biografie di personaggi famosi, immagino stuzzichevoli per un certo tipo di essere umano, animato da una curiosità forse un po’ morbosa e maliziosa, Lee Israel (Melissa McCarty), ha esaurito la sua vena creativa o l’interesse dei lettori per quel tipo di argomento, o forse è la scelta di personaggi avvertiti dal grande pubblico come non più eccitanti.
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Il film di Marielle Heller pesca in una storia vera degli anni 90: la scrittrice di biografie di personaggi famosi, immagino stuzzichevoli per un certo tipo di essere umano, animato da una curiosità forse un po’ morbosa e maliziosa, Lee Israel (Melissa McCarty), ha esaurito la sua vena creativa o l’interesse dei lettori per quel tipo di argomento, o forse è la scelta di personaggi avvertiti dal grande pubblico come non più eccitanti. Essendo fondamentalmente una free lance, con un pessimo carattere, e come unico amico il bicchiere di whisky, si trova senza lavoro e senza risorse perfino per il bread and butter quotidiano. Incapace anche per ragioni caratteriali a trovarsi un umile impiego che la impegni cinque giorni alla settimana, dalle 9.00 alle 18.00, ha una trovata per sbarcare il lunario: sottrarre, copiare, aggiungere nel post scriptum, falsificare, lettere di personaggi famosi e venderle ai collezionisti di quelle cose lì. Il vantaggio? Fare una ragionevole quantità di danaro con uno sforzo fisico e mentale limitato, senza fatica (un sogno). Lo svantaggio? Di percorrere reiterandolo un sentiero di illegalità perché il guadagno facile è di pochi eletti, in un’america capace sempre di più di controllare cosa combinino i suoi cittadini. Non siamo a livelli delle procedure che mette in opera il sistema per difendere lo status quo e il grande capitale, come nel film La Donna Elettrica di Benedikt Erlingsson, con droni, mezzi di identificazione a raggi infrarossi, analisi del DNA, …. Come dice il proverbio il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, e Lee Israel commette un fondamentale errore: mette nel post scritto di alcune lettere di un personaggio alcune considerazioni sulla sua omosessualità, cosa altamente improbabile in un periodo in cui l’omosessualità era considerata un crimine, mettendo gli specializzati acquirenti sul chi va là. Anche il recente film di Clint Eastwood, Il Corriere – The Mule, si imbarca nel racconto preso da una storia vera, in cui il protagonista sceglie l’illegalità, ma le differenze sono a mio parere clamorose. Il film del destraiolo Clint Eastwood è pieno di ironia su un sistema che sufficientemente buono non è, basti pensare a quello che avviene, alla sua recitazione, al poliziotto col cane antidroga, o quello che alla fine accetta i due barilotti pieni di popcorn. Il film di Marielle Heller racconta una invece una storia di solitudine sgangherata, poco attraente, che potrebbe essere mitigata, ma che non è, da un rapporto amoroso con Anna (Dolly Wells), per quanto immaginario e romanzato. Il bisogno di affetto si esprime solo col gatto. Anche la figura di Jack (Richard E Grant) non è particolarmente convincente. Più che un omosessuale, mi ha ricordato un clown, lo spazzacamino di Mary Poppins (l’originale), ma molto più moscio.
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foffola40
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lunedì 25 febbraio 2019
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sgradevole
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Due i protagonisti di questo film: la scrittirice di biografie che nessuno legge più che si consola bevendo e cerca di sbarcare il lunario con molta difficoltà, impreca con tutti e non paga i suoi debiti. Laltro, un omosessuale incontrato in un pub, compagno di bevute, dalla vita dissoluta, che forse vorrebbe aiutarla ma non ne è capace tanto che lascia morire la gatta della scrittrice unico essere vivente amato dalla scorbutica signora.Si inventano un modo di guadagnare illecitamente che all'inizio frutta soldi per arginare i debiti ma poi finisce in una condann. Si tratta di due persone emarginate, sordide nei comportamenti, che vorrebbero manifestare una vita libera da condizionamenti sociali ma certo non spingono lo spettatore all'emulazione foffola40
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Due i protagonisti di questo film: la scrittirice di biografie che nessuno legge più che si consola bevendo e cerca di sbarcare il lunario con molta difficoltà, impreca con tutti e non paga i suoi debiti. Laltro, un omosessuale incontrato in un pub, compagno di bevute, dalla vita dissoluta, che forse vorrebbe aiutarla ma non ne è capace tanto che lascia morire la gatta della scrittrice unico essere vivente amato dalla scorbutica signora.Si inventano un modo di guadagnare illecitamente che all'inizio frutta soldi per arginare i debiti ma poi finisce in una condann. Si tratta di due persone emarginate, sordide nei comportamenti, che vorrebbero manifestare una vita libera da condizionamenti sociali ma certo non spingono lo spettatore all'emulazione foffola40
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[+] mah
(di chiefjoseph)
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kimkiduk
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lunedì 25 febbraio 2019
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film normale
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Recensioni ottime, candidature agli Oscar per le interpretazioni.
Non ti aspetti il capolavoro ma ti aspetti un discreto film.
Non è brutto, ma decisamente sopravvalutato.
