enzo70
|
venerdě 29 gennaio 2016
|
anche all'inferno si puň essere uomini
|
|
|
|
Laslo Nemes esordisce alla regia con un film destinato ad entrare nella storia del cinema. Attenzione, non è un capolavoro; qualche indugio di troppo lo lascia nel limbo dei tanti bei film destinati a perdere nella comparazione dei grandi film. Ma alla durezza della storia che racconta, o alla sua infinita dolcezza, il regista ungherese affianca una tecnica di regia innovativa nella sua crudezza, le immagini sfocate continuamente sovrapposto, l’utilizzo rude del sonoro per trasferire il dramma delle urla e del dolore infinito della Shoà.
[+]
Laslo Nemes esordisce alla regia con un film destinato ad entrare nella storia del cinema. Attenzione, non è un capolavoro; qualche indugio di troppo lo lascia nel limbo dei tanti bei film destinati a perdere nella comparazione dei grandi film. Ma alla durezza della storia che racconta, o alla sua infinita dolcezza, il regista ungherese affianca una tecnica di regia innovativa nella sua crudezza, le immagini sfocate continuamente sovrapposto, l’utilizzo rude del sonoro per trasferire il dramma delle urla e del dolore infinito della Shoà. Saul è un componente del sonderkommando di Aushwitz, un uomo la cui sopravvivenza è dovuta all’esigenza qualcuno bruci altri uomini, sulla base delle regole fissate da un popolo che al tempo dimenticò cosa significa l’umanità. Saul riconosce in un pezzo, così venivano chiamati gli ebrei passati per la camera a gas, suo figlio. O meglio, identifica in un bambino morto un figlio di quel popolo destinato al dolore. E mentre i membri del sondercommando preparano una rivolta, avendo deciso che è meglio morire combattendo che morire strisciando, l’unica preoccupazione di Saul è quella di seppellire il figlio, garantendogli il rito Kaddish. E non basta un rabbino, perché nell’inferno dei campi di concentramento tutto è vietato, anche seppellire un corpo nella fabbrica dei morti. Nemes ci porta così in un viaggio all’inferno, nel cuore produttivo di Auschwitz, i rumori sono quelli di un’acciaieria, il sogno teutonico dell’efficienza produttiva è realizzato nel campo di sterminio. La dolcezza c’è tutta nell’ultimo, e unico, sorriso di Saul al termine del film. Perché anche all’inferno ci si può ricordare di essere uomini.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a enzo70 »
[ - ] lascia un commento a enzo70 »
|
|
d'accordo? |
|
angelo umana
|
martedě 9 febbraio 2016
|
abominio
|
|
|
|
Qualcuno ha scritto che dopo un film come questo di László Nemes nessuno più ne girerà altri sulla Shoah. E’ un’esagerazione, altri film escono sull’argomento, la testimonianza non cesserà, anche perché “Fin quando la tragedia non incontra qualcuno che la sappia raccontare essa scivola sugli abiti come acqua nel diluvio”: questo ha detto Marco Belpoliti, scrittore e critico letterario, docente di letteratura a Bergamo e massimo esperto su Primo Levi. Nemes l’ha raccontata specificamente dai locali della eliminazione (Vernichtung) delle persone, che poi diventano corpi da far bruciare e la cui cenere veniva buttata nei fiumi tedeschi (una lapide in un punto del Danubio ricorda che lì fu buttata la cenere di 30.
[+]
Qualcuno ha scritto che dopo un film come questo di László Nemes nessuno più ne girerà altri sulla Shoah. E’ un’esagerazione, altri film escono sull’argomento, la testimonianza non cesserà, anche perché “Fin quando la tragedia non incontra qualcuno che la sappia raccontare essa scivola sugli abiti come acqua nel diluvio”: questo ha detto Marco Belpoliti, scrittore e critico letterario, docente di letteratura a Bergamo e massimo esperto su Primo Levi. Nemes l’ha raccontata specificamente dai locali della eliminazione (Vernichtung) delle persone, che poi diventano corpi da far bruciare e la cui cenere veniva buttata nei fiumi tedeschi (una lapide in un punto del Danubio ricorda che lì fu buttata la cenere di 30.000 corpi!).
