Hostiles - Ostili

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In viaggio verso se stessi Valutazione 3 stelle su cinque

di Eugenio


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mercoledì 28 febbraio 2018

Homo homini lupus diceva Hobbes. Ovvero il più debole soccombe naturalmente al più forte.
E ancora: Nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita. Così parlava H.D. Lawrence e così è riportato all’inizio di Hostiles- Ostili, ultimo film di Scott Cooper.
La prima scena ci mostra ex-abrupto un precetto di queste amare sentenze: lo sterminio barbaro di una famiglia, due figli e un uomo da parte di un gruppo di ladri di cavalli Comanche e il miracoloso salvataggio di una donna, Rosalie (Rosamund Pike) e del suo figlio appena nato, scampati all’uccisione.
Poi la scena cambia. Ci spostiamo nei tormenti mentali del capitano Joe Blocker (Christian Bale) che giunto alla soglia della pensione è incaricato, su ordine del presidente degli Stati Uniti -pena una condanna alla corte marziale- di condurre dal Nuovo Messico fino al Montana il capo Cheyenne Falco Giallo, in fin di vita per una malattia terminale. Una beffa proprio per un uomo che durante la guerra non ha esitato a massacrare, spinto dall’odio più profondo, decine di indiani, animato da propositi di vendetta, appagata solo quando il sangue di persone amate, fosse pagato con altro sangue, versato su desertici sentieri polverosi.
Joe, accompagnato da un silenzioso drappello e da tre prigionieri indiani troverà nel suo cammino di redenzione la silenziosa Rosalie, ne condividerà il triste destino, quello di anima solitaria dagli occhi tristi, offuscata dall’aura gelida della morte in un territorio che non perdona e dove la guerra tra popoli si tramuta in una spirale d’odio senza fine, mossa solo dagli incubi della ragione.
Incubi che generano mostri nel nome della nuova politica federale di umanità e riconciliazione coi popoli sterminati fino a poco prima.
Il viaggio come strumento di conoscenza, l’occasione di rinascita, la scoperta dei limiti della propria consapevolezza, la dignità umana e il potere della pace. Ecco cosa succede in soldoni, in questo western cupo, dai dialoghi serrati come colpi di fucile.
Un film che sa di già visto, di una storia trasposta in decine di pellicole. Il comportamento di Falco Giallo, al termine protettivo dei confronti del suo carnefice, i tumulti interiori del protagonista, le crisi di coscienza dell’amico commilitone, la lotta insensata nel segno di una violenza immotivata, spesso più da parte dei “bianchi” che degli “indiani” e le maschere di baldanza di soldati prepotenti e arroganti sono il contesto in cui si muovono Joe e la sua truppa sullo sfondo di un tramonto rosso-sangue. Che non nasconde fuochi in mezzo alle mese, notti in tenda, silenzio di volti rassegnati e tanto tanto conformismo, quello vacuo delle alte cariche militari unito ad un sentimento di falsa speranza.
Una pecca non da poco? La sceneggiatura non sempre a supporto della riuscita fotografia e dell’ottimo montaggio.
Ci consoliamo con due aggettivi che ben caratterizzano Hostiles: contemplativo e riflessivo. Una contemplazione, figlia di efferatezze senza fine, che si concentra sugli sguardi dei protagonisti (senza pietà all’inizio, poi via via più “morbidi” sino a un finale che capovolge ogni certezza), per mostrarli sotto la luce di un paesaggio naturale ben fotografato dal giapponese Masanobu Takayanagi.
 
Sospeso in un silenzio quasi poetico, interrotto dal buio di ombre nella notte, Hostiles è un tuffo nei territori di frontiera di fine ottocento, in cui sembra quasi di respirare l’aria brucente del deserto, avvertire il soffio caldo del libeccio e ridestarsi dopo un placido torpore, col cuore in tumulto per gli schiamazzi di un attacco indiano improvviso e letale.
Ritratto dell’animo americano, solitario, stoico e assassino, il film di Cooper, malgrado qualche caduta di stile e una lieve parentesi retorica di Christian Bale che tolta la maschera dell’uomo pipistrello, si muove abbastanza a suo agio in quella di capitano, stringe un legame molto forte con i protagonisti femminili: dalla Rosamund Pike, vedova inconsolabile e assetata di vendetta alle native americane che accompagnano i nostri eroi verso un incerto futuro, idilliaco e chimerico, dove vivere anzi sopravvivere non significa necessariamente uccidere.

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