lapo10
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giovedì 14 dicembre 2017
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bella sorpresa
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Non amo i motori e le gare automobilistiche, perciò quando il film di Matteo Rovere uscì nella primavera del 2016 non lo considerai affatto. Il tam tam e le recensioni positive dei mesi successivi mi hanno obbligato a rivedere la mia decisione. Ed è stato un bene. La curiosità, che via via è cresciuta, è stata piacevolmente ripagata da una storia in grado di catturare il mio modesto interesse per l'argomento. Segno che una buon soggetto può fare miracoli. La musa ispiratrice del regista Matteo Rovere, per una volta, non è stata una bella donna ma il pilota di rally italiano Carlo Capone, uno che correva forte agli inizi degli anni 80 con la Lancia. Ma come spesso succede nel mondo delle competizioni, Capone, che era una cavallo di razza difficile da domare, si scontrò con i vertici della scuderia, di fatto, mettendo fine alla sua carriera, subito dopo aver vinto l'Europeo di Rally.
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Non amo i motori e le gare automobilistiche, perciò quando il film di Matteo Rovere uscì nella primavera del 2016 non lo considerai affatto. Il tam tam e le recensioni positive dei mesi successivi mi hanno obbligato a rivedere la mia decisione. Ed è stato un bene. La curiosità, che via via è cresciuta, è stata piacevolmente ripagata da una storia in grado di catturare il mio modesto interesse per l'argomento. Segno che una buon soggetto può fare miracoli. La musa ispiratrice del regista Matteo Rovere, per una volta, non è stata una bella donna ma il pilota di rally italiano Carlo Capone, uno che correva forte agli inizi degli anni 80 con la Lancia. Ma come spesso succede nel mondo delle competizioni, Capone, che era una cavallo di razza difficile da domare, si scontrò con i vertici della scuderia, di fatto, mettendo fine alla sua carriera, subito dopo aver vinto l'Europeo di Rally. La morte prematura della figlia e la successiva separazione dalla moglie, unite all'amaro ricordo delle gare, fecero cadere il campione in uno stato di profonda e cronica depressione che, solo per un breve periodo, fu mitigato dal ritorno alle corse come coach. Questa sfortunata figura del nostro sport è diventata Loris De Martino, il protagonista di "Veloce come il vento". Giovane asso del volante, diventato tossico ed emarginato, Loris, dopo 10 anni di assenza da casa, torna per il funerale del padre, scopre che la sorella gareggia nella scuderia di famiglia, e conosce il fratellino più piccolo di cui ignorava l'esistenza. A causa di quest'ultimo, che altrimenti sarebbe affidato ai servizi sociali, e di una madre irreperibile, i tre sono costretti ad una convivenza forzata nella casa dei genitori. Giulia, che ha talento da vendere, è giovane ed inesperta, e la mancanza di soldi la costringe a chiedere aiuto all'odiato fratello più grande. Se non vince il campionato non riuscirà a ripianare il debito contratto per partecipare al campionato italiano GT e perderà la casa di famiglia. Inizia così la difficile collaborazione tra il vecchio campione e la giovane promessa... Loris è un gigantesco Stefano Accorsi che da vita ad un personaggio riuscitissimo. Capello lungo ed untuoso, tatuaggi a profusione su un corpo asciutto, denti ingialliti, unghie sporche, volto sfatto e movenze animalesche sono i segni epidermici di un uomo che non sa come gridare il proprio disappunto per una vita finita male. Forse un incidente ed una frattura al polso, che un inutile tutore ci ricordano, hanno messo fine alla sua carriera, e la droga è stata solo il rifugio per un sogno spezzato. Lo scontro con Giulia però, lo risveglia dal torpore mettendo in luce la sua dimenticata quanto strampalata ed irriverente vitalità. La sceneggiatura ci catapulta nel mondo delle corse e si incanala nei binari classici del genere sportivo seguendo le prodezze ed i drammi esistenziali della diciassettenne Giulia (una brava Matilda De Angelis) per poi uscire dal circuito sicuro e rettilineo del genere e percorre la tortuosa pista delle relazioni umane e famigliari opponendo alla protagonista un nuovo punto di vista, quello di Loris che diventa così punto focale della storia. Il cambio di rotta rende il film molto più interessante ed originale, e ci evita il classico epilogo alla Rocky. Ottima la regia di Rovere che dirige con leggerezza, con ritmo veloce ed improvvise decelerazioni per approfondire gli aspetti umani della storia con garbo, ironia e siparietti ben congegnati. Segnalo inoltre la splendida fotografia di Michele D'Attanasio che avviluppa i protagonisti nei loro abitacoli di una luce metallica e fredda come la mente e i nervi dei grandi piloti che possono sbagliare una curva ma vendono cara la pelle nella successiva. Questo film, in fondo, vuole ricordarci, che si può cadere e farsi male ma non è mai troppo tardi per rialzarsi e rimettersi in pista. Una discreta lezione per il nostro Paese che stenta a rimanere in carreggiata.
