laurence316
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giovedì 9 febbraio 2017
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piatto, retorico e guerrafondaio
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L'ultima fatica di Niccol (un tempo brillante sceneggiatore di opere come The Truman Show), è un war movie più che mai aggiornato ai tempi, tra i primissimi a trattare il tema della "guerra al tempo dei droni", in un presente che ha dell'assurdo dove gli attacchi avvengono per mezzo di velivoli invisibili all'occhio umano, comandati a distanza da un drappello di "piloti" comodamente seduti dentro ad un box con aria condizionata nel deserto del Nevada, vicino Las Vegas, a centinaia di migliaia di miglia di distanza dall'obiettivo, che viene eliminato per mezzo di missili balistici ad altissima precisione, in nome della sicurezza della nazione.
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L'ultima fatica di Niccol (un tempo brillante sceneggiatore di opere come The Truman Show), è un war movie più che mai aggiornato ai tempi, tra i primissimi a trattare il tema della "guerra al tempo dei droni", in un presente che ha dell'assurdo dove gli attacchi avvengono per mezzo di velivoli invisibili all'occhio umano, comandati a distanza da un drappello di "piloti" comodamente seduti dentro ad un box con aria condizionata nel deserto del Nevada, vicino Las Vegas, a centinaia di migliaia di miglia di distanza dall'obiettivo, che viene eliminato per mezzo di missili balistici ad altissima precisione, in nome della sicurezza della nazione. Gli stessi piloti che, ad ogni nuovo colpo, andato "a buon fine", dicono "good kill", letteralmente "buona uccisione", seguendo lo spesso agghiacciante slang militare americano.
Potenzialmente era un'ottima premessa da cui ricavare un serio film di analisi delle ragioni di ogni conflitto, ma è fin da subito chiaro che non sono di certo queste le aspirazioni della scialba sceneggiatura dello stesso Niccol, che produce un film piatto, monotono e soprattutto ambiguo. Perché le ragioni del protagonista e dei suoi comprimari non sono mai particolarmente messe in discussione, tutti agiscono in buona fede, in nome, oltre che della sicurezza nazionale, della "prevenzione" di ipotetici attacchi futuri da parte del nemico.
E nel concentrasi sulle miserie esistenziali del protagonista, perde di vista quello che dovrebbe essere il tema cardine del film: ovvero se si possa o meno definire una guerra "giusta" e, di conseguenza, se i cosiddetti "attacchi preventivi" e lo stesso uso dei droni siano giustificabili. Da quel che emerge tra le righe, a quanto pare sì e, difatti, sul finale Egan si trasforma in una sorta di giustiziere solitario, in pace con la propria coscienza.
Good Kill assume dunque i connotati di una spicciola propaganda guerrafondaia e retorica che non dovrebbe far altro che infastidire. Anche perché l’unico motivo di turbamento del protagonista deriva dal fatto di non poter più provare il brivido del volo, pilotare aerei da caccia, dove oltre ad uccidere si rischia di essere uccisi, e non di certo dal fatto di avere dei dubbi circa la moralità e correttezza di ciò che sta facendo.
Nello stesso anno di American Sniper (anche se, in verità, da noi è uscito con oltre un anno di ritardo), ecco dunque un’altra glorificazione della guerra e dell’esercito, anche se non così sbandierata. Perché, come detto, è un film fortemente ambiguo, e pertanto non apertamente pro ma nemmeno apertamente contro, anche se, arrivati alla fine, a prevalere è il primo sentimento: un sentimento sostanzialmente a favore del concetto di “guerra giusta”. E che nel XXI secolo ancora si sia a questi livelli dovrebbe dare da pensare.
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gianleo67
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martedì 6 settembre 2016
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non per entrare nel merito del motore
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Già reduce da sei scenari di guerra, ex pilota di caccia americano viene reimpiegato nella guida di droni che l'aereonautica utilizza in remoto per bombardare obiettivi sensibili nel teatro del conflitto afgano. Combattuto tra le difficili scelte etiche che deve prendere quotidianamente ed una relazione coniugale che si sta inesorabilmente logorando, la sua crisi umana e professionale sembra coincidere con quella di una guerra che diventa ogni giorno più assurda ed insensata.