Nel suo primo lungometraggio, premio speciale della Giuria a Cannes 2015 e “plurinominato” per vari concorsi, il regista 39enne immagina il lavoro che svolgevano dei Sonderkommando (comando speciale) ungheresi, prigionieri essi stessi del lager di Auschwitz nel ’44 e destinati alla morte quando nuovi lavoratori prendevano il loro posto: è proprio una fabbrica organizzata o meglio una macelleria che lavora dei “pezzi” (Stücke). La macchina da presa costantemente alle spalle di Saul o sul suo volto, morto vivente che con altri riceve i nuovi carichi di ebrei in arrivo, che vengono fatti spogliare, i vestiti raccolti frettolosamente e ripuliti di eventuali gioielli e documenti privati, vite annullate senza più identità ma solo numeri, corpi, “pezzi”. Si chiudono le porte ermetiche della camera a gas e il sonderkommando sente il trambusto mortale e disperato che si placa in fretta dietro quelle porte.
Solo un tratto passeggero di umanità sembra avere il viso di Saul, quando accoglie i nuovi prigionieri a cui viene promesso lavoro, cure mediche e sa che sono di lì a poco destinati alla morte, come egli stesso, nulla più da sperare. E’ un film di ordini urlati, corpi trascinati o aperti che scorrono inavvertiti accanto a Saul, pianti di bambini. Riconosce tra la nuova produzione di “pezzi” il cadavere di suo figlio e il suo unico scopo diventa la ricerca di un rabbino che reciti il Kaddish e la sepoltura di quel corpo da non lasciar bruciare come gli altri. Non siamo sicurissimi che il figlio sia proprio il suo, ma questa idea di dargli degna sepoltura pare un desiderio di redenzione rispetto alla bruttezza del luogo e del lavoro che è costretto a compiere. Per farlo tradisce i suoi compagni che preparavano la rivolta e la fuga (inverosimili) prima che un nuovo sonderkommando prendesse il loro posto (Hai tradito dei vivi per seppellire un morto?!).
Non c’è musica, non c’è un sorriso in questo film, in fondo è un documento sulla crudezza di quei posti in una visione particolare del regista, un “La vita è bella” molto più tragico e rude. Un’ombra di sorriso appare sul volto di Saul in un bosco tra gente che fugge, quando evita ad un ragazzo dell’età del figlio di essere bersaglio dei nazisti che sparano a chi fugge.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a angelo umana »
[ - ] lascia un commento a angelo umana »
|
|
d'accordo? |
|
lbavassano
|
lunedě 7 marzo 2016
|
capolavoro di rigore stilistico ed etico
|
|
|
|
Una rappresentazione dell'universo concentrazionario che ha pochi, pochissimi eguali sotto il profilo del rigore stilistico. La macchina da presa costantemente incollata al volto del protagonista rende con la massima forza la mostruosità claustrofobica, fisica ed etica, al pari dello sfocato di tutto ciò che lo circonda, dell'accumulo indistinguibile dei corpi destinati al macello, ma rende anche l'impossibilità di comprendere ciò che veramente vive, continua nonostante tutto a vivere, dietro quello sguardo implacabilmente fisso che solo in due occasioni si scioglie a sfiorare un improbabile, assurdo sorriso.
