flyanto
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venerdì 20 marzo 2015
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il ritratto di un uomo fallito e fortemente instab
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Film in cui si racconta di un miliardario, rampollo della casa Dupont, che al fine di seguire e coltivare la sua passione per lo sport del wrestling, decide di sponsorizzare una squadra, ingaggiando alcuni tra i più bravi atleti nazionali. In particolare egli punta su un campione mondiale e su suo fratello come allenatore (anch'egli ex-campione) per andare, partecipare ed ovviamente vincere i Giochi Olimpici di Seul del 1988. In seguito alla morte dell'anziana madre di cui egli è succube e di alcuni screzi sorti nel corso degli anni con il campione suo preferito che nel frattempo decide così di dimettersi dal proprio incarico, la mente del magnate, già instabile di per sè, perde completamente il controllo portandolo ad uccidere il fratello allenatore della squadra.
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Film in cui si racconta di un miliardario, rampollo della casa Dupont, che al fine di seguire e coltivare la sua passione per lo sport del wrestling, decide di sponsorizzare una squadra, ingaggiando alcuni tra i più bravi atleti nazionali. In particolare egli punta su un campione mondiale e su suo fratello come allenatore (anch'egli ex-campione) per andare, partecipare ed ovviamente vincere i Giochi Olimpici di Seul del 1988. In seguito alla morte dell'anziana madre di cui egli è succube e di alcuni screzi sorti nel corso degli anni con il campione suo preferito che nel frattempo decide così di dimettersi dal proprio incarico, la mente del magnate, già instabile di per sè, perde completamente il controllo portandolo ad uccidere il fratello allenatore della squadra.
Questa pellicola racconta un episodio realmente accaduto negli anni '80 in cui fu coinvolto il giovane capriccioso, arrogante e dispotico miliardario John Dupont, fortemente instabile psicologicamente e molto succube dell 'anziana madre dispotica. Ed il disagio ed il senso di inadeguatezza e sconfitta personale in cui sempre visse il giovane Dupont (e che lo condusse anche a fare uso pesante di cocaina) viene qui mirabilmente rappresentato da Steve Carell. Questo attore, infatti, dedito usualmente per lo più a ruoli comici nella sua carriera cinematografica, qui interpreta un personaggio per lui del tutto nuovo ed insolito e certamente non facile, ma vi riesce rendendolo veritiero al massimo e riuscendo a darne un ritratto che sicuramente non incontra la simpatia dello spettatore. Con i dialoghi stentati e con le movenze del corpo e le espressioni del volto Carell impersona un individuo fallito e del cui fallimento personale è pienamente consapevole.
Pertanto, sebbene mi sembri personalmente un poco sopravalutata la premiazione per la regia al Festival di Cannes dell'anno scorso, il film deve essere apprezzato e valutato solo in base all'ottima performance di Carell. Tutto il resto rimane confinato nella banalità ed in un'eccessiva lungaggine che sicuramente non giova all' opera cinematografica.
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filippo catani
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martedì 17 marzo 2015
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capolavoro psicologico
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John du Pont rampollo di una famiglia benestante americana decide di contattre il campione olimpico di lotta Mark Schultz alla vigilia delle Olimpiadi di Seul 1988. L'uomo non è interessato solo alla vittoria individuale ma anche a quella dei principi e dei valori statunitensi. Tratto da una storia vera.
Il film è un autentico capolavoro e come nel suo precedente (e bellissimo) L'Arte di vincere, il regista Miller utilizza alla perfezione una storia legata allo sport e in questo caso alla lotta greco-romana. Diciamolo subito; chi è interessato a un film solo di lotta con combattimenti e ritmo adrenalinico è meglio che non si avvicini al film che fa invece della lentezza e della introspezione psicologica le sue armi vincenti.
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John du Pont rampollo di una famiglia benestante americana decide di contattre il campione olimpico di lotta Mark Schultz alla vigilia delle Olimpiadi di Seul 1988. L'uomo non è interessato solo alla vittoria individuale ma anche a quella dei principi e dei valori statunitensi. Tratto da una storia vera.
Il film è un autentico capolavoro e come nel suo precedente (e bellissimo) L'Arte di vincere, il regista Miller utilizza alla perfezione una storia legata allo sport e in questo caso alla lotta greco-romana. Diciamolo subito; chi è interessato a un film solo di lotta con combattimenti e ritmo adrenalinico è meglio che non si avvicini al film che fa invece della lentezza e della introspezione psicologica le sue armi vincenti. Ecco allora alternarsi i tre protagonisti della vicenda a formare un pericolosissimo triangolo. Al vertice c'è il miliardario du Pont. L'uomo è assolutamente insoddisfatto delle sue ricchezze e della sua vita solitaria passata in tutti i salotti buoni. Questo perchè non ha la minima approvazione della madre che lo ritiene poco più di una nullità incapace di distinguersi nella vita, negli affari e nell?adorata ippica. Du Pont cerca allora di realizzare un progetto ambizioso di creare dal nulla una squadra di lotta capitanata da quel Marc Schulz capace di vincere l'oro olimpico. Tra i due si instaurerà un rapporto morboso e sordido che porterà il campione lontano da una forma accettabile. Ecco allora entrare in scena il fratello ex campione e ex allenatore di Marc il quale ha invece una vita serena e regolare e questo farà da detonatore finale alla vicenda. Il tutto corredato da una sorta di mistica di Du Pont in difesa dei valori americani contro quelli sovietici e della sua voglia di essere oltre a un coach anche un mentore o piuttosto un padre padrone. Il trio Carrell,Tatum,Ruffalo è semplicemente straordinario così come sono azzeccate le ambientazioni, la fotografia e la rarissima colonna sonora. Un film praticamente tutto al maschile dove però pesa come un macigno la presenza dell'ingombrante madre di Dupont (una brava Redgrave). Insomma un film lento ma in grado di amalgamare i suoi ingredienti in un ottimo e tremendo prodotto finale che fa rabbrividire ancora di più sapendo che si tratta di una storia vera.
