mammut
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lunedì 18 novembre 2013
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spettacolare
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bello tutto, bello anzi bellissimo il finale. da vedere
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vanessa zarastro
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sabato 16 novembre 2013
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speranze, delusioni e solidarietà
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La Juala de oro è un film assolutamente splendido. Era da tanto tempo che non vedevo un film così intenso, così ben girato, recitato e diretto. Un film durissimo che tratta della emigrazione dai paesi latino-americani per seguire il sogno statunitense. Ma è anche un tema sulla crescita individuale e di gruppo, sulla solidarietà e sulla solitudine che la consapevolezza raggiunta comporta. La crescita di Juan passa attraverso la paura, il dolore della perdita e, soprattutto, attraverso l’esperienza dell’essere stato accudito e amorevolmente curato dal suo presunto rivale indio. Da adolescente sbruffoncello – si pensi alla prima scena del treno non preso – diventa il ragazzo “con le palle” come viene definito da coloro che poi sequestrano l’indio.
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La Juala de oro è un film assolutamente splendido. Era da tanto tempo che non vedevo un film così intenso, così ben girato, recitato e diretto. Un film durissimo che tratta della emigrazione dai paesi latino-americani per seguire il sogno statunitense. Ma è anche un tema sulla crescita individuale e di gruppo, sulla solidarietà e sulla solitudine che la consapevolezza raggiunta comporta. La crescita di Juan passa attraverso la paura, il dolore della perdita e, soprattutto, attraverso l’esperienza dell’essere stato accudito e amorevolmente curato dal suo presunto rivale indio. Da adolescente sbruffoncello – si pensi alla prima scena del treno non preso – diventa il ragazzo “con le palle” come viene definito da coloro che poi sequestrano l’indio. Il rapporto tra i quattro ragazzini (3+una) si sviluppa in un misto di sguardi insinuanti e di parole impacciate trasmettendo una gran tenerezza. La violenza c’è ed è tremenda ma non è mai raccontata nei dettagli, spesso è solo allusa. Non c’è nessun compiacimento narrativo né delle truffe, né della povertà, né tantomeno delle violenze subite, anzi spesso è lasciato spazio all’immaginazione (ad esempio: dove hanno portato Sara?) che come si sa che è molto più efficace. Le immagini sono assolutamente strepitose, del resto il regista Diego Quemada-Díezha una lunga esperienza avendo lavorato con registi eccezionali basti citare Ken Loach e Oliver Stone. Un film da non perdere.
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fabiofeli
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giovedì 14 novembre 2013
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i cammini della speranza
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La gabbia dorata di Diego Queimada-Diez
Tre giovani guatemaltechi, Juan (Brandon Lopez),Sara (Karen Martinez), e Samuel (Carlos Chajon) fuggono da una favela senza speranza, in baracche di legno con i servizi igienici – e l’igiene è un eufemismo - in comune, allineate come casematte di una provvisoria caserma lungo corridoi di terra battuta ed erba, dove i bambini, futura manodopera delinquenziale, giocano alla guerra dei narcos con mitra di plastica. I tre ragazzi sognano gli Stati Uniti, liberazione da miseria e fame, ma per raggiungere la terra promessa devono attraversare un intero enorme paese, il Messico.
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La gabbia dorata di Diego Queimada-Diez
Tre giovani guatemaltechi, Juan (Brandon Lopez),Sara (Karen Martinez), e Samuel (Carlos Chajon) fuggono da una favela senza speranza, in baracche di legno con i servizi igienici – e l’igiene è un eufemismo - in comune, allineate come casematte di una provvisoria caserma lungo corridoi di terra battuta ed erba, dove i bambini, futura manodopera delinquenziale, giocano alla guerra dei narcos con mitra di plastica. I tre ragazzi sognano gli Stati Uniti, liberazione da miseria e fame, ma per raggiungere la terra promessa devono attraversare un intero enorme paese, il Messico. Oltre 2000 chilometri da superare, disseminati di trappole di ogni genere, li separano dalla speranza di vita. Saltano su treni merci antidiluviani, già gremiti di migranti di ogni età. Non sfuggono ai controlli della polizia messicana, che li rimpatria, assieme a Chauk (Rodolfo Dominguez), un indio del Chapas, aggregatosi a loro tre, per analoga età e per la simpatia che gli suscita Sara. Juan è geloso del ragazzo che non conosce lo spagnolo e che cerca di apprenderlo da Sara. Cerca inutilmente di allontanarlo con le maniere forti ed è costretto ad accettarlo nel gruppo, perché Sara non vuole che sia allontanato. Alla seconda partenza Samuel rinuncia al sogno, senza spiegare il perché ai tre che provano di nuovo l’avventura. Di nuovo sui treni merci come hobos, vagabondi come John Wesley Harding ma con una meta: la liberazione dalla miseria. Incappano ancora negli sciacalli che fiutano le tracce delle prede nei percorsi migratori e che si portano via Sara e le altre donne, ferendo gravemente Juan. Chauk cura con le erbe Juan, guadagnandosi la sua amicizia. Quando vengono venduti da un falso amico che gira sui treni merci a una banda di delinquenti che deruba i migranti, Juan potrebbe andarsene libero ma non se la sente di abbandonare Chauk, diventato ormai hermano (fratello), la prima parola spagnola imparata dell’indio. Mette a rischio la sua vita per riprendere insieme a lui il tortuoso e accidentato cammino verso la meta dorata. Dal treno, sulle montagne, vedono la neve che cade; per Juan è la prima volta; Chauk, che è originario di una regione montuosa, già la conosce e la sogna spesso. Quando giungono nei pressi del confine Messico-USA c’è un ultimo ostacolo da superare. Gli abbattitori libertari di muri liberticidi non gradiscono i visitatori poveri e difendono spietatamente il loro territorio con un alto muro metallico in una fascia di terra desolata e strettamente sorvegliata. Della piramide di migranti solo il vertice raggiunge la sospirata “libertà”. Che poi quest’ultima grondi di lacrime e sangue è un’altra storia.
