laurence316
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domenica 20 agosto 2017
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thriller dai risvolti satirici, buon esordio
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Ispirato da La fabbrica delle mogli, il regista costruisce un film che non è del tutto corretto definire un horror: si tratta più di un thriller psicologico dai contorni dark e splatter (ma solo nell'ultima parte) e di un'operazione di satira dell'ipocrisia di una parte di popolazione borghese "liberal" nei confronti dei neri, del loro atteggiamento un po' paternalistico un po' arrogante un po' indifferente (che nel film è portato alle estreme conseguenze, ma anche nella realtà porta raramente ad effetti positivi).
Parla, cosa non da poco, di razzismo, schiavitù e anche del fatto, come è stato giustamente notato, di come la scomparsa di un afroamericano non riceva lo stesso grado di attenzione da parte delle forze dell'ordine e dei media rispetto a quella di un bianco.
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Ispirato da La fabbrica delle mogli, il regista costruisce un film che non è del tutto corretto definire un horror: si tratta più di un thriller psicologico dai contorni dark e splatter (ma solo nell'ultima parte) e di un'operazione di satira dell'ipocrisia di una parte di popolazione borghese "liberal" nei confronti dei neri, del loro atteggiamento un po' paternalistico un po' arrogante un po' indifferente (che nel film è portato alle estreme conseguenze, ma anche nella realtà porta raramente ad effetti positivi).
Parla, cosa non da poco, di razzismo, schiavitù e anche del fatto, come è stato giustamente notato, di come la scomparsa di un afroamericano non riceva lo stesso grado di attenzione da parte delle forze dell'ordine e dei media rispetto a quella di un bianco.
Get Out è un bizzarro mix di commedia (Indovina chi viene a cena), paranoid film anni ‘70 (ipnosi, lavaggi del cervello, similitudini col già citato La fabbrica delle mogli) e horror estremo (Society – The Horror), che però non sempre riesce ad amalgamare al meglio tutte queste sue eterogenee componenti. In particolare, le parentesi comiche con protagonista principalmente l’amico Rod spesso hanno il solo effetto di smorzare la tensione (che, comunque, indubbiamente c’è e si fa sempre più opprimente man mano che il film procede, fino alla rivelazione finale).
E’ un film disturbante (dopotutto si tratta dell’America del 2017, non di quella degli anni ‘60 o del 1800), inquietante a tratti, ma non troppo innovativo nel meccanismo né sempre perfettamente bilanciato (come detto, in alcune occasioni si fa cadere un po’ troppo la suspense, finendo quasi per annoiare).
Ma, nonostante tutto, introduce spunti di riflessione non da poco e per nulla banali, che guardano con occhio non troppo entusiasta (giustamente) ai cambiamenti che la presidenza Obama avrebbe dovuto introdurre ma che invece ha mancato di fare, e in ultima istanza il film si fa riflessione su una società che di progressista o antirazzista pare avere ben poco, e non solo tra gli estremisti neo-nazisti rozzi, volgari ed ignoranti troppo facile oggetto di parodia, ma anche tra le cosiddette “persone per bene”.
Più che i modi o le tecniche con cui è realizzato, a fare la fortuna del film è insomma il suo concentrarsi su un tema mai così scottante ed attuale, che porta a chiedersi se certi cambiamenti nella società americana (ma non solo) sarà mai possibile attuarli. Un film interessante, ben recitato (dal protagonista Kaluuya certo, ma anche dagli altri, soprattutto Howery), sicuramente tra gli esordi più apprezzabili degli ultimi anni.
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bizantino73
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mercoledì 16 agosto 2017
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peccato che me lo sia perso prima
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Brillante, spregiudicato, politicamente scorretto,horror comico e un pizzico trash. E' indubbiamente il più bel film dell'annata 16/17 e a quelli che offende l'intelligenza non se la prendano perchè l'intelligenza non ce l'hanno.L'ho visto pochi giorni fa in un recupero estivo a Udine, e peccato che le retrospettive estive siano ormai rare.Ma quando il meglio che propone la normale programmazione è USS Indianapolis, Transformers e via elencando, si ha il diritto di essere perlomeno scettici sulle altre offerte. Questo film era da vedere e rivedere e salutare con calore l'arrivo di un nuovo regista di spessore e originalità.