La lotta al terrorismo ai tempi della X-Box nel film di guerra (da camera) del neozelandese Niccol è il succedaneo di una virtualizzazione del conflitto che sembra spersonalizzare i suoi belligeranti protagonisti e disinnescare il potenziale di orrore e di morte che ogni guerra porta inevitabilmente con sè.
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Già reduce da sei scenari di guerra, ex pilota di caccia americano viene reimpiegato nella guida di droni che l'aereonautica utilizza in remoto per bombardare obiettivi sensibili nel teatro del conflitto afgano. Combattuto tra le difficili scelte etiche che deve prendere quotidianamente ed una relazione coniugale che si sta inesorabilmente logorando, la sua crisi umana e professionale sembra coincidere con quella di una guerra che diventa ogni giorno più assurda ed insensata.
La lotta al terrorismo ai tempi della X-Box nel film di guerra (da camera) del neozelandese Niccol è il succedaneo di una virtualizzazione del conflitto che sembra spersonalizzare i suoi belligeranti protagonisti e disinnescare il potenziale di orrore e di morte che ogni guerra porta inevitabilmente con sè. Se il soggetto non fa una piega, ma finisce addirittura per introdurre rinnovati spunti di riflessione sul confine etico di una lotta al terrore a colpi di joystick e sulla trasformazione antropologica del mestiere del soldato (pardon, dell'aviere), la soluzione ai molteplici interrogativi che inevitabilmente pone finisce per risolversi nell'inevitabile accettazione di un dovere professionale che nessun tribunale internazionale si sognerà mai di mettere sotto inchiesta e nelle prevedibili paternali ad alto tasso di retorica propinate all'inzio ed alla fine di ogni briefing di missione. Insomma, la guerra ridotta a mero intrattenimento videoludico diventa l'inconsapevole dichiarazione di colpevolezza di una nazione nell'impietosa sinossi tra il mantenimento di uno sfolgorante Eden di luci e di benessere e le casupole di un miserrimo medioevo dall'altra parte del mondo da radere al suolo senza pietà; il ridicolo involontario di una propaganda autoassolutoria dove la figura dell'antieroe di turno (un Ethan Hawke ormai decotto) viene derubricata a quella di un mesto impiegato costretto a timbrare il cartellino ed a completare la triste routine di fatali regole di ingaggio che il boia non può e non deve mai mettere in discussione. Costruito sul doppio binario drammaturgico di un dovere professionale alienate da svolgere nel chiuso di grigi container di morte ed un dovere coniugale sempre più difficile da esercitare nel lindore posticcio di villette a schiera ricavate nel buco del culo del deserto del Nevada (in realtà Nuovo Messico), questo novello Truman da sparatutto in prima persona è un povero cristo che non riesce a sottrarsi nè all'uno (richiesta di ritorno al fronte) nè all'altro (signora in lingerie che lo cavalca all'impazzata), rivelando la frustrazione di una paese in crisi irreversibile che lotta per difendere un sogno americano ad alta gradazione alcolica e che si ostina ad esportare un ideale di democrazia che non funziona neanche in patria. Roba da farsi quattro risate se non fosse per l'estenuante durata di un film (104 minuti sì, ma interminabili!) dove l'azione latita e la riflessione ammorba. Scenograficamente schematico, con belle scene in esterni che contestualizzano solo la triste spola casa-lavoro, e dialetticamente scontato ("forse mi viene la sindrome del tunnel carpale o mi rovescio il caffè; la cosa più pericolosa che faccio è tornare a casa in autostrada"), abbozza il coraggio di una rivalsa etica femminista ed interrazziale (lei è carina e ci stà, ma lui finge di non capire) ma la fa annegare nel sano cameratismo di una cultura misogina e reazionaria. Presentato alla 71ª edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia presieduta da Alexander Desplat, autore delle musiche di un altro polpettone degli antipodi in concorso quest'anno. Non per entrare nel merito del motore...
Oltre le nuvole, oltre le nuvole,
o se possibile ancora una vita più in là,
con questa notte ai miei piedi,
più nera e più buia a vederla da qua,
ma un giorno il giorno tornerà.
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liuk!