[+]
Una rappresentazione dell'universo concentrazionario che ha pochi, pochissimi eguali sotto il profilo del rigore stilistico. La macchina da presa costantemente incollata al volto del protagonista rende con la massima forza la mostruosità claustrofobica, fisica ed etica, al pari dello sfocato di tutto ciò che lo circonda, dell'accumulo indistinguibile dei corpi destinati al macello, ma rende anche l'impossibilità di comprendere ciò che veramente vive, continua nonostante tutto a vivere, dietro quello sguardo implacabilmente fisso che solo in due occasioni si scioglie a sfiorare un improbabile, assurdo sorriso. Così è per il sonoro confuso, in cui risulta estremamente difficile discernere il rumore di fondo continuo, ossessivo, dalle parole, dalla babele dei linguaggi incomprensibili, incomunicabili se non come violenza. Un'inferno dantesco esplicitamente evocato in scene di lucidissima crudezza che non concedono spazio alcuno alla retorica ed alla facile commozione.
L'unica forma di umana pietà non può che essere destinata ad un cadavere, scelto quasi casualmente fra migliaia di altri, l'unica forma di dignità umana non può che apparire ancora più folle della troppo lucida follia che ogni umano rapporto ha devastato, la follia di un Saul radicalmente straniero, straniero ai carnefici così come alle altre vittime.
Ma forse sarebbe sufficiente una sola parola: capolavoro.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a lbavassano »
[ - ] lascia un commento a lbavassano »
|
|
d'accordo? |
|
mario nitti
|
domenica 18 settembre 2016
|
restano le domande
|
|
|
|
Sul tema dell’orrore dei campi di concentramento sono stati girati tanti film, eppure l’abisso non è ancora stato scandagliato fino in fondo ed è ancora capace di generare nuovi punti di vista, riflessioni che aggiugono qualche cosa al già detto. Ci vuole un po’ a capire cosa sta facendo Saul perché l’orrore delle camere a gas sta sullo sfondo, sfocato, mentre lui indaffarato esegue ordini urlati senza che il suo viso tradisca emozioni. Ma qualcosa rompe l’estraniamento: in un ragazzo che muore solo dopo un’agonia, e lui riconosce suo figlio e a questo reagisce con la decisione che non dovrà essere bruciato, ma seppellito da un rabbino.
[+]
Sul tema dell’orrore dei campi di concentramento sono stati girati tanti film, eppure l’abisso non è ancora stato scandagliato fino in fondo ed è ancora capace di generare nuovi punti di vista, riflessioni che aggiugono qualche cosa al già detto. Ci vuole un po’ a capire cosa sta facendo Saul perché l’orrore delle camere a gas sta sullo sfondo, sfocato, mentre lui indaffarato esegue ordini urlati senza che il suo viso tradisca emozioni. Ma qualcosa rompe l’estraniamento: in un ragazzo che muore solo dopo un’agonia, e lui riconosce suo figlio e a questo reagisce con la decisione che non dovrà essere bruciato, ma seppellito da un rabbino. Mentre intorno la follia omicida nazista consuma i suoi riti Saul cerca di realizzare il suo progetto che pare ispirato da una follia di segno diverso.
Il film non concede speranze, non è previsto l’happy end, alla fine l’ordine delle cose non sarà restaurato e lo spettatore non potrà uscire rassicurato. Restano solo domande senza risposta: trovare un senso all’orrore è forse impossibile, ma non smettere di farsi interrogare resta importante.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a mario nitti »
[ - ] lascia un commento a mario nitti »
|
|
d'accordo? |
|
gigioncino
|
lunedě 13 febbraio 2017
|
una perla
|
|
|
|
Vera Perla per cinefili, il film di Nemes ti colpisce dritto allo stomaco, lasciandoti senza fiato per tutta la visione. Originale e straordinariamente angosciante , non lascia spazio a compromessi di sorta. Ciò che la macchina da presa ti fa vedere, va di pari passo con quello che ti fa immaginare ci sia e con quello che vorresti non ci fosse ma c'è. Uno dei film più interessanti degli ultimi anni: cruda testimonianza di una tragedia che qui viene evocata nei suoi risvolti più crudi e realistici
|
|
[+] lascia un commento a gigioncino »
[ - ] lascia un commento a gigioncino »
|
|
d'accordo? |
|
greatsteven
|
sabato 15 luglio 2017
|
il sentimento paterno della pietŕ nella shoah.
