fsromait
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mercoledě 23 novembre 2016
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il sorriso e la libertŕ oltre il lager.
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Il figlio di Saul, dell'ungherese Laszlo Nemes, č un terribile ininterrotto incubo del vissuto nei campi di sterminio nazisti che il giovane regista ha deciso di rappresentare nella maniera, forse, piů potente possibile, vale a dire tramite una ossessiva "sequenza" di piani-sequenza (!?!) consistenti di primissimi (piani) e dettagli (successivi a un sapiente gioco di focale iniziale e uso massimamente espressivo del teleobiettivo) che, senza alcun dubbio, riescono a rendere persistente e costante l'atmosfera claustrofobica e asfissiante delle camere a gas. Premesso quindi il tristissimo e tragico contesto storico, e che necessariamente un senso di inevitabile oppressione e stagnazione si impadronisce dello spettatore per tutta la durata del racconto, anche grazie allo splendido ed efficace gioco di audio e sonoritŕ (e anche ai sottotitoli), va rimarcato che il film non annoia affatto bensě risulta avvincente, dinamico, vario, eterogeneo (e quant'altro).
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Il figlio di Saul, dell'ungherese Laszlo Nemes, č un terribile ininterrotto incubo del vissuto nei campi di sterminio nazisti che il giovane regista ha deciso di rappresentare nella maniera, forse, piů potente possibile, vale a dire tramite una ossessiva "sequenza" di piani-sequenza (!?!) consistenti di primissimi (piani) e dettagli (successivi a un sapiente gioco di focale iniziale e uso massimamente espressivo del teleobiettivo) che, senza alcun dubbio, riescono a rendere persistente e costante l'atmosfera claustrofobica e asfissiante delle camere a gas. Premesso quindi il tristissimo e tragico contesto storico, e che necessariamente un senso di inevitabile oppressione e stagnazione si impadronisce dello spettatore per tutta la durata del racconto, anche grazie allo splendido ed efficace gioco di audio e sonoritŕ (e anche ai sottotitoli), va rimarcato che il film non annoia affatto bensě risulta avvincente, dinamico, vario, eterogeneo (e quant'altro). Ciň č vero certamente per la maestria del cineasta ma anche per le riprese nonché per i volti espressivi di tutti e, in particolare, del protagonista interpretato da Géza Röhrig. Quest'ultimo davvero, proprio grazie alla particolare tecnica di ripresa e narrazione, "racconta", coi propri occhi, l'orrore e il terrore dei forni crematori.
La vicenda, nella sua immane tragedia, sarebbe fin troppo banale se fosse narrata solo per il suo contenuto e non anche per l'espressivitŕ e la forma. Essa - sicuramente proprio per la sapienza della regia, della sceneggiatura e della fotografia - tocca, paradossalmente, vertici di poesia e grazia nel pur ancora tragico epilogo. Senza anticipare nulla, per coloro che decideranno di visionare tale capolavoro, si deve sottolineare che la sequenza finale, in cui il regista ci regala praticamente l'unico campo lungo del film, magnifico nel suo allontanamento prospettico di un personaggio simbolico, č memorabile per la levitŕ e, ancora, per la grazia, pathos, speranza, forza empatica che esprime.
Un sommo esercizio di grande arte cinematografica e pietŕ umana.
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francesco2
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domenica 17 giugno 2018
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un "altro" film sull'olocausto
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E’ scontato, molto piů che scontato sottolineare come OGNI film sull’Olocausto ci metta di fronte a determinati interrogativi. Se si POSSANO rappresentare quegli anni, in termini di diritti etici ma anche di fattibilitŕ, e quale eventuale chiave di (ri?)lettura bisogna scegliere? Limitarsi (Sic?)° ai risvolti documentaristici, o scegliere una chiave lettura piů ampia? O, ancora, battere il percorso farsesco-drammaticaovista nella “Vita č bella” o in “Train de vie?” In una primissima fase, nel film qui analizzato, concentrarsi sul protagonista non č scelta orientata ad isolare un’individualitŕ rispetto al contesto: egli, anzi, č portatore di vita – alla fine, anche nel senso letterale-, che xompie sforzi disumani per portare a termine quello in cui crede, proprio come disumana fu Auschwitz, evitando l’accostamento banalissimo tra le sue vicissitudini personali e quelle collettive, ovverosia il figlio che avrebbe perso.