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ralphscott
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lunedì 16 marzo 2015
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pretenzioso. e noioso.
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Uno di quei film di cui proprio non si avverte la necessità. Trionfa la compiacenza (auto-) di una essenzialità che non solo é rigore stilistico,ma anche carenza di "cose da dire". Non so se le lunghe,estenuanti scene di lotta siano credibili (purtroppo non conosco questo sport affascinante),di sicuro sembrano voler colmare la piattezza di una sceneggiatura che non decolla mai. Non c'é suspence,non c'é ritmo,non c'é recitazione:gli attori,persino la grande Redgrave,evidentemente per imposizione,hanno una sola espressione. Si salva il personaggio del bravo Ruffalo che ha una filmografia alle spalle di ben altro spessore. Butta giù persino la pancia,ma é fatica inutile,questo film é ambizioso e nulla più.
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Uno di quei film di cui proprio non si avverte la necessità. Trionfa la compiacenza (auto-) di una essenzialità che non solo é rigore stilistico,ma anche carenza di "cose da dire". Non so se le lunghe,estenuanti scene di lotta siano credibili (purtroppo non conosco questo sport affascinante),di sicuro sembrano voler colmare la piattezza di una sceneggiatura che non decolla mai. Non c'é suspence,non c'é ritmo,non c'é recitazione:gli attori,persino la grande Redgrave,evidentemente per imposizione,hanno una sola espressione. Si salva il personaggio del bravo Ruffalo che ha una filmografia alle spalle di ben altro spessore. Butta giù persino la pancia,ma é fatica inutile,questo film é ambizioso e nulla più. A leggere l'accostamento fatto da qualcuno a Psyco mi vengono davvero i brividi:genio,inventiva,tensione,splendide musiche nel capolavoro del '60. Qui una noia che,sadicamente,nemmeno l'omicidio finale stempera:il finale,degno di questa pellicola involuta,é infatti tronco. Il rapporto tra madre e figlio,almeno quello,meritava tutt'altro sviluppo. Peccato,lo spunto -dicono una storia vera- si prestava a ben altra messa in scena.
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rdn75
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lunedì 26 gennaio 2015
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una lenta agonia.....
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Un film molto lento e sicuramente con lo scopo di uno studio introspettivo dei personaggi. Poteva essere sicuramente meno lento come svolgimento, con la scelta registica di lunghe inquadrature anche dei paesaggi desolati americani. Abbastanza sviluppati i rapporti tra i tre protagonisti che per diverse motivazione si trovano a collaborare e condividere questa storia, sullo sfondo della lotta greco-romana. Discrete le interpretazioni dei vari protagonisti, con un irriconoscibile Steve Carell, che ci ha sempre abituato a ruoli comici e demenziali.
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gabrykeegan
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domenica 22 febbraio 2015
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grandi attori e truccatori...ma nulla di più
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Il film diretto da Bennet Miller è stato scritto in contemporanea con il libro di Mark Schultz e per questo è stato nominato nella categoria "miglior sceneggiatura originale".
Se, quindi, la storia è vera, nei nomi e tante situazioni, ci sono cose leggermente cambiate nella sceneggiatura, per poter permettere ai tre protagonisti di interagire tra di loro e dare vita a un miglior quadro psicologico.
Il film inizia lento e sembra non arrivare mai a un vero e proprio punto di svolta che potrebbe dar vita a scenari più affascinanti di allenamenti di lotta libera e dialoghi scarni, dove escono sì le personalità dei personaggi, ma allo stesso tempo non rendono la storia interessante per uno spettatore.
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Il film diretto da Bennet Miller è stato scritto in contemporanea con il libro di Mark Schultz e per questo è stato nominato nella categoria "miglior sceneggiatura originale".
Se, quindi, la storia è vera, nei nomi e tante situazioni, ci sono cose leggermente cambiate nella sceneggiatura, per poter permettere ai tre protagonisti di interagire tra di loro e dare vita a un miglior quadro psicologico.
