dario lodi
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mercoledì 6 febbraio 2019
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robusto
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La storia è inverosimile, ma è condotta con sagacia. La grande regia giustifica ampiamente la visione di questo piccolo gioiello dove a brillare è il linguaggio cinematografico, usato alla perfezione. Questo s'impone alla magrezza della sceneggiatura.
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onufrio
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sabato 19 gennaio 2019
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benvenuto nella mia famiglia
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Chris e Rose stanno insieme da quattro mesi, la ragazza vuole presentare il proprio compagno ai suoi genitori. Chris si pone la questione se il suo colore della pelle possa rappresentare un problema per i genitori di Rose ma accetta l'invito e affronta la famiglia. Il clima cambia drasticamente, lo spettatore lo percepisce sin dal viaggio della coppia (il cervo ucciso con la macchina), il clima che si respira nella villa degli Armitage non è proprio di quelli amichevoli, cosa nasconde questa famiglia?
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cinephilo
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domenica 18 novembre 2018
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abbastanza deludente
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Il film inizialmente parte bene, i ritmi sono incalzanti, quasi magnetici. L'atmosfera da vero noir con tono di thriller va però mano a mano sciupandosi fin quasi a scadere nel comico. Peccato perchè Jordan Peele sembra far trasparire del talento e le premesse erano davvero buone, ma le conclusioni...
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giovedì 14 giugno 2018
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critica ai neri "bianchizzati"
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L'identità nera sprofonda - "sink" - nel subconscio, soffocata da un predominio "bianco". È questo il paradosso di Get Out, una rappresentazione dell'America perbenista, sia bianca che nera. Da un lato i bianchi "tolleranti", dall'altro i neri "integrati", in mezzo Chris che come unica soluzione ha quella di scappare. Ridotto dal perbenismo bianco a "fenomeno" - i muscoli, tiger woods, ho votato Obama due volte - al jazzista scomparso che veste un altro stile e non dà il pugno al "fratello" nero - anzi, quando lui lo avvicina dicendo che è un sollievo vedere un altro bro', viene quasi canzonato - alla cameriera nera che sorridendo piange. È così che Peele vede l'integrazione dei neri in Usa: uno sprofondo nell'abisso, in cui l'identità si annulla e la facciata è sintetizzata nella doppia espressione della cameriera-nonna.
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L'identità nera sprofonda - "sink" - nel subconscio, soffocata da un predominio "bianco". È questo il paradosso di Get Out, una rappresentazione dell'America perbenista, sia bianca che nera. Da un lato i bianchi "tolleranti", dall'altro i neri "integrati", in mezzo Chris che come unica soluzione ha quella di scappare. Ridotto dal perbenismo bianco a "fenomeno" - i muscoli, tiger woods, ho votato Obama due volte - al jazzista scomparso che veste un altro stile e non dà il pugno al "fratello" nero - anzi, quando lui lo avvicina dicendo che è un sollievo vedere un altro bro', viene quasi canzonato - alla cameriera nera che sorridendo piange. È così che Peele vede l'integrazione dei neri in Usa: uno sprofondo nell'abisso, in cui l'identità si annulla e la facciata è sintetizzata nella doppia espressione della cameriera-nonna. Dagli abissi riesce ancora, però, a fare capolino l'io nero che piange o gridando avverte: scappa!
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pedro
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venerdì 6 aprile 2018
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uno dei film recenti più sopravvalutati
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Giudizio non uniforme.
Anticipo: poche volte ho visto un fim cosi sopravvalutato, nei giudizi, nelle nomination Oscar e negli incassi.
Già detto: non è un horror, ma un trhiller psicologico.
Detto questo il film si fa guardare, ma quasi esclusivamente nella prima parte (diciamo fino al flash al collega “sex slave”).
La seconda lascia (molto) perplessi.
Faccio solo alcuni esempi di contraddizioni o incongrunze poco accettabili e che rendono inverosimile anche trame fantasiose: Anche ammettendo che le altre vittime “degli ipnotici” siano andate a casa dei suoceri senza avvisare nessuno, è difficile credere che la scomparsa del protagonista sarebbe passata inosservata da suoi, e loro amici (cioè della coppia).