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E’ scontato, molto piů che scontato sottolineare come OGNI film sull’Olocausto ci metta di fronte a determinati interrogativi. Se si POSSANO rappresentare quegli anni, in termini di diritti etici ma anche di fattibilitŕ, e quale eventuale chiave di (ri?)lettura bisogna scegliere? Limitarsi (Sic?)° ai risvolti documentaristici, o scegliere una chiave lettura piů ampia? O, ancora, battere il percorso farsesco-drammaticaovista nella “Vita č bella” o in “Train de vie?” In una primissima fase, nel film qui analizzato, concentrarsi sul protagonista non č scelta orientata ad isolare un’individualitŕ rispetto al contesto: egli, anzi, č portatore di vita – alla fine, anche nel senso letterale-, che xompie sforzi disumani per portare a termine quello in cui crede, proprio come disumana fu Auschwitz, evitando l’accostamento banalissimo tra le sue vicissitudini personali e quelle collettive, ovverosia il figlio che avrebbe perso. Il regista, sfidando le –vere o supposte- leggi del cinema, usa (ed abusa?) alcuni insistitissimi primi piani, in un “luogo senza tempo oberato di azione”, parafrasando le leggi di Aristotele. E’ una scelta, al contempo, né cinematografica né documentaristica, che (ci)isola nel narrare un avvenimento –si spera- irripetibile , da tutto avulso sul piano morale e, probabilmente, su quello banalmente geografico. In una fase successiva, tuttavia, il film č”nulla piů che “ un dignitosissimo racconto su un (anti)eroe, forse non “borghese” ma dimesso, che sposa la causa della speranza in un contesto giŕ visto tante volte, fatto di (tanti) aguzzini e di poche brave persone, pronte come lui ad infondere speranza nell’orrore. Quest’ultimo č distante dalla “realtŕ giŕ morta” del “Toto” di Cipri e Maresco e forse, chissŕ, persino dalla succitata “ironia tragica” della coppia Benigni-Cerami. Dal punto di vista personale, ho ricominciato a provare delle emozioni piů profonde solo negli ultimi momenti, chee semplificano una fuga da quella dimensione aberrante come anche dalle leggi dal cinema, che il film ha osservato bene ma sin troppo “diligentemente”. Allora, non ricommettendo l’errore del 1994, quando “Schindler’s List” l’aveva spuntata su “Lezioni di piano”, la Giuria di Cannes 2015 ha insignito della Palma d’Oro il “sopravvalutato” “Dheepan”, e secondo me ha agito correttamente.
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carmine65
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sabato 26 gennaio 2019
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fughiamo i dubbi...
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Commento a Zulu51 - Io trovo il film molto aderente a quello che gli storici e i testimoni riferiscono. Ora cercherò di dare una risposta ai tuoi dubbi: 1) i prigionieri non sembrano denutriti perché non arrivano da altri campi, ma dal loro paese; sicuramente il viaggio sarà stato orribile e le condizioni di vita difficili, ma diventavano scheletri nei campi; lo stesso vale per il ragazzo; certo probabilmente il corpo avrebbe potuto essere sfigurato dalla sofferenza, ma penso che mantenerlo integro fosse funzionale alla narrazione (a farlo emergere dalla massa indistinta; 2) i prigionieri destinati alle camere a gas non venivano registrati ed è perfettamente logico che i pochi valori che erano riusciti a non farsi sottrarre fossero nascosti nel loro abbigliamento; 3) il medico SS ordina al medico deportato (ve ne erano diversi che lavoravano nei crematori) di eseguire l'autopsia al ragazzo probabilmente perché rappresenta un caso rarissimo (è sopravvissuto alla gassazione, anche se poi viene ucciso dalla SS) e per tale motivo, secondo loro, da studiare con cura; l'autopsia ovviamente veniva eseguita solo su alcuni corpi e in genere proprio su persone uccise con metodi alternativi o durante esperimenti; il medico deve registrare solo i cadaveri che dovrà sottoporre ad autopsia (non tutti) e come detto si trattava di persone uccise sul posto, quindi non passate dalla camera a gas e pertanto ancora in possesso di qualche documento; registrare in questo caso significa prenedere nota delle caratteristiche indicative del ragazzo (tant'è che nel prosieguo del film chiede a Saul di portargli un corpo con caratteristiche simili); 4) i membri del Sonderkommando avevano una certa libertà di movimento all'interno del perimetro del crematorio (anche esterno) e inoltre erano facilmente identificabili dalle guardie; 5) il tedesco che sorprende Saul non è un soldato, ma un ufficiale SS (tenente o sottotenente) e gli altri sono tutti ufficiali medici senza grandi differenze di grado; la canzonatura rappresentata era una forma di dileggio per umiliare il prigioniero (se hai visto il Pianista vedrai che spesso gli ebrei venivano sbeffeggiati); 6) la facilità con cui Emma consegna il pacchetto la chiamerei coraggio; /) mandano lui perchè si offre volontario (era molto rischioso); 8) quando scavano la fossa si trovano nell'area del crematorio ove poteva essere usuale che il Sonderkommando facesse lavori; i vestit per vestire sè e il presunto rabbino sono quelli degli ebrei che venivano fucilati nei pressi (prima venivano fatti spogliare); 9) il fatto che Saul pensi a un morto piuttosto che pensare a salvarsi è il cuore del film; 10) la rivolta del Sonderkommando riprende un fatto realmente accaduto a Birkenau (le armi in qualche modo le hanno trovate) finito tragicamente.