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kaipy
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mercoledì 7 giugno 2017
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tanto rumore per... insomma
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L'inizio è molto buono, la parte centrale piatta, nel finale si riprende, ma la conclusione è discutibile e poi anche il tema del razzismo dell'inizio poi, secondo me, scompare.
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maramaldo
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martedì 6 giugno 2017
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tiger woods,
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anche lui citato in Get Out. M'è venuto in mente quando ho letto ch'era stato pizzicato ebbro alla guida. Tanto è valso per fare ricerche. Rampollo di una dinastia mulatta per parte di padre; la madre, un intreccio thai, cinese e olandese. Tempo fa, ricordate, il grande golfista fu coinvolto in tafferugli in cui le dette e le prese. Da chi? Moglie e suocera, manesche scandinave.
Non è passata inosservata, invece - anzi, ha scatenato una ridda di supposizioni - la menzione del nobel della pace, il vincitore morale del terzo e, probabilmente, di un quarto mandato presidenziale. Genitore, un promettente giovanotto keniota. Genitrice, di Wichita, Texas.
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anche lui citato in Get Out. M'è venuto in mente quando ho letto ch'era stato pizzicato ebbro alla guida. Tanto è valso per fare ricerche. Rampollo di una dinastia mulatta per parte di padre; la madre, un intreccio thai, cinese e olandese. Tempo fa, ricordate, il grande golfista fu coinvolto in tafferugli in cui le dette e le prese. Da chi? Moglie e suocera, manesche scandinave.
Non è passata inosservata, invece - anzi, ha scatenato una ridda di supposizioni - la menzione del nobel della pace, il vincitore morale del terzo e, probabilmente, di un quarto mandato presidenziale. Genitore, un promettente giovanotto keniota. Genitrice, di Wichita, Texas. Bianca come la madre dell'esordiente regista.
Jordan Peele, afroamericano nato e cresciuto a New York; sposato (in unorthodox way, ha fatto sapere) ad un'attrice/scrittrice di babbo italiano e mamma ebrea. In un'intervista ha dichiarato che ha scritto il soggetto del film prima ancora di conoscere la futura moglie. Perchè non credergli? Ciò conferma che l'opera prima reca echi lontani, fa trapelare pensieri rimuginati da tempo. Riproporre lo schema narrativo di Indovina Chi Viene a Cena può apparire una trovata (e per certi versi lo è) funzionale a creare un'atmosfera che, però, allo spettatore odierno appare distante quasi quanto quella di Via col Vento. Infatti, non dice tutto. E' all'inizio che bisogna sospettare il messaggio. Come un'ouverture prima del melodramma, indipendente dalla trama, ti fa sentire il tema dominante. La Paura. E' ciò che prova il ragazzotto nero che si aggira in the heat of the night nell'inquietante quiete di un quartiere perbene. Nulla di buono può arrivargli dall'addentrarsi in territorio di bianchi. Che altro gli si può gridare? Get out! Tientene fuori!
Fermarsi a questo warning sarebbe riduttivo. Vi è qualcos'altro di più profondo, di più sofferto. Non un omaggio ma, certo, un atto di amore verso la negritudine. E' messo in luce dall'interpretazione di Daniel Kaluuya, prossima black icona se non lo è già. Vi rimangono dentro i lucciconi in quegli occhi innocenti e spauriti di un figlio d'Africa primigenio e incontaminato. Attore padrone del personaggio, trasuda intelligenza e ironia ma anche rassegnazione e tristezza. Commuove quando, pur in pericolo, indugia e si china affranto sulla sciagurata Rose morente, sempre innamorato.
Comico per mestiere e vocazione, indole beffarda, nell'esercitarsi a demonizzare (schernire) i campagnoli retrivi dell'Alabama, Peele non indulge a moralismi e lo spettatore, che da decenni sa della faccenda, gliene è grato. Ha voluto confezionare una godibile simulazione di horror, a tinte pastello, dove si sente l'umorista e ogni tanto la tentazione di buttarla in parodia.