|
|
|
|
IL FIGLIO DI SAUL (UNG, 2015) diretto da LàSZLò NEMES. Interpretato da GéZA RöHRIG, LEVENTE MOLNAR, URS RECHN, SANDòR ZSòTER, TODD CHARMONT
Premiato con l’Oscar al migliore film straniero, eguale riconoscimento pareggiato col Golden Globe e il David di Donatello nella medesima categoria, insieme al Grand Prix de la Giurie a Cannes, è uno dei capolavori inconfutabili dell’ultimo decennio, un film di nicchia che ha usufruito d’un distributore indipendente e brilla di luce propria nella categoria cui appartiene, la pellicola storica di ambiente ebraico in piena Seconda Guerra Mondiale.
[+]
IL FIGLIO DI SAUL (UNG, 2015) diretto da LàSZLò NEMES. Interpretato da GéZA RöHRIG, LEVENTE MOLNAR, URS RECHN, SANDòR ZSòTER, TODD CHARMONT
Premiato con l’Oscar al migliore film straniero, eguale riconoscimento pareggiato col Golden Globe e il David di Donatello nella medesima categoria, insieme al Grand Prix de la Giurie a Cannes, è uno dei capolavori inconfutabili dell’ultimo decennio, un film di nicchia che ha usufruito d’un distributore indipendente e brilla di luce propria nella categoria cui appartiene, la pellicola storica di ambiente ebraico in piena Seconda Guerra Mondiale. Lo dirige Nemes, classe 1977, nato a Budapest, apprendistato a Parigi e New York e buona parte degli studi cinematografici spesa in Francia, il quale, dopo numerosi cortometraggi che fecero incetta di premi, è approdato col film in questione al lungometraggio. Storia di Saul Ausländer, Sonderkommando ungherese, incaricato di rubare dai cappotti degli israeliti gli effetti preziosi dopo che essi son stati denudati per fare la doccia nella camera a gas. (Il termine tedesco ritrae appunto il prigioniero nella condizione particolare di fare da aiutante e strumento volontario d’appoggio alle SS, che lo mantengono in vita soltanto per qualche mese per poi sterminarlo alla stregua degli omologhi deportati). Terminato un eccidio, un bambino rimane inspiegabilmente vivo. Il medico soffoca il suo respiro e lo sopprime. Saul, che non ha figli, finge di riconoscere nel giovanissimo defunto un figlio, ne trafuga il corpo e si mette a cercare un rabbino per dargli onorata sepoltura con esequie da celebrare. La sua ricerca è però molto difficoltosa, lo porta ad infrangere numerose regole sia all’interno che all’esterno del suo campo di concentramento (Auschwitz), lo fa spostare tra Birkenau e Biederman fra spalatori di cenere e ribelli in rivolta e gli costa specialmente tanto l’astio dei gerarchi nazisti quanto lo sdegno dei detenuti che mirano a sovvertire l’ordine costituendo preparando una protesta armata contro i crudeli carcerieri. Scovato il rabbino di cui necessita, Saul fugge dal campo di lavoro dopo aver pagato una donna ebrea addetta alla pulizia delle mense, ma perde il bambino infagottato mentre traversa il fiume fra una sponda e l’altra della foresta esterna, e muore durante una rastrellata ad opera delle SS accortesi della comitiva fuggiasca, causa un bambino biondo zittito all’istante cui rivolge il suo ultimo sorriso, eterna e pacifica manifestazione d’affetto per la generazione nuova costretta a subire orrori e barbarie indesiderati. La coppia Nemes-Röhrig è la carta vincente che fornisce la foltissima linfa vitale ad un’opera costituente un punto d’approdo e un mito da caposcuola che racconta un frammento arcinoto dell’evento storico da sempre più rappresentato al cinema, con lo sguardo disincantato di una sceneggiatura che denuncia la brutalità bellica andandola a colpire nella sua zona più labile: la sottomissione di un’intera razza. Non c’è pietà per i nazisti, beninteso, ma nemmeno, e questo anche un po’ inaspettatamente, compassione