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Commento a Zulu51 - Io trovo il film molto aderente a quello che gli storici e i testimoni riferiscono. Ora cercherò di dare una risposta ai tuoi dubbi: 1) i prigionieri non sembrano denutriti perché non arrivano da altri campi, ma dal loro paese; sicuramente il viaggio sarà stato orribile e le condizioni di vita difficili, ma diventavano scheletri nei campi; lo stesso vale per il ragazzo; certo probabilmente il corpo avrebbe potuto essere sfigurato dalla sofferenza, ma penso che mantenerlo integro fosse funzionale alla narrazione (a farlo emergere dalla massa indistinta; 2) i prigionieri destinati alle camere a gas non venivano registrati ed è perfettamente logico che i pochi valori che erano riusciti a non farsi sottrarre fossero nascosti nel loro abbigliamento; 3) il medico SS ordina al medico deportato (ve ne erano diversi che lavoravano nei crematori) di eseguire l'autopsia al ragazzo probabilmente perché rappresenta un caso rarissimo (è sopravvissuto alla gassazione, anche se poi viene ucciso dalla SS) e per tale motivo, secondo loro, da studiare con cura; l'autopsia ovviamente veniva eseguita solo su alcuni corpi e in genere proprio su persone uccise con metodi alternativi o durante esperimenti; il medico deve registrare solo i cadaveri che dovrà sottoporre ad autopsia (non tutti) e come detto si trattava di persone uccise sul posto, quindi non passate dalla camera a gas e pertanto ancora in possesso di qualche documento; registrare in questo caso significa prenedere nota delle caratteristiche indicative del ragazzo (tant'è che nel prosieguo del film chiede a Saul di portargli un corpo con caratteristiche simili); 4) i membri del Sonderkommando avevano una certa libertà di movimento all'interno del perimetro del crematorio (anche esterno) e inoltre erano facilmente identificabili dalle guardie; 5) il tedesco che sorprende Saul non è un soldato, ma un ufficiale SS (tenente o sottotenente) e gli altri sono tutti ufficiali medici senza grandi differenze di grado; la canzonatura rappresentata era una forma di dileggio per umiliare il prigioniero (se hai visto il Pianista vedrai che spesso gli ebrei venivano sbeffeggiati); 6) la facilità con cui Emma consegna il pacchetto la chiamerei coraggio; /) mandano lui perchè si offre volontario (era molto rischioso); 8) quando scavano la fossa si trovano nell'area del crematorio ove poteva essere usuale che il Sonderkommando facesse lavori; i vestit per vestire sè e il presunto rabbino sono quelli degli ebrei che venivano fucilati nei pressi (prima venivano fatti spogliare); 9) il fatto che Saul pensi a un morto piuttosto che pensare a salvarsi è il cuore del film; 10) la rivolta del Sonderkommando riprende un fatto realmente accaduto a Birkenau (le armi in qualche modo le hanno trovate) finito tragicamente. Per concludere posso solo dire che questo film fornisce in assoluto la rappresentazione più storicamente realistica del processo di sterminio e non è certo Laszlo Nemes che deve approfondire la conoscenza storica.