Badate, non si tratta di un film semplice. Contiene allusioni e simbolismi, casualmente anche attigui alla nostra attualità, non tutti decifrabili. Richiederebbe, come suol dirsi, una seconda lettura, più accurata.
Comunque, alla fine della favola, ad un Chris nostrano verrebbe da dire:" Asciuga quella lacrima, fratello. Non è così abietta la tua condizione. Nel mondo ci sono altre abominevoli schiavitù che di moderno hanno solo le dimensioni immani e le scarse speranze di riscatto. Sulla fattispecie trattata da Get Out non drammatizzerei. Non saresti d'accordo a collocare tra le iniquità da combattere il fatto di impiegare a scopo di gratificazione individui sani e vigorosi sia pur appartenenti a categorie in difficoltà: Esercizio antico, giovevole a tutti, in fondo non è altro che una pratica ludica: non a caso è in voga il termine boy toy. Son altri gli ingredienti che fanno ribollire il melting pot. Da noi, accenna appena a sobbollire. Grazie ad un appeasement operato da quelle anime belle tra le quali, è vero, si annidano quegli astuti vampiri voraci da cui Peele ti ha messo in guardia. Evitali se puoi e frequenta soltanto chi sente l'impulso di mostrare una certa apertura."
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tmpsvita
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lunedì 5 giugno 2017
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capolavoro mancato
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Non potevo che avere altissime aspettative verso questo horror, per vari motivi: sia per via delle numerossissime recensioni entusiaste (americane e non), sia per il risultato straordinario al box Office ottenuto grazie al passa parola più che positivo, sia per il trailer meraviglioso che mi aveva attirato presentandomi un horror degno di tale genere.
Ma questo "Get Out" è davvero il gran capolavoro di cui tutti hanno parlato e parleranno (forse all'Oscar)?
Beh mi duole dire di no. Con questo non voglio dire che sia un brutto film, anzi è anche piuttosto buono, soprattutto per quanto riguarda la regia molto precisa, chiara e incredibilmente funzionale e ciò mi ha davvero stupito (visto e considerato che si tratta di un regista esordiente).
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Non potevo che avere altissime aspettative verso questo horror, per vari motivi: sia per via delle numerossissime recensioni entusiaste (americane e non), sia per il risultato straordinario al box Office ottenuto grazie al passa parola più che positivo, sia per il trailer meraviglioso che mi aveva attirato presentandomi un horror degno di tale genere.
Ma questo "Get Out" è davvero il gran capolavoro di cui tutti hanno parlato e parleranno (forse all'Oscar)?
Beh mi duole dire di no. Con questo non voglio dire che sia un brutto film, anzi è anche piuttosto buono, soprattutto per quanto riguarda la regia molto precisa, chiara e incredibilmente funzionale e ciò mi ha davvero stupito (visto e considerato che si tratta di un regista esordiente).
Anche le interpretazioni, soprattutto quella del protagonista, sono molto credibili e naturali (nonostante di naturale non ci sia niente nel contesto), aiutate molto da una sceneggiatura piena di dialoghi pungenti e contestualizzati in modo più che adeguato.
Fantastici anche gli effetti sonori e il sonoro in generale.
Ed il tutto è stato incorniciato da una splendida colonna sonora che però cerca di rendere il film l'horror che non è, proprio per questo molte volte l'ho trovata in contrasto con le scene che stava accompagnando; anche la fotografia l'ho trovata un po' fuori luogo, soprattutto durante le scene di luce nelle quali (forse volutamente) tutto è troppo acceso e ciò non crea la giusta atmosfera horror che, invece, la colonna sonora cerca in tutto e per tutto di creare; infatti a parer mio qui ci troviamo di fronte ad un thriller psicologico più che ad un horror ansiogeno ( ovvero come faceva trasparire il trailer) e questo mi ha un pochino demoralizzato.