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Giudizio non uniforme.
Anticipo: poche volte ho visto un fim cosi sopravvalutato, nei giudizi, nelle nomination Oscar e negli incassi.
Già detto: non è un horror, ma un trhiller psicologico.
Detto questo il film si fa guardare, ma quasi esclusivamente nella prima parte (diciamo fino al flash al collega “sex slave”).
La seconda lascia (molto) perplessi.
Faccio solo alcuni esempi di contraddizioni o incongrunze poco accettabili e che rendono inverosimile anche trame fantasiose: Anche ammettendo che le altre vittime “degli ipnotici” siano andate a casa dei suoceri senza avvisare nessuno, è difficile credere che la scomparsa del protagonista sarebbe passata inosservata da suoi, e loro amici (cioè della coppia). Ma che aveva un solo amico? Non frequentavano nessuno?
Fa gioco al film (anzi: direi che sono tra i migliori momenti del film) il pacioccone agente della sicurezza aeroporti, ma non contribuisce alla coerenza della storia. Perchè quel dettaglio non richiesto “è andato via in taxi” detto dalla fidanzata psicopatica?
Infine si poteva fare molto meglio nel meccanismo della fuga: come abbia fatto a mettersi quella fibra sulle orecchie non è informazione nota. Sul perchè si trapanesse il cervello del ricevente, mentre l’altro stava ancora in camera, difficilmente compatibile con i tempi e modi del trapianto. Ma soprattutto risulta inverosimile che il prigioniero donante, infomato da un obseoleto TV su cosa lo attende, non abbia nessuna videocamera di sicurezza che lo sorvegli (pareva esserlo quel grande trofeo di cervo inquadrato sovente, ma solo perchè futura arma di offesa).
Insomma. Dopo la prima parte ci si aspettava qualcosa di (molto) meglio.
Alla fine lascia quasi interdetti, sconcertati nella mediocre soluzione finale. Non resta nulla.
Visti gli anteriori commenti, capisco che molti non saranno daccordo, ma per me merita 1 e mezzo (media tra io 3 della prima parte e l’uno della seconda). Alla fine proponedo per 2.
NB visto in lingua originale.
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fabiotramell
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lunedì 19 marzo 2018
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dal paradiso all'inferno
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E' una rarità vedere alle nomination degli Academy Awards una pellicola horror, e i meriti ci sono senzaltro per originalità. Il film è molto scorrevole perchè fa aumentare la suspance dello spettatore pian piano che i minuti avanzano, come ogni buon thriller che si rispetti.
Attenzione a quello che scrivo ora [SPOILER] Qui il protagonista assieme allo spettatore del film, conosce una nuova realtà, quella che dovrebbe essere la sua nuova famiglia. Lui è un fotografo di colore fidanzato con una bellissima ragazza bianca molto ricca di famiglia, dopo un po che la relazione va avanti, lei decide di presentarlo ai suoi genitori nella loro lussuosa tenuta. Durante il viaggio in macchina, lui chiede con non poco imbarazzo se lei aveva avvertito i suoi genitori che il fidanzato di sua figlia era un ragazzo di colore.
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E' una rarità vedere alle nomination degli Academy Awards una pellicola horror, e i meriti ci sono senzaltro per originalità. Il film è molto scorrevole perchè fa aumentare la suspance dello spettatore pian piano che i minuti avanzano, come ogni buon thriller che si rispetti.