La storia è stringata, avara di dialogo, giocata sugli sguardi. Il regista che ha collaborato con Ken Loach in Terra e libertà e con Iñàrritu in 21 grammi non è uno sprovveduto e dirige i giovani attori con mano ferma, imponendo loro una recitazione scarna e priva di inutile enfasi. Le sequenze dei treni sferraglianti nel deserto, nelle gallerie e in fitte boscaglie sono belle e si inseriscono nella tradizione americana dei grandi western. Un’ottima fotografia, infatti, ed un uso sapiente della cinepresa aggiungono qualità alla storia. Una delle tante misere storie di migranti dei nostri giorni: da una gabbia di miseria ad una gabbia che si spera dorata e senza sbarre. Il film riporta alla mente un bel film di Pietro Germi: Il cammino della speranza (1950) con Raf Vallone, Elena Varzi e Saro Urzì (sempre perfetto nel ruolo di perfido). I protagonisti sono migranti siciliani diretti verso la Francia in cerca di lavoro: attraversano l’intera Italia e tra mille insidie superano le montagne, le Alpi innevate. Anche lì la neve, non più nemica in un paesaggio assolato e digradante verso la pianura, è foriera di speranza.
La gabbia dorata è un film da consigliare.
Valutazione *** ½
FabioFeli
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flyanto
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lunedì 11 novembre 2013
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come non sempre è certa la via di fuga
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Film in cui si racconta del lungo e pericoloso viaggio intrapreso da tre ragazzi guatemaltechi, a cui si aggiunge anche un indio, al fine di lasciare il proprio paese ed emigrare nei tanto agognati Stati Uniti d'America, e più precisamente a Los Angeles. I 4, poi divenuti 3 per defezione di uno di loro, affronteranno innumerevoli disagi, pericoli e paure nel corso di un cammino che sembra senza fine, e comunque non di certa risoluzione, e che li porterà a crescere troppo in fretta rispetto alla loro giovane e, che dovrebbe essere, spensierata età, privandoli degli affetti e delle speranze tanto inseguite. Infatti solo uno di loro riuscirà a realizzare concretamente il proprio sogno di fuga e la propria illusione di un' esistenza migliore ma non senza aver pagato il prezzo troppo elevato di affrontare la nuova vita in totale solitudine e parecchio lontano dal suolo natio.
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Film in cui si racconta del lungo e pericoloso viaggio intrapreso da tre ragazzi guatemaltechi, a cui si aggiunge anche un indio, al fine di lasciare il proprio paese ed emigrare nei tanto agognati Stati Uniti d'America, e più precisamente a Los Angeles. I 4, poi divenuti 3 per defezione di uno di loro, affronteranno innumerevoli disagi, pericoli e paure nel corso di un cammino che sembra senza fine, e comunque non di certa risoluzione, e che li porterà a crescere troppo in fretta rispetto alla loro giovane e, che dovrebbe essere, spensierata età, privandoli degli affetti e delle speranze tanto inseguite. Infatti solo uno di loro riuscirà a realizzare concretamente il proprio sogno di fuga e la propria illusione di un' esistenza migliore ma non senza aver pagato il prezzo troppo elevato di affrontare la nuova vita in totale solitudine e parecchio lontano dal suolo natio. Questa pellicola, presentando purtroppo la dura e comune realtà degli immigrati clandestini che dal centro/sud America cercano di trasferirsi negli Stati Uniti, risulta quanto mai cruda per la sua tematica: in essa vengono esplicitamente espresse tutte le difficoltà nonchè, nella maggioranza dei casi, l'impossibilità a realizzare il proprio sogno di un miglioramento di vita. La realtà del loro paese non permette loro (o solo a pochissimi) una vita dignitosa od anche, all'estremo, un tentativo di fuga in quanto la povertà radicata, la corruzione, la violenza sembrano le uniche certezze e gli unici elementi che regolano l'esistenza degli individui. Nel corso della narrazione del viaggio descritto dal regista Quemada-Diez viene rivelato piano piano tutto ciò e di come anche un tentativo di un'esistenza migliore sia ancora più difficile ed improbabile per le donne rispetto agli uomini. La crudezza e la spietatezza del film consiste peraltro proprio nella denuncia di questa tragica e, per noi inimmaginabile, realtà piuttosto che nella rappresentazione di scene di violenza in sè o simili: quando, per esempio, la protagonista, travestita da maschio, viene scoperta e portata via da alcuni uomini della frontiera, si intuisce benissimo, senza però vedersi, che farà una terribile fine, avviandosi verso un certo stupro e verso un'esistenza all'insegna della prostituzione se non addirittura dell'uccisione. E questo "non rivelato" fa ancora più male a allo spettatore che guarda la pellicola. Da menzionare la bravura e la spontaneità dei 4 giovani interpreti, caratterizzati da volti drammatici e da uno sguardo ormai disincantato e dolente nello stesso tempo. Insomma, un film veramente di pregio stilisticamente (si pensi che è un'opera prima) e tematicamente parlando, da consigliare altamente ad adulti ed adolescenti compresi per aiutarli a riflettere.
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(di angelo umana)
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