Nonostante ciò, che si nota fin da i primi minuti, per la prima ora il film è davvero geniale soprattutto per come riesce a trattare il a tema razziale su cui si basa veramente (troppo) tutto il film; questa prima ora mi aveva coinvolto moltissimo mi ero completamente immedesimato nei due protagonisti, facendomi quasi gridare al capolavoro.
Purtroppo, però, tutta questa originalità a tratti davvero geniale, verso la fine va scemando con delle scene e dei colpi di scena piuttosto banali nonchè anche con varie soluzioni un po' forzate (come quella della metà del cervello per intenderci) che, alla fine, fanno si che il film si trasformi , snaturalizzandolo, in qualcosa di molto più canonico e prevedibile
Infatti se al film si toglie tutto il discorso sul razzismo non rimane altro che un film che parla di persone senza scrupoli che sognano una specie di immortalità, questo è un tema già visto e che poteva essere affrontato meglio.
Peccato perché aveva tutte le potenzialità per diventare un grandissimo film.
VOTO: 7/10
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no_data
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lunedì 29 maggio 2017
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la questione nera: un film dell'orrore
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Cosa direste ad un ragazzo di colore che viene accolto a pacche sulle spalle e chiamato “fratello” da un gruppo di bianchi maturi, agiati e benpensanti? Quello che pensa, Jordan Peele lo dice a chiare lettere “Get out!”. Scappa, a gambe levate.
Dopo una serie che minaccia di diventare infinita di film in cui alla discriminazione razziale si contrappone il faticoso riscatto dell’uomo nero attraverso la sofferenza (da “The help”, a “12 anni schiavo”, a “Il diritto di contare”), dopo film che si focalizzano sulla condizione della black people, estrapolandola dal resto del mondo (da ultimo l'Oscar 2017 “Moonlight”), finalmente un’opera che spariglia le carte e lancia un messaggio nuovo, allarmante e che rischia di essere terribilmente vero.
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Cosa direste ad un ragazzo di colore che viene accolto a pacche sulle spalle e chiamato “fratello” da un gruppo di bianchi maturi, agiati e benpensanti? Quello che pensa, Jordan Peele lo dice a chiare lettere “Get out!”. Scappa, a gambe levate.
Dopo una serie che minaccia di diventare infinita di film in cui alla discriminazione razziale si contrappone il faticoso riscatto dell’uomo nero attraverso la sofferenza (da “The help”, a “12 anni schiavo”, a “Il diritto di contare”), dopo film che si focalizzano sulla condizione della black people, estrapolandola dal resto del mondo (da ultimo l'Oscar 2017 “Moonlight”), finalmente un’opera che spariglia le carte e lancia un messaggio nuovo, allarmante e che rischia di essere terribilmente vero. Ci voleva un comico per buttare all’aria una serie di cliché divenuta, dopo il buonismo dell’era Obama, quasi insopportabile e che, ciò che è più grave, minaccia di trasformarsi in una prigione ancora più soffocante del razzismo.
Il regista parte, e forse non è un caso, dal film che 50 anni fu l’antesignano di ogni discorso sul tema razziale: “Indovina chi viene a cena”. C’è la ragazza dal volto pulito (Allison Williams), c’è il suo prestante boyfriend con la pelle nera nera (Daniel Kaluuya), c’è la presentazione ai genitori, professionisti benestanti (un neurochirurgo e una psichiatra, attenzione), isolati nella loro tenuta della Deep America.
Ma da qui Peele parte per la tangente e stravolge tutto. Dimenticate la burbera saggezza di Spencer Tracy e gli occhi gonfi di pianto di Katharine Hepburn. Non c’è dibattito tra idealismo e pragmatismo, non ci sono gli scontri generazionali, non c’è sentimento, né sentimentalismo. Questa è una storia dell’orrore.
Non per il genere prescelto per raccontarla, ma per il suo messaggio. Le guerre non si combattono più contrapponendosi, ma inglobando. E classificando. Tutti al loro posto ed ognuno con il suo ruolo, perché ognuno ha qualcosa da mettere a disposizione del potere. E se sei un nero cosa puoi offrire, agli occhi di un manipolo di vecchi conservatori chiusi nei loro beceri pregiudizi? La prestanza fisica, la potenza sessuale, il corpo, nulla più. Se ogni caratterizzazione implica differenza, quindi razzismo, qui siamo ad una ideologizzazione della razza degna di Mengele.