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pietro viola
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lunedě 24 giugno 2019
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la speranza
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Che cosa rende un uomo un uomo? Il linguaggio, la ragione, l'immaginazione.. ma prima di tutto la necessità di cercare e trovare un senso alle cose, una prospettiva, all'interno di relazioni. Su questo, i campi di sterminio sono stati forse la massima espressione di disumanizzazione della Storia, arrivando al punto di creare "unità speciali" costituite dalle stesse vittime trasformate a rotazione in carnefici, offrendo in cambio la mera (e transitoria) sopravvivenza fisica: uomini forzati a diventare involucri di carne per eliminarne altri già trasformati in "pezzi".
Di questo orrore si sono occupati già altri film, ma nessuno ha la potenza di questo.
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Che cosa rende un uomo un uomo? Il linguaggio, la ragione, l'immaginazione.. ma prima di tutto la necessità di cercare e trovare un senso alle cose, una prospettiva, all'interno di relazioni. Su questo, i campi di sterminio sono stati forse la massima espressione di disumanizzazione della Storia, arrivando al punto di creare "unità speciali" costituite dalle stesse vittime trasformate a rotazione in carnefici, offrendo in cambio la mera (e transitoria) sopravvivenza fisica: uomini forzati a diventare involucri di carne per eliminarne altri già trasformati in "pezzi".
Di questo orrore si sono occupati già altri film, ma nessuno ha la potenza di questo. Per buona parte del tempo la macchina da presa è a fuoco solo sul protagonista, Saul, appartenente a quelle "unità speciali", e sulla ritualità di morte che accompagna le sue giornate ad Auschwitz: preparare i "pezzi", farli spogliare, spingerli nelle camere a gas, rimuovere e pulire, portare ai forni crematori, raccogliere le ceneri e disperderle nel fiume vicino. Sullo sfondo, le urla, i canti, le preghiere, la nudità inerme, il sangue, le cataste di corpi, il silenzio. In primo piano, lo sguardo vitreo, la testa girata, le orecchie sorde, per paura e impossibilità di tollerare di continuare a vedere, sentire. Solo ripetizione meccanica di gesti.
Poi, uno dei "pezzi" della catasta acquista forma, viene visto. Un ragazzo. Il figlio. O forse non è realmente il figlio, ma ha poca importanza. Adesso Saul ha deciso di ricominciare a vedere, non importa se fantasmi, e a fare: vuole dare sepoltura a quel corpo, una funzione religiosa, un ministro di culto. Vuole dare un senso a quella morte, uno tra i tanti possibili, ma un senso che è innanzitutto il riappropriarsi del bisogno di riconoscere l'umanità di quel corpo, e l'umanità della propria pietà. Perchè è questo che rende un uomo un uomo.
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matteo
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mercoledě 5 febbraio 2020
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nel cuore dell'inferno
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l film è incentrato su Saul membro (temporaneo) del sonderkommando di Auschwitz. Senso di precarietà claustrofobico dove il ritmo del lavoro e della vita è sempre sospeso tra la vita e la morte in un universo di violenza privo di umanità, dove il solo obiettivo è sopravvivere. Un film praticamente senza colonna sonora che rende in modo efficace la realtà precaria all'interno del campo. Azzeccato l'uso della telecamera a spalla e dello sfocamento come strategia di estraniazione dall'orrore. Non capisco le critiche sul realismo a questo film. Evidntemente mancano informazioni adeguate su come funzionava il sonderkommando e su quello che è stato Auschwitz-Birkenau.
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l film è incentrato su Saul membro (temporaneo) del sonderkommando di Auschwitz. Senso di precarietà claustrofobico dove il ritmo del lavoro e della vita è sempre sospeso tra la vita e la morte in un universo di violenza privo di umanità, dove il solo obiettivo è sopravvivere. Un film praticamente senza colonna sonora che rende in modo efficace la realtà precaria all'interno del campo. Azzeccato l'uso della telecamera a spalla e dello sfocamento come strategia di estraniazione dall'orrore. Non capisco le critiche sul realismo a questo film. Evidntemente mancano informazioni adeguate su come funzionava il sonderkommando e su quello che è stato Auschwitz-Birkenau. Ma allora perchè scrivere certe scempiaggini?
Da non perdere per chi vuole sapere.
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elpiezo
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lunedě 25 gennaio 2016
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autentico ed angosciante!!!