Attenzione a quello che scrivo ora [SPOILER] Qui il protagonista assieme allo spettatore del film, conosce una nuova realtà, quella che dovrebbe essere la sua nuova famiglia. Lui è un fotografo di colore fidanzato con una bellissima ragazza bianca molto ricca di famiglia, dopo un po che la relazione va avanti, lei decide di presentarlo ai suoi genitori nella loro lussuosa tenuta. Durante il viaggio in macchina, lui chiede con non poco imbarazzo se lei aveva avvertito i suoi genitori che il fidanzato di sua figlia era un ragazzo di colore.. La sua fidanzata risponde tranquillamente di no, dicendo che i suoi genitori sono persone molto aperte e non avuto problemi anzi.. Arrivati alla tenuta, si presenta ai genitori della ragazza che lo accolgono con caloroso entusiasmo, tanto che lui oltre a esserne particolarmente felice mostra un lieve imbarazzo per l'esagerazione. Il padre gli mostra la casa e durante il giro, nota che la servitù è formata tutta da persone di colore che lo guardano con sguardo arcigno, cosa che gli aumenta il disagio. Quello che peggiora le cose in un momento abbastanza delicato, è l'arrivo del fratello della sua ragazza, che si rivela un tipo molto aggressivo e durante la cena dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo, tenta di sfidarlo più volte con discorsi che si dice che la razza nera sia più forte di quella bianca, e ancora peggio viene a sapere che in quel weekend ci sarebbe stato un party famigliare con tutti i parenti della ragazza. Durante la notte e al party succederanno molte cose che trasformeranno quello che doveva essere un radioso fine settimana, ad un vero e proprio incubo, e la sua unica ancora di salvezza è legata al suo amico che da casa continua a consigliarli di andarsene (il ruolo del suo amico è importante perchè spacca il clima horror con della parti comiche restando sempre nel clima di tensione)comunque, l'unica azione di salvezza per il nostro amico fotografo è "GET OUT" e di corsa anche!
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salcat
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domenica 11 marzo 2018
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nulla di originale
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Film che ha più di qualche analogia con The Skeleton Key. Discreto prodotto... Ma non da oscar.
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astromelia
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martedì 6 febbraio 2018
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ma che oscar
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beh,candidato all'oscar e/o miglior attore anche no,un thriller come tanti altri,per quanto riguarda la questione razziale la cineteca mondiale ne è piena....non capisco l'esaltazione ma poi dipende da quello che ognuno sceglie di vedere al cinema
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ennio
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domenica 22 ottobre 2017
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originale, anche in dialoghi e sceneggiatura
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Udite udite un horror made in USA di ottima fattura. Praticamente un evento. Si potrebbe definire un thriller psicologico con qualche risvolto horror concentrato nel finale. Sicuramente l'idea dell'ipnosi come tecnica di reclutamento di vittime è originale e la regìa ha saputo distribuire il crescendo dei colpi di scena nel modo migliore. Apprezzabile anche la satira sociale, non banale, sul tema (ovvio) del razzismo.
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valterchiappa
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martedì 17 ottobre 2017
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l'ultimo volto del razzismo
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Cosa direste ad un ragazzo di colore che viene accolto a pacche sulle spalle e chiamato “fratello” da un gruppo di bianchi maturi, agiati e benpensanti? Quello che pensa, Jordan Peele glielo dice a chiare lettere “Get out!”.
Scappa, a gambe levate.
Dopo una serie che minaccia di diventare infinita di film in cui alla discriminazione razziale si contrappone il faticoso riscatto dell’uomo nero attraverso la sofferenza (da “The help”, a “12 anni schiavo”, a “Selma”, a “Il diritto di contare”), dopo film che si focalizzano sulla condizione della black people, estrapolandola dal resto del mondo (da ultimo il premio Oscar 2017 “Moonlight”), finalmente un’opera che spariglia le carte e lancia un messaggio nuovo, allarmante e che rischia di essere terribilmente vero.
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Cosa direste ad un ragazzo di colore che viene accolto a pacche sulle spalle e chiamato “fratello” da un gruppo di bianchi maturi, agiati e benpensanti? Quello che pensa, Jordan Peele glielo dice a chiare lettere “Get out!”.
Scappa, a gambe levate.