Come detto, Jordan Peele sceglie l’horror, e lo fa appropriatamente, ma il genere è uno strumento, non il fine. Lo tratta quindi in maniera volutamente convenzionale, riferendosi a precedenti riconoscibili (il regista ha dichiarato di essersi ispirato a “La notte dei morti viventi”) ed utilizzando espedienti tecnici standard per creare la suspense. Nel collazionare ed assemblare citazioni e nel trattare il genere con irriverente distacco si ravvede quasi uno spirito tarantiniano; lo si riconosce senz’altro nel convulso finale.
Quindi se andate a vedere “Scappa – Get out”, col solo proposito di saltare un po’ sulla poltrona, sentendo l’adrenalina schizzare, probabilmente rimarrete delusi: nulla di nuovo sotto il sole. La scelta di un genere narrativo così caratterizzante in questo senso costituisce un limite del lavoro di Peele: la ricerca del brivido, in particolare da parte degli appassionati, distoglie dal messaggio.
Ma se cercate altro, se cercate cinema, nella sceneggiatura ci sono tocchi di vera genialità: la metafora del cervo, che ricorre all’inizio, centralmente, nello straniante discorso del papà della sposa, e nel finale, sempre con una precisa simbologia; il ruolo dell’amico, appositamente tenuto estraneo alla vicenda, che, come una Cassandra, profetizza la lucida realtà dei fatti ad una mente, quella del protagonista, che pare ottenebrata da una misteriosa nebbia; i discorsi dei vecchi barbogi, che dipingono il quadro allucinante che si nasconde dietro il politically correct. E il finale, che lascia prefigurare le possibili, terribili conseguenze di questo stato di cose.
Non c’era bisogno di rinnovare l’horror e Jordan Peele non lo fa. C’era bisogno di dire qualcosa di diverso, spiazzante, orrorifico sul razzismo, c’era un allarme da lanciare alla gente nera e Jordan Peele questo lo urla: Scappa!!!
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k.s.stanislavskij
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domenica 28 maggio 2017
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simbolismo dell'elite, il bianco e il nero-
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SCAPPA-GET OUT è un ottimo film, ha tensione, intrattenimento, colpi di scena, citazioni, ha un ottimo cast di attori tutti veramente credibili, si nutre di cinema e riesce nell'intento a tenerti incollato alla poltrona fino alla fine. Un gran mix efficace...e , va detto, a parte i livelli di critica sociale razzismo ecc...ha anche un livello sotterraneo di significati, riferendosi dichiaratamente a quell'elite satanista che sembra esistere davvero ad hollywood e i cui meccanismi di controllo mentale furono davvero attuati in progetti quali lmkultra e il monarch. vedetelo . buon film,
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samanta
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domenica 28 maggio 2017
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l'apparenza inganna
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Alcuni dati su questo film: realizzato a basso costo 4 milioni e mezzo di dollari, al momento ne ha incassati più di 230 milioni di cui 173 in USA. E' la prima regia di Jordan Peel anche se nel cinema ha recitato, scritto sceneggiature e prodotto film, sia pure senza acquisire una particolare notorietà. Get out (Scappa) è un film intelligente e questo dimostra che il cinema può sopravvivere se ci sono idee ed esecuzioni intelligenti, l'ha dimostrato LA LA LAND che contro ogni previsione ha vinto premi e soprattutto vinto nel mercato, con un budget rilevante ma non eccessivo di 30 milioni di dollari (basti pensare che l'ultimo grande musical Nine con un cast stellare di premi Oscar, il regista di Chicago costò nel 2009 80 milioni e fu un flop commerciale).