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Risoluto esordio alla regia per l'ungherese Laszlo Nemes che racconta l'orrore dei lager nazisti attraverso le disperate gesta di un deportato tra le mura di Auschwitz. Saul, ebreo ungherese addetto allo smistamento ed alla cremazione dei corpi farŕ di tutto per offrire degna sepoltura al cadavere di un bambino (suo figlio?). Una nervosa telecamera ne segue le gesta mentre attorno, l'abominio viene mostrato in maniera offuscata ed intuitiva, corredata da una moltitudine di urla, voci, rumori e lingue differenti atti a comporre una Babele immersa nell'isteria collettiva.
Una ruvida violenza che fa da contorno all'insistente peregrinare dei protagonisti aggrappati alla speranza di un'improbabile rivolta o dall'ossessione di compiere un semplice rituale mistico, mentre le immagini si soffermano sui volti tirati di esseri umani in perenne lotta per la sopravvivenza.
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Risoluto esordio alla regia per l'ungherese Laszlo Nemes che racconta l'orrore dei lager nazisti attraverso le disperate gesta di un deportato tra le mura di Auschwitz. Saul, ebreo ungherese addetto allo smistamento ed alla cremazione dei corpi farŕ di tutto per offrire degna sepoltura al cadavere di un bambino (suo figlio?). Una nervosa telecamera ne segue le gesta mentre attorno, l'abominio viene mostrato in maniera offuscata ed intuitiva, corredata da una moltitudine di urla, voci, rumori e lingue differenti atti a comporre una Babele immersa nell'isteria collettiva.
Una ruvida violenza che fa da contorno all'insistente peregrinare dei protagonisti aggrappati alla speranza di un'improbabile rivolta o dall'ossessione di compiere un semplice rituale mistico, mentre le immagini si soffermano sui volti tirati di esseri umani in perenne lotta per la sopravvivenza.
Il figlio di Saul č un opera coraggiosa ed originale; nonostante le sequenze agitate costringono il pubblico a prender parte all'angosciante follia, il film risulta un valido documento che si prende i rischi di raccontare lo Shoah direttamente dagli occhi dei protagonisti.
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ninoraffa
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lunedě 29 maggio 2017
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anche noi non saremmo diversi.
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La fabbrica di Auschwitz vista dall’interno. Inquadrata dall’obiettivo sfuocato dei sonderkommandos, gli ebrei prigionieri, che nella speranza di sopravvivere qualche mese in più, scelgono di farsi smaltitori della morte tra le docce fatali e i forni crematori. Uno di questi, Saul Ausländer,durante il lavoro recupera un ragazzo ancora agonizzante che il medico nazista provvede a terminare; Saul allora decide, senza neppure calcolare i rischi del folle piano, che quel corpo non diventerà cenere e fumo ma avrà degna sepoltura con tanto di rabbino e preghiera dei morti. Questa da ora in poi sarà la sua ragione, perché Saul ha scoperto che il ragazzo è suo figlio.
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La fabbrica di Auschwitz vista dall’interno. Inquadrata dall’obiettivo sfuocato dei sonderkommandos, gli ebrei prigionieri, che nella speranza di sopravvivere qualche mese in più, scelgono di farsi smaltitori della morte tra le docce fatali e i forni crematori. Uno di questi, Saul Ausländer,durante il lavoro recupera un ragazzo ancora agonizzante che il medico nazista provvede a terminare; Saul allora decide, senza neppure calcolare i rischi del folle piano, che quel corpo non diventerà cenere e fumo ma avrà degna sepoltura con tanto di rabbino e preghiera dei morti. Questa da ora in poi sarà la sua ragione, perché Saul ha scoperto che il ragazzo è suo figlio. E di certo lo è nel senso assoluto in cui tutti siamo reciprocamente padri e figli nel comune destino di sofferenza e corrispettiva pietà; nella condivisa vulnerabilità della natura umana che nei lager toccò uno dei suoi abissi storici.