Le candidature dei due protagonisti, nettamente migliore Richard E. Grant, penso siano state fatte solo per numero che per vera speranza di vittoria.
La storia, se pur vera, a volte è quasi noiosa e a maggior ragione, se vera, ti fa propendere per gli altri e non per lei, visto che effettivamente era una rompi....
Per il resto la parola giusta per il film è "normale" che lascia passare due ore al cinema senza infamia e senza lode.
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francescameneghetti
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sabato 23 febbraio 2019
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una ribelle sotto traccia
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Il film "Copia originale", della regista Marielle Heller, ispirato a una storia vera del 1991, ci procura anzitutto una piacevole full immersion nelle atmosfere di una New York che pare retrodatata, dai colori autunnali e vicina agli stilemi di Woody Allen: strade alberate, qualche stralcio del Central Park, diversi autobus, ma soprattutto molti interni: librerie antiquarie, biblioteche, bar e ristoranti scuri e accoglienti, un appartamento vecchiotto con un immancabile gatto e tanti tanti libri ovunque. Per non parlare delle macchine da scrivere che sovrastano un solo pc su cui lampeggia il vecchio programma di WordStar. Il tutto accompagnato da una colonna sonora discreta e anch’essa “allenesque”.
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Il film "Copia originale", della regista Marielle Heller, ispirato a una storia vera del 1991, ci procura anzitutto una piacevole full immersion nelle atmosfere di una New York che pare retrodatata, dai colori autunnali e vicina agli stilemi di Woody Allen: strade alberate, qualche stralcio del Central Park, diversi autobus, ma soprattutto molti interni: librerie antiquarie, biblioteche, bar e ristoranti scuri e accoglienti, un appartamento vecchiotto con un immancabile gatto e tanti tanti libri ovunque. Per non parlare delle macchine da scrivere che sovrastano un solo pc su cui lampeggia il vecchio programma di WordStar. Il tutto accompagnato da una colonna sonora discreta e anch’essa “allenesque”.
La storia è quella di Lee Israel, scrittrice in difficoltà economiche dopo il licenziamento, che si inventa un modo creativo ma truffaldino per sopravvivere, falsificando lettere private di scrittrici e scrittori famosi, con una particolare predilezione per Dorothy Parker, fino ad essere scoperta.
Il film ruota attorno a tre temi principali: il rapporto tra la scrittura narrativa e l’alcol (ovvero tra scrittore e mondo reale, da cancellare); l’illusione della verità creata dalle falsificazioni; il rovesciamento del profilo della diva cinematografica.
Quanto al primo punto, è diventato uno stereotipo l’associazione tra scrittore e bicchiere di whisky o di vino, specie nella letteratura americana (non perché gli statunitensi bevano più degli europei, ma perché la rappresentazione di questo rapporto è stata più marcata). Basti pensare a Edgar Allan Poe, Jack London, Hemingway («write drunk, edit sober»), Fitzgerald, Truman Capote Jack Kerouac, Charles Bukowski e molti altri. Esiste in questa schiera di autori alcol dipendenti anche una nicchia formata da donne, come Dorothy Parker, Anne Sexton, Patricia Highsmith e la stessa protagonista della nostra storia.
Indubbiamente la donna che scrive con il bicchiere di whisky in mano (la scena iniziale del film) tende a ricalcare un modello maschile. Può essere vista come un’affermazione di indipendenza e di rifiuto di stereotipi femminili. Questa interpretazione è esasperata in Lee – magnificamente interpretata da Melissa McCarty - anche sotto altri punti di vista: linguaggio volgare e cazzuto, la trasandatezza della persona e della casa, il marcato rifiuto di ogni forma di eleganza o di glamour. Per certi versi ricorda Mildred - Frances McDormand - la protagonista di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, sempre con la stessa tuta da lavoro. A ciò si aggiunge un carattere non facile, ma che sarebbe ingiusto definire “odioso” (come ho letto). Lee è in conflitto con la realtà in cui vive: non ama le ipocrisie e le persone boriose e ricche (da povera). Oggettivamente ama la solitudine, e la sua gatta, ma misantropa è diventata a forza di frequentare certi ambienti. O per vicende della sua vita pregressa che vengono appena accennate. Tant’è che può entrare in sintonia con persone in qualche modo autentiche, come lo strampalato, raffinato, squattrinato Jack Hock, il quale diventa suo amico di bevute e anche complice nelle truffe. Ma anche come la giovane e delicata libraria, lettrice sensibile e aspirante scrittrice. Lee, dunque, pur sciatta, grassa e culona, si affaccia al mondo con occhi di bambina, curiosi, incantati e suscita tenerezza e simpatia, anche quando combatte la sua lotta per la sopravvivenza con le uniche armi di cui dispone: l’intelligenza, la creatività, la padronanza della scrittura. Siamo dunque ben lontani dalla femme fatale, e per fortuna!
Infine il tema della falsificazione, in tempi di fake, risulta molto attuale, così come gli errori dei presunti autenticatori. Ma la personalità dell’attrice protagonista, associata alla verità della storia, hanno il peso maggiore, così da farlo retrocedere. Film da vedere!
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