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Alcuni dati su questo film: realizzato a basso costo 4 milioni e mezzo di dollari, al momento ne ha incassati più di 230 milioni di cui 173 in USA. E' la prima regia di Jordan Peel anche se nel cinema ha recitato, scritto sceneggiature e prodotto film, sia pure senza acquisire una particolare notorietà. Get out (Scappa) è un film intelligente e questo dimostra che il cinema può sopravvivere se ci sono idee ed esecuzioni intelligenti, l'ha dimostrato LA LA LAND che contro ogni previsione ha vinto premi e soprattutto vinto nel mercato, con un budget rilevante ma non eccessivo di 30 milioni di dollari (basti pensare che l'ultimo grande musical Nine con un cast stellare di premi Oscar, il regista di Chicago costò nel 2009 80 milioni e fu un flop commerciale). Vediamo il nostro film innanzitutto gli interpreti poco conosciuti, almeno per me, sono bravi in specie il protagonista Chris (Daniel Kaluuya inglese) e la fidanzata Rose (Allison Williams). E' un film che inizia con lievità: Rose bianca presenta ai suoi (padre madre e fratello) che vivono in una casa isolata vicino a un lago il fidanzato nero, che viene accolto con grande (almeno apparentemente) affetto da persone che si dichiarano e sono progressisti, sostenitori di Obama, ma si rivelano strani nei modi, ancora più strani gli amici che vengono a trovarli e la servitù composta da una donna e da un uomo di colore. Ci sono segnali inquietanti nel comportamento dei parenti finché un giovane di colore che ha sposato un'amica di famiglia più vecchia di 30 anni e che si comporta anche lui stranamente risvegliato da un flash del cellulare di Chris gli grida "Scappa". Da questo momento incomincia la fase del film Horror con l'inevitabile finale tragico . Non rivelo il finale basti sapere che i neri sono usati per esperimenti genetici. A mio parere il film è una colossale presa in giro del polyticalli correct, i protagonisti bianchi non sono razzisti sono appartenenti all'élite bianca progressista della costa atlantica, alla domanda perché fate questo ai neri la risposta è "Perché gli afro americani sono di moda!". Queste persone non odiano i neri anzi li amano, ancor di più li ammirano e se fosse possibile voterebbero per Obama per la terza volta! E' un razzismo alla rovescia per inclusione e non per esclusione, che ha i suoi progentiori dimenticati in figure come Voltaire che investiva i suoi soldi nella tratta degli schiavi dell'Africa e fantasticava sulle civiltà extraeuropee o Cesare Lombroso che alla fine del '800 osava dire che i neri erano l'anello di congiunzione tra le scimmie e i bianchi. Per concludere un film intelligente che si vede senza un attimo di rallentamento dall'inizio alla fine, che dimostra una regia sicura anche se di un principiante (Chazelle insegna), una buona fotografia e alcune scene comiche veramente esilaranti.
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loland10
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mercoledì 24 maggio 2017
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invito a cena...con sorpresa
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“Get out. Scappa” (Get out, 2017) è il primo lungometraggio dell’attore- regista Jordan Peele.
Opera prima e dai produttori de ‘The Visit’ e ‘La notte del giudizio’. E questo indica già un percorso: dissacrante quanto basta, schema di genere quanto serve, livore sociale per partire. Ecco servito un film a basso budget (meno di 5 milioni di dollari) e un incasso (ancora in crescita) di oltre duecento milioni di dollari.
Scappa, scappa, scappa. “Te l’avevo detto di non andare..” dice l’amico a Chris.
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“Get out. Scappa” (Get out, 2017) è il primo lungometraggio dell’attore- regista Jordan Peele.
Opera prima e dai produttori de ‘The Visit’ e ‘La notte del giudizio’. E questo indica già un percorso: dissacrante quanto basta, schema di genere quanto serve, livore sociale per partire. Ecco servito un film a basso budget (meno di 5 milioni di dollari) e un incasso (ancora in crescita) di oltre duecento milioni di dollari.
Scappa, scappa, scappa. “Te l’avevo detto di non andare..” dice l’amico a Chris. Sembra rimproverare anche il pubblico per aver scelto il film. Un ghigno ristretto e un sorriso a bocca stretta prima di ripartire con l’auto di ordinanza con lampeggianti e lasciare il set intriso di sangue e orribili ricordi.