Vicenda antichissima quella di voler seppellire qualcuno ad ogni costo, fino all’ossessione: Antigone ne è l’esempio classico. Ma Auschwitz carica qualunque racconto di significati diversi. Macbeth, verso la fine dice: “vorrei che la struttura del mondo rovinasse”. In un modo che il buon Macbeth neppure poteva immaginare, Auschwitz fu anche questo: un luogo in cui la struttura morale del mondo, all’interno della quale valgono le coordinate del bene e male, collassa. E fu un non-luogo morale con particolare riferimento a quegli internati che furono costretti a servire lo sterminio prima di esserne a loro volta inghiottiti. Primo Levi suggeriva cautela di giudizio verso i sonderkommandos, indicandoli come le più sfortunate vittime dell’Olocausto, private dai nazisti persino dell’innocenza – almeno quella – che accompagnò tutti gli altri nell’indicibile soluzione finale. In genere il sacrificio è connesso all’innocenza, o direttamente, oppure di ritorno come lavacro: riacquisto dell’innocenza dopo una colpa. Invece nell’anti-mondo di Auschwitz accadde pure che l’inaudito sacrificio di molti – l’essere vittime oltre ogni limite – fosse insieme segnato dall’altrettanto inaudita colpa di aver collaborato. All’interno di questo non-senso, può – deve – essere ragionevole qualunque contraddizione, come rischiare l’esistenza propria e di molti compagni per onorare la morte – e quindi la vita – di un figlio che (probabilmente) non è un figlio. Rischiare tutto (la speranza di salvezza nella fuga che si prepara) per un insignificante cadavere tra migliaia trattati ogni giorno dalla disumana macchina umana del campo.
Originale e audace anche sul piano formale (4:3, inquadrature strettissime e lunghi piano-sequenza), Il figlio di Saul è immune dalle furbizie strappalacrime di molti film sull’Olocausto, materia che assolutamente non ne bisognerebbe. L’opera prima di László Nemes sconvolge invece in un senso molto diverso dalla normale commozione; come se l’autore, anche attraverso certa tecnica di messa a fuoco e inquadratura, abbia proprio voluto immergerci nell’indifferenza frastornata dei servi della morte. Forse Il figlio di Saul nel suo straniamento è l’impossibile tentativo, in qualche modo risuscito, di farci vedere l’ammasso dei vestiti, le docce, la carne trascinata e ammonticchiata, i forni e la cenere da spalare, con gli occhi miopi e la sfinita ottenebrazione dei sonderkommandos. Un modo sottile e incontrovertibile per ricordarci che nelle stesse circostanze non saremmo diversi.
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flyanto
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martedě 26 gennaio 2016
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la lotta esasperata e vana di un padre
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Esordio cinematografico del giovane regista ungherese Laszlo Nemes, "Il Figlio di Saul" si inserisce nel filone dei films che ricordano la Shoah e lo sterminio in generale di tutti gli individui nei campi di concentramento durante il secondo conflitto mondiale.
Il protagonista (Géza Rohrig) di nome, appunto, Saul è un prigioniero ungherese di religione ebraica rinchiuso nel campo di concentramento di Auschwitz e, al momento, è ancora in vita rispetto a tutti coloro che sono condotti direttamente nelle camere a gas poichè svolge dei lavori di profonda pulizia e di estrema fatica per i comandanti della prigione dove è rinchiuso.
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Esordio cinematografico del giovane regista ungherese Laszlo Nemes, "Il Figlio di Saul" si inserisce nel filone dei films che ricordano la Shoah e lo sterminio in generale di tutti gli individui nei campi di concentramento durante il secondo conflitto mondiale.
Il protagonista (Géza Rohrig) di nome, appunto, Saul è un prigioniero ungherese di religione ebraica rinchiuso nel campo di concentramento di Auschwitz e, al momento, è ancora in vita rispetto a tutti coloro che sono condotti direttamente nelle camere a gas poichè svolge dei lavori di profonda pulizia e di estrema fatica per i comandanti della prigione dove è rinchiuso. Ma i suoi giorni sono ovviamente contati come tutti quelli dei suoi simili. Un giorno egli, ripulendo le camere a gas dai cadaveri lì deceduti, scopre con sgomento e profondo dolore la presenza anche di suo figlio che egli ha avuto da una relazione extra coniugale. Da questo momento in poi il protagonista si adopererà con ogni mezzo al fine di trovare un rabbino che possa recitare al figlio il Kaddish, le preghiere cioè del funerale e donargli anche una degna sepoltura senza venire cremato nei grossi forni insieme a tutte le altre salme. Purtroppo, tutto ciò si rivelerà invano....