per il popolo semita: si cerca insomma di evitare i sentimentalismi (trappola sempre ricorrente, in tali frangenti) per narrare una storia non certo originale, ma ricca di un repertorio che ha ancora un bagaglio vasto cui attingere, e che viene svuotato con l’espletamento di numerosi significati profondi, dalla paternità simulata ai fini di sopravvivenza alla lotta organizzata con le armi per contrastare il dispotismo, dall’istituzione totale che giustifica la tirannia di chi si ritiene intellettualmente superiore al bisogno del cameratismo amichevole e virile allo scopo di fuggire un’ingiusta, reiterata prigionia senza scopo. Il regista adotta lo stratagemma geniale di riprendere, per tre quarti della durata, il protagonista di spalle, mettendone bene in risalto il segno a croce rosso sulla casacca consunta, la nuca pelosa e il berretto macilento, mentre, quando viene inquadrato il suo viso, traspare a fiotti commoventi il suo smarrimento, unito ad un odio inveterato e ad una rabbia compressa. Elementi che gli danno l’acqua della vita, che forniscono al personaggio principale la ragion d’essere di perseverare in una missione che comunque ha già molti motivi di non andare in porto, ma che in effetti fallisce dopo che Saul s’è impegnato anima e corpo per trasgredire un regolamento intero (anzi, due) affinché il bimbo da lui salvato ottenga ciò che gli spetta cristianamente e umanamente. Apologo umanistico sul perché della guerra, funziona con meravigliosa potenza espressiva anche come racconto pessimistico sulla condizione umana: Saul, insieme al compagno connazionale Abraham, altro personaggio descritto e recitato con puntigliosa dovizia ed eccellente rigore stilistico, è un prigioniero involontario che si presta ad appoggiare i suoi feroci detrattori ritagliandosi due mesi in più di vita prima di esser passato a sua volta per le armi, ma non asseconda ciò che gli suggerisce la sua condizione per combattere con obiettivi da raggiungere ben precisi e delineati. Un brandello significativo nel quadro del cinema d’autore di stampo nazionale, il che fa onore all’Ungheria e trasporta Nemes nell’albo dei cineasti ormai non più emergenti e che meritano l’attenzione della critica, non tanto quella (inutile) dei mass media. Una scenografia che sa ritrarre con crudo realismo le stanze buie, fredde e sporche del peggior luogo di dolore della Storia umana, assieme alla natura incontaminata e accogliente, ma fino a un certo punto, che ne circonda il perimetro esteriore. Se abbinati, divengono entrambi una pietosa caverna di raccoglimento in cui sofferenza e disperazione si tramutano in ragioni inequivocabili per sollevarsi dal fango, rifiutarsi di spalare nel torrente la cenere di coloro che son stati appena bruciati nei forni crematori e ribadire la propria inalienabile umanità di fronte alle urla, alle botte, ai fucili puntati. Saul doppiato da Stefano Santerini, Abraham da Andrea Lavagnino. Centotré minuti di ammirevole e spietato spettacolo da gustare in sala per poi ripetere l’esperienza una seconda volta col lettore DVD a casa.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a greatsteven »
[ - ] lascia un commento a greatsteven »
|
|
d'accordo? |
|
valterchiappa
|
mercoledě 8 novembre 2017
|
endlösung
|
|
|
|
Si poteva dire ancora qualcosa sulla Shoah? Sì, se tralasciata ogni consequenzialità propria di un racconto storico, la si rende l’archetipo di ogni idea di Male, un immenso Mare Nero dove far galleggiare il flebile e purtroppo effimero lume di una Speranza. Sì, se la dipinge come Caos sommo, negazione di ogni Ordine che è alla base del concetto di umanità. “Il figlio di Saul” è questo ed oltre.