Il film schiamazza e scandaglia il retrò post-modernizzato di generi mescolati e di un horror che cita altro in modo (abbastanza) congruo intelligente parafrasando il mondo odierno e la politica sociale che è rimasta ancora ai muri contro muri.Nel paese a stelle e strisce c'è stata una 'sfornata' di storie (anche tratte da fatti veri) su argomenti riguardanti il colore della pelle, il razzismo e le leggi che operano solo per una parte del mondo. Certo la svolta politica americana (nel senso del nuovo presidente eletto) ha portato a tutti a leggere queste produzioni contro il nuovo orientamento (politico): certo che viene fuori il senso (auto)critico della società in cui si vive e la forza di smuovere ogni cosa.
Rose eChris. Lei bianca, lui nero si amano. C’è l’invito ufficiale a casa dei genitori di lei. Un posto isolato in mezzo al verde e ai boschi. Si mangia, si parla e il fratello di Rose, Armitage si pone in modo scorbutico, un fuori pieno di se, poi c’è il giardiniere che corre come un pazzo di notte (e tra l’altro dice a Chris ‘di non farsela scappare’ riferendosi a Rose con un viso che è tutto un programma e infine c’è la governante, strana nel sorriso e nello sguardo. I genitori di Rose da amici del nuovo arrivato nascondono segreti demoniaci. Ed ecco che nell’ultimi venti minuti il piatto horror è servito.
L'orrore è un genere da prendere con le pinze perché alla fine si ha la sensazione di sapere l'accaduto e anche eventuali svolte, sia sanguinolenti che splatter, sia di voci che di musiche, sia di volti che di rughe allentate sanno di visto e/o di gioco virtuoso per avere un certo epilogo (degno e alquanto logico). Ad un certo punto i colpi (non di scena) sono tanti e i mezzi per far fuori i vari componenti (la famiglia) interagiscono con battute, antefatti e battute (già dette). Non si va tanto per il sottile e tra tagli di crani, cervelli aperti (che uno si aspetta, senza logica, l’arrivo di Hannibal Lecter), colpi i canna, chiavi che non si trovano, sedia-galera, corna di cervo, zombie che rivivono si ha la sensazione che si vuole strafare. Si passa e si ripassa più di un genere come di pellicole già designate (lo stesso regista menziona i suoi preferiti).
Glamour di accoglienza, abbracci e convenevoli: la famiglia Armitage ospitale e aperta;
Esempio di virtuosismo umano con convenevoli costruiti e leccornie viziose;
Tutti pronto per (non) indovinare chi viene a cena perché… ogni gioco si rivela solo mortale;
Occhi discreti e malvagi sul Bingo che scruta il vincitore per un colore della pelle superfluo;
Ulula il lupo mannaro dell’ingordigia umana e senza spese comprare l’in-acquistabile (giovane in un corpo quasi esamine);
Trucco medico e operazioni(genetiche) per vivere bene e non guardare mai l’altrui bisogno.
Oltre il colore della pelle, il film ripiega il passato, annulla il presente e pensa di prendere il futuro con cervelli sempre freschi e forze fisiche giovani (e virili). Alla fine chi ti vuole troppo bene ti sfruttoa oltre all’inverosimile.
Due immagini (tra le tante): il volto, in primo piano di Dean Armitage (raccapricciante e agghiacciante) mentre si prepara a prendere i ‘ferri’ del mestiere e la postura di Jeremy Armitage (a suo agio nei modi orribili) mentre trasporta le sue vittime. Lezione di altre lezioni.
Convincente il cast; la scrittura langue per i risvolti sanguinolenti che (in fondo) ti aspetti. E il Bingo si è capito da subito….che. Poi mentre guarti ti chiedi come mai l’adunata di festa (tutti bianchi…a parte uno…) ha una età media di….molti anta. I vecchietti vogliono divertirsi….
Voto: 6½/10.
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andreagiostra
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mercoledì 24 maggio 2017
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dopo obama?