Un film senza alcun dubbio molto crudo ed assai profondo per ricordare una terribile pagina di storia che purtroppo ha infangato la storia dell'umanità in generale. Quello, comunque, che rende il film maggiormente crudo e quanto mai realistico ed efficace nel suo intento di esplicita denuncia, è proprio l'ambientazione stessa in cui la storia è ambientata, l'interno claustrofobico e terribile di un lager dove si consumano giornalmente le violenze più estreme e terribili nei confronti di innocenti esserei umani, all'insegna del buio, dello sporco e dalle grida cacofoniche e continue dei comandanti nazisti preposti alle azioni di sterminio. Pertanto tutte le scene sono girate nella più profonda oscurità, con un ritmo concitato e, ripeto, all'insegna di uno spazio claustrofobico in cui ogni essere ancora in vita pensa al proprio interesse non tanto per puro egoismo, quanto più per istinto di sopravvivenza. Insomma, per essere un'opera d'esordio, il film è molto ben girato, dettagliatamente fedele all'ambientazione ed alla vita nei campi di concentramento, elementi che denotano una certa padronanza della macchina da presa e pertanto un'opera quanto mai efficace ai fini della denuncia di crudeltà disumane nonchè per una profonda riflessione. Da segnalare è anche la buona interpretazione del protagonista principale, l'attore ungherese, a noi sconosciuto, Géza Rohrig, che si manifesta quanto mai espressivo nella sua angoscia e nel suo incessante e frenetico peregrinare per darsi da fare al fine di riuscire nel suo assurdo e difficile intento.
Un esempio, ripeto, di buon cinema.
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deadman
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mercoledě 27 gennaio 2016
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una storia rovinata
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conosco la storia del sonderkommando di auschwitz che in prossimità sella loro eliminazione si ribellò ai nazisti e vado a vedere il film, ma già dopo pochi secondi capisco cosa mi aspetto, l'inquadratura non è la solita da cinema la cosidetta 4:3 ma un misero quadrato evabbè, finisse qui ma il regista non contento ci propina un'inquadratura fissa sul personaggio in questione (dopo ne parleremo) con totale sfocatura della scena la quale va a fuoco solo quando il primo piano si sfoca. e questo per tutta la durata del film, una cosa che mi dà un'irritazione bestiale, provate poi capite. capisco che è la tua opera prima e vuoi far vedere che sei in "artista" ma amico mio stai parlando dell'olocausto non stai facendo una videoclip, che poi le qualità tecniche le avrebbe pure quindi non capisco questa scelta autoriale e snobistica veramente stupida che toglie nitidezza nel vero senso della parola a tutto il lungometraggio.
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conosco la storia del sonderkommando di auschwitz che in prossimità sella loro eliminazione si ribellò ai nazisti e vado a vedere il film, ma già dopo pochi secondi capisco cosa mi aspetto, l'inquadratura non è la solita da cinema la cosidetta 4:3 ma un misero quadrato evabbè, finisse qui ma il regista non contento ci propina un'inquadratura fissa sul personaggio in questione (dopo ne parleremo) con totale sfocatura della scena la quale va a fuoco solo quando il primo piano si sfoca. e questo per tutta la durata del film, una cosa che mi dà un'irritazione bestiale, provate poi capite. capisco che è la tua opera prima e vuoi far vedere che sei in "artista" ma amico mio stai parlando dell'olocausto non stai facendo una videoclip, che poi le qualità tecniche le avrebbe pure quindi non capisco questa scelta autoriale e snobistica veramente stupida che toglie nitidezza nel vero senso della parola a tutto il lungometraggio. poi invece di puntare sulla rivolta degli internati sposta l'attenzione sulla storia del personaggio principale totalmente assurda, in pratica trova un ragazzo in fin di vita nella camera e gas ed assiste senza fiatare quando il nazista lo uccide per poi sostenere che è suo figlio (?) e per tutto il tempo va in cerca di un rabbino per poterlo seppellire, totalmente assurdo in un campo di concentramento. a questo punto preferisco un film come labirinto di silenzi che espleta la sua funzione di denuncia senza sfronzoli "pseudo-artistici" peccato perchè la storia era veramente fantastica/orribile un regista con meno velleità l'avrebbe svolta meglio per esempio guardatevi "il falsario" stupendo, o "il pianista"
speriamo solo che non diventi un altro inarritu
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[+] maggior indulgenza
(di goldy)
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[+] pienamente d'accordo
(di flaw54)
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[+] ...
(di no_data)
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[+] uno storico .... che non vede "la storia"?
(di smarter)
[ - ] uno storico .... che non vede "la storia"?
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