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lucananni93
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lunedì 7 agosto 2017
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in equilibrio tra cinema hollywoodiano e realismo italiano
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Veloce come il vento funziona, sempre. Non ha cali di tono, la trama scorre liscia e coinvolge lo spettatore fin dalle prime inquadrature. La storia è semplice e ricalca le parabole della ricerca del successo e del sacrificio in stile Rocky, ma aggiunge un'atmosfera di realismo che raramente si viene a sentire nel cinema hollywoodiano. Fotografia patinata in pista e realistica al di fuori, sembra sempre ricordarci l'alternanza di questi due mondi e di come interagiscono fra di loro. Regia schietta e lineare con predilezione per la camera a mano. Assolutamente consigliato per dimostrare che il cinema italiano, quando ci si mette, è capace di prendere un genere non suo e di ampliarlo e renderlo più profondo.
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valterchiappa
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venerdì 2 giugno 2017
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i motori parlano emiliano
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“Veloce come il vento”di Matteo Rovere non è un racconto sportivo. È una storia da bar, di quelle che si potrebbero raccontare in qualche paesino del Modenese, davanti a un bicchiere di vino ed un mazzo di carte. Quelle storie dove i protagonisti sono personaggi leggendari, dove le macchine volano e ruggiscono come tigri, dove la verità si mescola alla favola e non si sa quanto sia iperbolica l’una o inventata l’altra.
Rovere, che dice di aver avuto l’ispirazione ascoltando i racconti di Tonino, un anziano meccanico, ci riporta, riscrivendola liberamente, una di quelle storie: l’incredibile vicenda di Carlo Capone, mitico pilota di rally degli anni ’80, dal talento cristallino e dal carattere indomabile.
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“Veloce come il vento”di Matteo Rovere non è un racconto sportivo. È una storia da bar, di quelle che si potrebbero raccontare in qualche paesino del Modenese, davanti a un bicchiere di vino ed un mazzo di carte. Quelle storie dove i protagonisti sono personaggi leggendari, dove le macchine volano e ruggiscono come tigri, dove la verità si mescola alla favola e non si sa quanto sia iperbolica l’una o inventata l’altra.
Rovere, che dice di aver avuto l’ispirazione ascoltando i racconti di Tonino, un anziano meccanico, ci riporta, riscrivendola liberamente, una di quelle storie: l’incredibile vicenda di Carlo Capone, mitico pilota di rally degli anni ’80, dal talento cristallino e dal carattere indomabile. Vincitore del Campionato europeo rally nel 1984, ribelle a tutti gli ordini di scuderia, nonostante quel trionfo fu licenziato dalla Lancia, precipitando nel tunnel della droga e del disagio psichiatrico.
In “Veloce come il vento” la scena si sposta naturalmente in Emilia, terra di origine del regista romano. La famiglia Di Martino vive di pane e motori: la giovanissima Giulia (Matilda De Angelis), ancora minorenne, è una promettente campionessa, il padre, meccanico, il suo allenatore; dietro una madre che li ha abbandonati ed un fratellino introverso e perennemente serio. E poi il fratello maggiore Loris (Stefano Accorsi), detto “Ballerino”, ex pilota spericolato e dal prodigioso talento. Diventato tossicodipendente dopo la partenza della madre, vive da sbandato in una roulotte assieme alla donna.
Un giorno il padre muore per un infarto che lo coglie, come gli si addice, a bordo pista. L’officina chiude, rimane solo il vecchio e fedele Tonino. Giulia, solida ed equilibrata, si carica sulle spalle la difficile situazione. Ma deve continuare a correre: il padre si era indebitato per iscriverla al Campionato e se non vincerà dovrà lasciare la casa al crudele avversario Minotti. Un’impresa disperata. Ma quando Loris ritorna a casa per pretendere la sua parte di eredità, viene richiamato da una droga più potente di quella che si inietta nelle vene: il fumo di scarico gli entra nei polmoni, l’olio gli circola nelle vene, il rombo dei cilindri è musica nella sua testa. Comincerà a seguire la sorella, trasmettendogli la sua contagiosa follia e indicandogli quelle imprevedibili traiettorie che solo il suo infallibile occhio sa vedere, le sole linee che sono restate chiare nella sua mente obnubilata.