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La prima cosa che mi son chiesto allo scorrere dei titoli di coda, è che genere di film fosse quello che avevo appena finito di vedere. Commedia, Thriller, Horror, Drammatico, Grottesco, Noir, Sentimentale, Sociale, d’Autore … la risposta che mi sono dato è stata semplice e magari ovvia: tutti e nessuno! Forse Jordan Peele, che ha curato la sceneggiatura e la regia della sua opera prima, ha inventato un nuovo genere cinematografico al quale bisognerebbe al più presto dare un nome, considerato il successo di critica internazionale prima, e di pubblico adesso. Mirabilmente prodotto da Jason Blum, con la sua casa di produzione hollywoodiana Blumhouse Productions, insieme alla QC Entertainment.
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La prima cosa che mi son chiesto allo scorrere dei titoli di coda, è che genere di film fosse quello che avevo appena finito di vedere. Commedia, Thriller, Horror, Drammatico, Grottesco, Noir, Sentimentale, Sociale, d’Autore … la risposta che mi sono dato è stata semplice e magari ovvia: tutti e nessuno! Forse Jordan Peele, che ha curato la sceneggiatura e la regia della sua opera prima, ha inventato un nuovo genere cinematografico al quale bisognerebbe al più presto dare un nome, considerato il successo di critica internazionale prima, e di pubblico adesso. Mirabilmente prodotto da Jason Blum, con la sua casa di produzione hollywoodiana Blumhouse Productions, insieme alla QC Entertainment. Un produttore quarantenne e lungimirante che ha avuto il coraggio tipico degli statunitensi, di investire su un altro giovane e talentuosissimo artista, il trentenne Jordan Peele.
“Get out” è un film per il quale scrivere una recensione che possa intrigare il lettore risulta difficilissimo, proprio perché bisogna evitare in tutti i modi spiacevoli spoiler … che nell’anticipare la narrazione, potrebbero al contempo distruggere la genialità e l’intelligenza della sceneggiatura, supportata da un’eccellente regia e da un cast di attori, tra i quali brilla indiscutibilmente il protagonista Daniel Kaluuya, straordinariamente efficace nel saper trasmettere allo spettatore quel pathos e quel tremolio emozionale che il film riesce a sprigionare con gli imprevedibili e sorprendenti accadimenti narrativi.
Ma detto ciò, qualcosa possiamo scriverla senza compromettere la buona visione al lettore.
Il titolo originale del film, “Get out”, è brillante ed in assoluta sintonia con i contenuti e, forse, con la morale del film … se una morale c’è stata nella mente di Jordan Peele che l’ha ideato, concepito, scritto e realizzato. La traduzione letterale del titolo ha diversi significati proprio perché la scelta è stata quella di non inserirlo in una frase compiuta, e potrebbe essere tradotto con: fuori, esci, vattene, scendi, togliti, levati, guarisci, introduciti, etc …. e solo nella forma intransitiva, scappa. Tutte queste accezioni probabilmente danno un elemento ermeneutico in più allo spettatore che vuole andare oltre le scene che si gusterà sul grande schermo. Ma non scriviamo altro in proposito.
I parallelismi che sono stati fatti da moltissimi critici cinematografici con successi del passato, sono assolutamente impropri, disarmanti e da mortificanti eruditi (nel senso di coloro che ripetono a pappagallo la conoscenza acquisita senza alcuna elaborazione intellettuale e culturale!). La sceneggiatura di “Get out” non ha proprio nulla da spartire con i vari: “Guess Who's Coming to Dinner” (1967) di Stanley Kramer; “Rosemary's Baby” (1968) di Roman Polanski; “The Wicker Man” (1973) di Robin Hardy; “12 Years a Slave” (2013) di Steve McQueen; “Loving” (2016) di Jeff Nichols; “Hidden Figures” (2017) di Theodore Melfi.
Qualcosa sulla storia forse possiamo scriverla: una giovane coppia multirazziale di universitari, decidono di passare un weekend nella magnifica villa dei genitori di lei, immersa in un magnifico bosco affollato di cerbiatti dell’America ricca e dopo Obama ancora velatamente razzista.
ANDREA GIOSTRA.
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