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martedì 26 luglio 2016
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ottimo
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Riprendendo la recensione ufficiale, direi che di Top Gun qui non c'è nulla, nemmeno gli aerei visto che Good Kill si basa sui droni. Il film denuncia il massacro che gli USA compiono nel medio oriente causando poi le vendette e le stragi che quotidinamente riempiono i telegiornali.
Il personaggio principale, magistralmente interpretato da Hawke, vive un dramma personale nel dover combattere contro innocenti ed eseguire ordini palesemente crudeli, fino ad un finale forse scontato ma assolutamente appagante.
Pellicola da non perdere.
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g_andrini
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lunedì 13 giugno 2016
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buon film
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La guerra causa scompensi emotivi in chi uccide, accade anche nel modo descritto del film. La tecnologia è meravigliosa, anche se purtroppo necessaria anche in guerra.
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stefanti
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domenica 22 maggio 2016
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un film da vedere..
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Chi vuole conoscere un aspetto della guerra, probabilmente poco conosciuto dai più, deve vedere questo film al di là delle stellette appiccicate dai critici.
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pier delmonte
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venerdì 11 marzo 2016
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evitiamo certe importazioni
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Io credo che un film del genere non debba uscire nelle sale italiane, perche’ e’ una storia tutta americana, prevedibile e noiosa, perche’ condita del solito sentimentalismo militare da quattro soldi e perche’ un pessimo film italiano al posto di Good Kill sarebbe stato prevedibile e noioso ma avrebbe lasciato soldi in Italia .
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blualessandro
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mercoledì 2 dicembre 2015
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bel film.
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Un film di guerra americano che racconta senza ipocrisie l'inutilità della guerra e il folle alimentare le fila di quel nemico che si dice di voler combattere. Ethan Hawke mai così 'inespressivo' (volutamente), emotivamente congelato fino al momento del riscatto. Brava e molto bella Zoe Kravitz. Un film lento, con dialoghi al minimo costruiti con cura, da vedere.
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peer gynt
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sabato 6 settembre 2014
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la crisi esistenziale del pilota buono
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La guerra che fa oggi l'Aeronautica militare americana è una guerra pulita:i piloti sono a 11.000 km di distanza dal fronte di guerra, hanno davanti uno schermo e in mano un joystick, non corrono pericoli (la cosa peggiore che può succedergli? Rovesciarsi addosso del caffè). I top gun USA sono diventati ciò che più hanno sempre disprezzato:impiegati da scrivania, gente nascosta nell'ombra, lontani dal campo di battaglia. E se non sono ultranazionalisti sfegatati, si sentono alienati e vanno in crisi. Così è per il personaggio interpretato da Ethan Hawke, così anche per il personaggio femminile, la bella Zoe Kravitz, figlia di Lenny.
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La guerra che fa oggi l'Aeronautica militare americana è una guerra pulita:i piloti sono a 11.000 km di distanza dal fronte di guerra, hanno davanti uno schermo e in mano un joystick, non corrono pericoli (la cosa peggiore che può succedergli? Rovesciarsi addosso del caffè). I top gun USA sono diventati ciò che più hanno sempre disprezzato:impiegati da scrivania, gente nascosta nell'ombra, lontani dal campo di battaglia. E se non sono ultranazionalisti sfegatati, si sentono alienati e vanno in crisi. Così è per il personaggio interpretato da Ethan Hawke, così anche per il personaggio femminile, la bella Zoe Kravitz, figlia di Lenny.
Ma da questo spunto iniziale poteva essere sviluppata ben altra storia, ben altra riflessione. Quello che invece abbiamo di fronte è un militare che si lava la coscienza e risolve il suo problema esistenziale con un'iniziativa personale da giustiziere della notte: si sente il Gigante della famosa pubblicità che acciuffa per le orecchie il cattivo Jo Condor e lo castiga a dovere. Nulla di più irritante di questo finale, che vede l'eroe giusto e solitario montare a cavallo della sua auto per andare a ricostruire la sua bella famiglia, ora che ha fatto la sua buona azione.
Un film simile, ben lungi dall'essere una condanna della guerra, la esalta e la fa bella. Ed è proprio ciò che oggi non ci serve.
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[+] un'occasione mancata
(di tom87)
[ - ] un'occasione mancata
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