Un racconto surreale. Saul Ausländer (Géza Röhrig), prigioniero ungherese nel campo di sterminio di Auschwitz, è arruolato nei Sonderkommand. Il più infame dei compiti: al servizio del proprio carnefice accompagnare i confratelli verso le camere a gas, raccoglierne i corpi, stiparli nei forni crematori.
[+]
Si poteva dire ancora qualcosa sulla Shoah? Sì, se tralasciata ogni consequenzialità propria di un racconto storico, la si rende l’archetipo di ogni idea di Male, un immenso Mare Nero dove far galleggiare il flebile e purtroppo effimero lume di una Speranza. Sì, se la dipinge come Caos sommo, negazione di ogni Ordine che è alla base del concetto di umanità. “Il figlio di Saul” è questo ed oltre.
Un racconto surreale. Saul Ausländer (Géza Röhrig), prigioniero ungherese nel campo di sterminio di Auschwitz, è arruolato nei Sonderkommand. Il più infame dei compiti: al servizio del proprio carnefice accompagnare i confratelli verso le camere a gas, raccoglierne i corpi, stiparli nei forni crematori. Premio: quattro mesi di vita in più, prima del cambio della guardia. Saul adempie con sguardo assente, senza dire parola, mentre attorno a lui è il caos. Finché un giorno, nel viso di un bambino moribondo, riconosce, o meglio crede di riconoscere, suo figlio. Non può salvargli la vita, ma almeno cercare di dargli degna sepoltura secondo il rito ebraico, evitandogli la dissoluzione dell’incenerimento. Sempre silenzioso si affanna per occultarne il cadavere e trovare fra i prigionieri un rabbino. La ricerca, purtroppo folle, purtroppo vana, di una speranza, di un qualcosa in cui credere, diventa l’unica possibile ragione per vivere.
Come narrare tutto questo? Come tessere un filo continuo dove tutto è frammentazione, come inseguire un senso dove è la Ragione ad esser negata? László Nemes, regista ungherese esordiente, ci riesce con una tecnica registica spericolata ed innovativa. Con il movimento continuo della camera a mano, sussultante, traballante, spara immagini quasi psichedeliche che disorientano, scuotono, rivoltano il senso dell’equilibrio. Le scene si susseguono freneticamente, i movimenti sono convulsi, le voci sono urla, le nenie ebraiche, flebile ma inarrestabile leitmotiv, un mantra ipnotizzante. Tutto è volto creare disturbo, a colpire lo stomaco, strizzare il fegato, ottundere la mente. E tutto ciò senza centrare mai l’occhio sulla violenza, ma lasciandola come uno sfondo indistinto. Perché il viaggio del misero Saul è il solo oggetto della sua camera. L’obiettivo mette a fuoco solo la figura del protagonista, tutto il resto è sfocato, la massa dei corpi, il sangue, così come i suoni, assordanti, stridenti, rimbombanti ma indistinguibili. Forse perché l’orrore è inenarrabile o forse perché il folle proposito di Saul, quell’esile, tenacissimo filo, è ciò che solo è sensato in una follia immensamente più abnorme.
Oltre che dal genio di László Nemes il film è sostenuto dalla straordinaria interpretazione del protagonista, Géza Röhrig, fatta di un’espressività ineffabile, di movimenti automatici, di totale straniamento, sintomi dell’annullamento dell’umanità fine ultimo della Endlösung. Artista affatto originale Röhrig: ex musicista punk censurato dal regime comunista ungherese, poeta, studioso della cultura ebraica, in “Il figlio di Saul” è al debutto come attore.
Un film di esordienti quindi, provenienti di un paese, l’Ungheria, ai margini dei grandi circuiti: solo da questo contesto poteva giungere un contributo così innovativo all’arte cinematografica. Il risultato non si è fatto attendere; e dopo il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes 2015 ed il Golden Globe, stanotte “Il figlio di Saul” ha meritatamente scalato il palco più ambito, conquistando l’Oscar 2016 per il miglior film straniero; eppure non ci saremmo aspettati tanto coraggio da parte dell’Academy, nel premiare un film così drammaticamente impattante sia nella lingua che nel messaggio.