Vincere un campionato con un team formato da una ragazzina, un tossico ed un vecchio: davvero una storia da bar. Che si muove su un filo sottile, fra l’equilibrio e la follia, la possibile redenzione e la definitiva perdizione, fra una droga, quella chimica, e l’altra, quella di una passione totalizzante.
Film veloce come il suo titolo, sanguigno, eccessivo nelle caratterizzazioni, come forse la storia richiede. La storia ed i personaggi coinvolgono, passandosi la scena: prima domina la tenace determinazione di Giulia, poi irrompe e conquista l’irruenta sregolatezza di Loris. Accorsi, dimagrito, segnato, con i capelli lunghi e bisunti e la dentatura marcia, è favorito da un ruolo da mattatore destinato ad accattivarsi il pubblico. Ma, a nostro vedere, calca troppo la mano, gigioneggia con l’accento bolognese, riproduce un tossico troppo tossico; per diventare però irresistibile quando finalmente si mette al volante della sua vecchia Peugeot 205 T16. Impressionante per contro l’esordio della giovane Matilda De Angelis, per una presenza scenica che riempie lo schermo e una personalità che si manifesta imponente fin dalle prime scene.
“Veloce come il vento”ha poco a che vedere con “Rush” o i vari “Fast and furious”. Non ci sono la fantascientifica tecnologia dei box di Formula Uno, né il mondo dorato delle feste mondane: solo sudore, grasso dei motori, bulloni e chiavi inglesi; nessun occhio elettronico, nessun computer, solo quella voce magica che ti ordina di raddrizzare le curve, montare sui cordoli, anticipare, chiudere, dare gas. E così le scene di corsa non hanno effetti speciali o computer grafica: riprese artigianali, con le camere montate sui cofani delle macchine, ma, come queste, velocissime ed adrenaliniche per quanto vere.
Un parallelo, pur nella diversità, ci sembra invece opportuno con il contemporaneo “Jeeg Robot” di Mainetti. In entrambi infatti c’è il tentativo riuscito di rinnovare i film di genere, immergendoli nella cultura italiana. E in questa operazione è fondamentale il ruolo dei regionalismi, dalla Roma delle borgate, all’Emilia dei motori. Se la passione per i motori nasce nei vecchi cascinali trasformati in officine, tra chiavi a stella e fusti d’olio; se non beve champagne ma lambrusco; se parla una sola lingua, l’emiliano, così il nostro cinema, uscendo dai morti salotti borghesi, attingendo all’antico, prezioso crogiolo di quella cultura popolare che è la nostra più grande e forse unica ricchezza, potrà essere finalmente innovativo. E orgogliosamente italiano.
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goldy
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martedì 28 marzo 2017
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meglio tradi che mai
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Un elogio ai David di Donatello che hanno ripescato un film bellissimo interpretato in modo superbo da Accorsi. Il film è stato sottovalutato dalla critica e questo premio spero lo rirpoponga in visione nelle sale perchè merita.
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dannymilan22
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sabato 11 marzo 2017
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uno dei migliori film italiani dell'anno
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Quello che Matteo Rovere ha realizzato è alla pari del tentativo di Lo Chiamavano Jeeg Robot di realizzare qualcosa di nuovo nel cinema italiano. Il film è una vera e propria scarica di adrenalina, che mostra come la passione per i motori si possa tramandare di padre in figlio. Siamo in Emilia Romagna e Giulia, sedicenne partecipa con il padre coach al campionato di GT italiano. Ha molto talento e i motori sono la sua vita. Tutto cambia quando suo papà viene a mancare e viene costretta a vivere con il fratello tossico Loris. Quest'ultimo vive una vita al limite ed è costretto a tornare alla casa familiare dopo 10 anni di assenza.
E' un ex pilota che per i suoi eccessi viene da tutti chiamato Ballerino.
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Quello che Matteo Rovere ha realizzato è alla pari del tentativo di Lo Chiamavano Jeeg Robot di realizzare qualcosa di nuovo nel cinema italiano. Il film è una vera e propria scarica di adrenalina, che mostra come la passione per i motori si possa tramandare di padre in figlio. Siamo in Emilia Romagna e Giulia, sedicenne partecipa con il padre coach al campionato di GT italiano. Ha molto talento e i motori sono la sua vita. Tutto cambia quando suo papà viene a mancare e viene costretta a vivere con il fratello tossico Loris. Quest'ultimo vive una vita al limite ed è costretto a tornare alla casa familiare dopo 10 anni di assenza.