Il film inizia lento e sembra non arrivare mai a un vero e proprio punto di svolta che potrebbe dar vita a scenari più affascinanti di allenamenti di lotta libera e dialoghi scarni, dove escono sì le personalità dei personaggi, ma allo stesso tempo non rendono la storia interessante per uno spettatore.
I truccatori sono la punta di diamante di questa pellicola, in cui ogni persona è stata trasformata in modo perfetto per assomigliare al riferimento della storia reale. Troviamo un Channing Tatum abbruttito nel fisico e nei tratti somatici. Un Mark Ruffalo stempiato e uno Steve Carell quasi irriconoscibile, con un naso reso ancora più grande e tante rughe aggiunte sul viso per assomigliare in modo straordinario al vero Du Pont.
Proprio quest'ultimo è il punto cardine di una sceneggiatura in cui le sequenze scorrono lente e inesorabili, in un tempo lungo dal punto di vista storico, ma allo stesso tempo infinitamente corto per il suo essere passato nella grande tenuta di un milionario con qualche rotella fuori posto.
Il rapporto con la madre che ricorda Psycho, l'ambiguità sessuale verso i suoi allievi, il patriottismo e la voglia di emergere come allenatore di uno sport minore, in cui poter essere un nome importante.
Tutto ciò condito da una instabilità morale e un senso di paranoia continuo che lo porta a fare scelte particolari, a essere pericoloso nei modi di fare, misterioso nei discorsi. Proprio l'interpretazione di Carell rende il film degno di essere visto, ma non si può certo dire che sia una pellicola da Oscar. Ritmi troppo lenti per creare la suspense necessaria al tragico finale e nessuna scena di rilievo che possa far cambiare idea.
Da parte loro anche Mark Ruffalo e Channing Tatum dimostrano di essere dei grandi attori e di saper reinterpretare alla perfezione i due fratelli Schultz, con dialoghi semplici, ma con una mimica perfetta per rappresentare i due atleti.
Non so perché questo film abbia avuto così successo, ma probabilmente è tutto dovuto alla bravura di questi tre attori e al loro modo di recitare una vicenda talmente strana da risultare quasi senza senso e fascino dal punto di vista cinematografico.
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claudiza
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mercoledì 11 febbraio 2015
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una boria neanche così onorevole.
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La storia c'era, e pure vera: un ex vincitore di medaglia d'oro di lotta mista che viene contattato da miliardario per fargli allenare la sua squadra con l'obiettivo di tornare alle olimpiadi. Gli attori anche, il regista poi possiamo dire che sia forse l'altro regista più influente d'america in questo momento (dopo o oltre david o'russell) ovvero bennet miller di cotanto MoneyBall e Capote, eppure non c'è una cosa che vada in questo film.
La storia vera sembra non interessare al regista, ed è uno suo diritto, ma in realtà sembra non interssargli nessuna altra storia, ci troviamo infatti di fronte a un film dove il protagonista è uno (Channing Tatum, Mark) per una buona prima metà per poi essere messo da parte per suo fratello negli ultimi minuti (David- Mark Ruffalo)
Cosa non cambia è purtroppo il ritmo lento e trascinato, con inspiegabili e lunghissimi passaggi natural-panoramici che rendono francamente difficile l'accettare che il miller sia stato candidato addirittura all'acdemy award per la miglior regia.
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La storia c'era, e pure vera: un ex vincitore di medaglia d'oro di lotta mista che viene contattato da miliardario per fargli allenare la sua squadra con l'obiettivo di tornare alle olimpiadi. Gli attori anche, il regista poi possiamo dire che sia forse l'altro regista più influente d'america in questo momento (dopo o oltre david o'russell) ovvero bennet miller di cotanto MoneyBall e Capote, eppure non c'è una cosa che vada in questo film.
La storia vera sembra non interessare al regista, ed è uno suo diritto, ma in realtà sembra non interssargli nessuna altra storia, ci troviamo infatti di fronte a un film dove il protagonista è uno (Channing Tatum, Mark) per una buona prima metà per poi essere messo da parte per suo fratello negli ultimi minuti (David- Mark Ruffalo)
Cosa non cambia è purtroppo il ritmo lento e trascinato, con inspiegabili e lunghissimi passaggi natural-panoramici che rendono francamente difficile l'accettare che il miller sia stato candidato addirittura all'acdemy award per la miglior regia.
Il film è, per la cronaca, un indie movie, aveva quindi un budget relativamente innocuo (26 milioni di dollari) assolutamente non recuperati ma anche per ovvi motivi:
questo è un film che infastidisce su vari fronti: non solo l'inesistente ritmo sacrificato tralaltro per scene telefonatissime (vedere l'arrivo a "foxcatcher" del Mark, di inutile lunghezza, con tanto di discorso di convincimento pesudopsicologico all attenzione di un uomo che sappiamo subito accettera l offerta anche perchè 1)l'ha già detto al fratello 2) l'abbiamo visto fino a quel momento essere completamente senza un dollaro) ma anche il fastidio di vedere un ottimo thriller butatto alle ortiche per motivazioni astratte se mai esistenti. Un occasione persa, che è molto peggio di un brutto film.
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[+] sbalordito
(di simongreen)
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