“Il figlio di Saul”, per logiche miopi, ha stazionato troppo poco nelle sale. Cercatelo e vedetelo; accettate di farvi sconvolgere, angosciare, di soffrire anche fisicamente. Affondate occhi, cuore, cervello nel dolore.
È il viatico necessario perché alla fine, più forte di tutto il Male, possa riaccendersi un sorriso.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a valterchiappa »
[ - ] lascia un commento a valterchiappa »
|
|
d'accordo? |
|
ennio
|
mercoledě 3 gennaio 2018
|
l'alienazione narrata in modo originale e feroce
|
|
|
|
Non sono molti i film sull'olocausto che brillano per originalità. "il figlio di Saul" è tra questi. La scelta di concentrare le riprese sul protagonista e mantenere il resto sullo sfondo, spesso sfocato, è una trovata che ti fa vivere molto più da vicino l'assurdità e l'oppressione della prigionia e del clima militare. Anche la scelta di lasciare la lingua tedesca non tradotta all'inizio disturba, sembra di non riuscire a seguire bene la trama, ma alla fine si rivela il fattore che più di tutti ti fa vivere la drammaticità, l'alienazione nella vita dei protagonisti, che per loro è ormai diventata normalità.
[+]
Non sono molti i film sull'olocausto che brillano per originalità. "il figlio di Saul" è tra questi. La scelta di concentrare le riprese sul protagonista e mantenere il resto sullo sfondo, spesso sfocato, è una trovata che ti fa vivere molto più da vicino l'assurdità e l'oppressione della prigionia e del clima militare. Anche la scelta di lasciare la lingua tedesca non tradotta all'inizio disturba, sembra di non riuscire a seguire bene la trama, ma alla fine si rivela il fattore che più di tutti ti fa vivere la drammaticità, l'alienazione nella vita dei protagonisti, che per loro è ormai diventata normalità.
Ottimo film, al riparo dai sentimentalismi e dai formali moralismi che quasi sempre appaiono, ahimè, nei film sulla Shoah.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a ennio »
[ - ] lascia un commento a ennio »
|
|
d'accordo? |
|
robroma66
|
domenica 31 gennaio 2016
|
resistenza all'abisso
|
|
|
|
László Nemes ha avuto coraggio e il suo primo lungometraggio è ben riuscito, anche se è difficile dare dare un giudizio su un film che parla della Shoah.
Saul è un componente del Sonderkommando di Auschwitz, cioè uno dei prigionieri -periodicamente uccisi e sostituiti- che aiutavano gli aguzzini nazisti nella gestione dello sterminio. Saul ha il compito di accompagnare nelle camere a gas, pulire, bruciare i corpi. Un giorno Saul vede un bambino sopravvissuto
al gas e finito da un medico.
[+]
László Nemes ha avuto coraggio e il suo primo lungometraggio è ben riuscito, anche se è difficile dare dare un giudizio su un film che parla della Shoah.
Saul è un componente del Sonderkommando di Auschwitz, cioè uno dei prigionieri -periodicamente uccisi e sostituiti- che aiutavano gli aguzzini nazisti nella gestione dello sterminio. Saul ha il compito di accompagnare nelle camere a gas, pulire, bruciare i corpi. Un giorno Saul vede un bambino sopravvissuto
al gas e finito da un medico. In quel bambino si convince di riconoscere suo figlio e decide
di dargli degna sepoltura, secondo
il cerimoniale del Kaddish. Si innesca così una forma di resistenza, di recupero della dimensione umana. La missione di Saul si affianca e quasi si contrappone ad un piano di fuga di alcuni prigionieri. Ma non c'è salvezza per nessuno.