Dopo una serie che minaccia di diventare infinita di film in cui alla discriminazione razziale si contrappone il faticoso riscatto dell’uomo nero attraverso la sofferenza (da “The help”, a “12 anni schiavo”, a “Selma”, a “Il diritto di contare”), dopo film che si focalizzano sulla condizione della black people, estrapolandola dal resto del mondo (da ultimo il premio Oscar 2017 “Moonlight”), finalmente un’opera che spariglia le carte e lancia un messaggio nuovo, allarmante e che rischia di essere terribilmente vero. Ci voleva un comico per buttare all’aria una serie di cliché divenuta, dopo il buonismo dell’era Obama, quasi insopportabile e che, ciò che è più grave, minaccia di trasformarsi in una prigione ancora più soffocante del razzismo.
Il regista parte, e forse non è un caso, dal film che 50 anni fu l’antesignano di ogni discorso sul tema razziale: “Indovina chi viene a cena”. C’è la ragazza dal volto pulito (Allison Williams), c’è il suo prestante boyfriend con la pelle nera nera (Daniel Kaluuya), c’è la presentazione ai genitori, professionisti benestanti (un neurochirurgo e una psichiatra, attenzione), isolati nella loro tenuta della Deep America.
Ma da qui Peele parte per la tangente e stravolge tutto. Dimenticate la burbera saggezza di Spencer Tracy e gli occhi gonfi di pianto di Katharine Hepburn. Non c’è dibattito tra idealismo e pragmatismo, non ci sono gli scontri generazionali, non c’è sentimento, né sentimentalismo. Questa è una storia dell’orrore.
Non per il genere prescelto per raccontarla, ma per il suo messaggio. Le guerre non si combattono più contrapponendosi, ma inglobando. E classificando. Tutti al loro posto ed ognuno con il suo ruolo, perché ognuno ha qualcosa da mettere a disposizione del potere. E se sei un nero cosa puoi offrire, agli occhi di un manipolo di vecchi conservatori chiusi nei loro beceri pregiudizi? La prestanza fisica, la potenza sessuale, il corpo, nulla più. Se ogni caratterizzazione implica differenza, quindi razzismo, qui siamo ad una ideologizzazione della razza degna di Mengele.
Come detto, Jordan Peele sceglie l’horror, e lo fa appropriatamente, ma il genere è uno strumento, non il fine. Lo tratta quindi in maniera volutamente convenzionale, riferendosi a dei precedenti riconoscibili (il regista ha dichiarato di essersi ispirato a “La notte dei morti viventi”) ed utilizzando espedienti tecnici standard per creare la suspense. Nel collazionare ed assemblare citazioni e nel trattare il genere con irriverente distacco si ravvede quasi uno spirito tarantiniano; lo si riconosce senz’altro nel convulso finale (usiamo appositamente un aggettivo generico).
Quindi se andate a vedere “Scappa – Get out”, col solo proposito di saltare un po’ sulla poltrona, sentendo l’adrenalina schizzare, probabilmente rimarrete delusi: da questo punto di vista non c’è nulla di nuovo sotto il sole. La scelta di un genere narrativo così caratterizzante in questo senso costituisce un limite del lavoro di Peele: la ricerca del brivido, in particolare da parte degli appassionati, distoglie dal messaggio.
Ma se cercate altro, se cercate cinema, nella sceneggiatura ci sono tocchi di vera genialità: la metafora del cervo, che ricorre all’inizio, centralmente, nello straniante discorso del papà della sposa, e nel finale, sempre con una precisa simbologia; il ruolo dell’amico, appositamente tenuto estraneo alla vicenda, che, come una Cassandra, profetizza la lucida realtà dei fatti ad una mente, quella del protagonista, che pare ottenebrata da una misteriosa nebbia; i discorsi dei vecchi barbogi, che dipingono il quadro allucinante che si nasconde dietro il politically correct. E il finale, che lascia prefigurare le possibili, terribili conseguenze di questo stato di cose.
Non c’era bisogno di rinnovare l’horror e Jordan Peele non lo fa. C’era bisogno di dire qualcosa di diverso, spiazzante, orrorifico sul razzismo, c’era un allarme da lanciare alla gente nera e Jordan Peele questo lo urla: Scappa!!!
Voto: 7-
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