E' un ex pilota che per i suoi eccessi viene da tutti chiamato Ballerino. Pur di fare un pò di soldi per comprarsi le dosi decide di allenare la sorella, a cui manca un coach. A poco a poco Loris si rivela un bravo allenatore che punta a far tirar fuori alla sorella un pò di grinta per esporsi a rischi a cui lei non è abituata.
Una partenza del campionato disastrosa viene migliorata grazie a Loris, che con i suoi modi burberi riesce a motivare Giulia. Giulia, dopo la morte del padre diventa la responsabile del fratellino Nico e sa che se non vincerà il campionato perderà la loro casa, per un vecchio accordo. Tutto sembra andare bene quando Giulia, dopo un incidente sarà impossibilitata dal fare la gara della vittoria.
Perde quindi la casa e il fratello viene dato in affidamento. La sua vita di prima non esiste più.
Alla fine il regista si diverte a giocare con la morte e questo rende il film ancora più particolare. Il fratello Loris riuscirà a risolvere tutto con la vittoria dell'Italian Race, una gara pericolosissima.
Il film mantiene un buon ritmo e come i migliori film americani ha una trama non scontata. Le scene delle gare sono fantastiche e realistiche e la fotografia è ottima.
Ottime anche le interpretazioni di Stefano Accorsi, qui dimagrito ed imbruttito, e della protagonista Matilda De Angelis.
Loris è un tossico ingenuo e sfrontato e Giulia, la sorella responsabile che cerca di salvare la sua casa.
Ispirato da una storia vera, questo film dimostra che nel cinema italiano si può ancora osare.
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belragzorm
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mercoledì 1 febbraio 2017
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delusione
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Sinteticamente: non mi è piaciuto. Ogni passaggio narrativo avviene come ti aspetti che avvenga: è la classica storia di redenzione di un personaggio che si è perso a causa di un'adolescenza difficile e della droga...ma che è bravissimo a guidare le auto da corsa. Nella parte centrale anche molto noioso, con dei dialoghi che ricordano, in peggio, quelli di una fiction di Rai 1.
Unica nota interessante le scene delle gare automobilistiche che sono rese con una certa efficacia.
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boffese
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martedì 31 gennaio 2017
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roboante
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Sono partito prevenuto su questa pellicola per tre motivi.
1- Matteo Rovere , giovane regista , nelle sue prime due opere non mi aveva convinto per niente.
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Sono partito prevenuto su questa pellicola per tre motivi.
1- Matteo Rovere , giovane regista , nelle sue prime due opere non mi aveva convinto per niente. Fa centro al terzo colpo , bravo alla regia , aiutato da un buonissimo montaggio.
2- Il soggetto , non mi entusiasmava , lo vedevo come uno script scialbo , tutto motori e poco altro. Invece , e' una bella storia , interessante e ben sceneggiata.
3- Stefano Accorsi , lo considero tra gli attori piu sopravvalutatati del panorama cinematografico europeo. Ora , mi devo ravvedere , perche' in questa pellicola , fa la differenza, senza strafare , senza cercare la caretterizzazione esagerata , di un personaggio gia' "sporco" di suo.
Aggiungo una postilla , sulla bravissima attrice esordiente Matilda De Angelis, che risulta molto vera , in un ruolo notoriamente maschile. Brava.
Voto 7,5.
Ah , anch 'io spesso ho puntato il dito contro il nostro cinema , ma devo ammettere che quest anno ci sono state pellicole di grandissimo valore , basti pensare al film d esordio di Mainetti "Jeeg robot" , al lodevole Non essere cattivo di Caligari e al film di Genovese Perfetti Sconosciuti , maturo e intelligente , grazie ad una sceneggiatura formidabile.
L'anno prima , Il racconto dei racconti , Youth e Mia madre.
Tutti parlano del grande film francese , ma ultimamente vinciamo 3-0 secco .
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onufrio
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martedì 10 gennaio 2017
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taglia le curve!