A mio sentire, una delle scene più icastiche e rappresentative della funzione di annientamento umano del lager è stata la reazione dei nazisti nei confronti di Saul quando lo sorprendono ad aggirarsi negli ambienti della 'sala autoptica'. Lui è alla ricerca del corpo del ragazzo e quando viene scoperto si giustifica dicendo "Devo pulire". Un giovane ufficiale nazista comincia a scimmiottarlo e a deriderlo, accompagnato dalle risate degli altri aguzzini.
Saul è sempre al centro dell'inquadratura e l'orrore del campo di concentramento si vede sfocato.
Il film pare perfino che non sia dispiaciuto al regista, sceneggiatore e produttore novantenne francese Claude Lanzmann, autore di “Shoah” (monumentale raccolta di interviste ai sopravvissuti) che ha da sempre posizioni radicali, convinto che bisogna solo dar voce ai testimoni e nessuna immagine può degnamente essere prodotta sul tema degli stermini nazisti.
Naturalmente è un film che trasmette un'angoscia incomprimibile dalla quale è impossibile liberarsi.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a robroma66 »
[ - ] lascia un commento a robroma66 »
|
|
d'accordo? |
|
ennas
|
sabato 30 aprile 2016
|
la memoria di saul
|
|
|
|
Molto difficile č fare un film sull’olocausto: incombe il rischio del giŕ visto o della retorica da tragedia. Il regista ungherese Laszlo Nemes, con questo “Il figlio di Saul”, centra con grande perizia un’angolatura che sfugga a questi rischi.
Ambientandolo ad Auschwitz-Birkenau il regista focalizza il suo obiettivo su uno degli aspetti piů ripugnanti della vita dei campi: quello dei sonderkommando. Saul č uno di loro, un ebreo adibito allo smistamento, spoliazione dei prigionieri, trasferimento dei cadaveri dalle camere a gas ai crematori. Nel programma di distruzione sistematica di un popolo, le ss adibirono una parte dei prigionieri al lavoro sporco nell’eliminazione dei loro compagni di sventura, in attesa del proprio turno.
[+]
Molto difficile č fare un film sull’olocausto: incombe il rischio del giŕ visto o della retorica da tragedia. Il regista ungherese Laszlo Nemes, con questo “Il figlio di Saul”, centra con grande perizia un’angolatura che sfugga a questi rischi.
Ambientandolo ad Auschwitz-Birkenau il regista focalizza il suo obiettivo su uno degli aspetti piů ripugnanti della vita dei campi: quello dei sonderkommando. Saul č uno di loro, un ebreo adibito allo smistamento, spoliazione dei prigionieri, trasferimento dei cadaveri dalle camere a gas ai crematori. Nel programma di distruzione sistematica di un popolo, le ss adibirono una parte dei prigionieri al lavoro sporco nell’eliminazione dei loro compagni di sventura, in attesa del proprio turno. Fu un crimine nel crimine, la creazione dei sonderkommando, appunto. Anche se risaputo, ribadiamolo, perché fu una perversa distruzione della dignitŕ umana senza paragoni.
Nel film, la macchina a mano tallona incessantemente il protagonista Saul, sempre in primo piano, nell’inferno che lo circonda : voci, grida, rumori e il lavoro allucinante della “squadra”.
Come puň, un essere umano, reggere all’orrore dentro e fuori di sé, senza rimanerne fulminato?
E’ possibile trascendere una realtŕ atroce senza impazzire? Il film ci mostra la metamorfosi di Saul che vuole sottrarre il cadavere di un bambino dalle fiamme del crematorio e dargli sepoltura con tanto di orazione.
Nell’inferno del campo, l’innocenza simbolica dell’infanzia si moltiplica dall’essere vittima e cadavere: un assoluto che darŕ senso all’agire di Saul, per lui č suo figlio che deve difendere dalla distruzione totale.
Una parabola potente che lascia scossi molti di noi spettatori. Abbiamo assistito a questa proiezione angosciati, disturbati, stressati dall’inizio alla fine da un film di grande spessore simbolico ed emotivo. Da non perdere.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a ennas »
[ - ] lascia un commento a ennas »
|
|
d'accordo? |
|
|