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Scettico in principio di fronte ad un film ITALIANO del genere, sorpreso in positivo alla fine della visione per un ottimo ed originale film girato da Matteo Rovere che trova in Stefano Accorsi il personaggio tanto complesso quanto carismatico, "motore" di questa storia che vede come protagonista la giovane Matilda De Angelis nei panni di Giulia De Martino, 17enne pilota impegnata nel campionato gran turismo che si ritrova in una situazione non proprio facile dopo l'improvvisa morte del padre. A quel punto, con la madre sparita chissà dove ed un fratello minore a carico, è bisognosa per forza di cose a ritornare in contatto col fratellone Loris, ex pilota ormai "tossico di merda".
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Scettico in principio di fronte ad un film ITALIANO del genere, sorpreso in positivo alla fine della visione per un ottimo ed originale film girato da Matteo Rovere che trova in Stefano Accorsi il personaggio tanto complesso quanto carismatico, "motore" di questa storia che vede come protagonista la giovane Matilda De Angelis nei panni di Giulia De Martino, 17enne pilota impegnata nel campionato gran turismo che si ritrova in una situazione non proprio facile dopo l'improvvisa morte del padre. A quel punto, con la madre sparita chissà dove ed un fratello minore a carico, è bisognosa per forza di cose a ritornare in contatto col fratellone Loris, ex pilota ormai "tossico di merda".
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johnvr78
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domenica 16 ottobre 2016
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film da vedere e da consigliare . . .
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Ho appena visto il film "Veloce come il Vento" e da vero Appassionato di cinema più di Film Americani che Italiani,di macchine e motori non me ne intendo ma ovvio mi piace il genere,questo film fa essere orgoglioso di essere Italiano . . .
La cosa che mi ha spinto a guardare questo film è stato per l'attore "Stefano Accorsi" che devo dire Grande interpretazione e bravura,come sapevo già prima di vedere il film . . .
tanto di cappello anche alla regia e tutto il cast per questa realizzazione che a parer mio resta un capolavoro per il genere trattato . . .
volevo replicare ad altre recensioni lette a quanto riguarda le auto,secondo me sarebbe stato più bello certamente dare rilievo alle macchine italiane di quegli anni ma sicuramente ci saranno stati dei buoni motivi per la scelta di una Porche al posto di una Ferrari,mi piacerebbe saperne di più al riguardo .
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Ho appena visto il film "Veloce come il Vento" e da vero Appassionato di cinema più di Film Americani che Italiani,di macchine e motori non me ne intendo ma ovvio mi piace il genere,questo film fa essere orgoglioso di essere Italiano . . .
La cosa che mi ha spinto a guardare questo film è stato per l'attore "Stefano Accorsi" che devo dire Grande interpretazione e bravura,come sapevo già prima di vedere il film . . .
tanto di cappello anche alla regia e tutto il cast per questa realizzazione che a parer mio resta un capolavoro per il genere trattato . . .
volevo replicare ad altre recensioni lette a quanto riguarda le auto,secondo me sarebbe stato più bello certamente dare rilievo alle macchine italiane di quegli anni ma sicuramente ci saranno stati dei buoni motivi per la scelta di una Porche al posto di una Ferrari,mi piacerebbe saperne di più al riguardo . . .
per quelli che credono abbia fatto un film che parla di un pilota veramente esistito,si è solamente ispirato ad un pilota e non racconta la storia di quel pilota . . .
poi vorrei rispondere per quanto riguarda alla recensione che ho letto che dice,fanno la gara e che come tutti i film a lieto fine con la vittoria del protagonista e che dicono del tipo dopo anni di tossicodipendenza non puo' essere lucido ed affrontare una gara,secondo me anche se non hanno fato capire bene allo spettatore,il personaggio Loris si rifugia in isolamento nella sua roulotte e per quel periodo si è allontanato alla droga,certo non si nota bene nel film ma secondo me è quello che ha fatto prima di affrontare la gara finale,devo dire che secondo me non hai visto il film e non hai capito la scena finale . . .
La scena finale del film tipica allo stile Italiano e complimenti a "Matteo Rovere"per tutto il Film e per il messaggio della scena finale. . .mi piacerebbe saperne di più anche a proposito di quella scena secondo la sua visione . . .dove è possibile leggere per saperne di più ?
saluto a tutti e comunque i gusti sono strettamente personali e chiunque è libero di esprimere il proprio giudizio con rispetto nei confronti di quelli che realizzano Film...
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emanuele 1968
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mercoledì 28 settembre 2016
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bello
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Mi ha un pò disturbato il film, il regista evidenzia benissimo ciò che siamo, ovvero che siamo amanti nostra opignone, giusta ho sbagliata che sia, basta guardarsi in giro, e con alcuni purtroppo non c'è verso di raggiungre un pacifico accordo.
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