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goldy
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lunedì 1 ottobre 2012
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la gomorra dell'anima
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Finalmente un linguaggio capace di parlare a tutti, non solo ai soliti di nicchia. L'ambientazione è Napoli (dove se nò?) ma tutti sono coinvolti e invitati a comprendere dove la parte migliore di ognuno di noi sta andando.
L'inizio è da antologia e il trash delle feste di matrimonio è devastante.
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babagi
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lunedì 1 ottobre 2012
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un piccolo fratello e la sua tragedia
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Il lungo piano sequenza che apre il film ci accompagna nella discesa in un mondo ricoperto di pailette, stucchi e oro. Non appena la carrozza si ferma davanti all’entrata della villa, seguiamo gli sposi nel loro trionfante percorso scaramantico. Tra la folla in festa c’è il nostro uomo. Luciano, un esuberante pescivendolo che vive nella periferia di Napoli insieme a sua moglie e ai suoi due figli. E’ un uomo semplice, un uomo puro che piano piano non si può che guardare con gli occhi dell’amore, dell’amore per un personaggio che rimane avulso da critiche perché profondamente Vero. Travestito tra travestiti non dichiarati dimostra tutta la sua genuinità proprio quando a festa finita, tolti vestiti sgargianti e ciglia finte, rimane la realtà della vita quotidiana.
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Il lungo piano sequenza che apre il film ci accompagna nella discesa in un mondo ricoperto di pailette, stucchi e oro. Non appena la carrozza si ferma davanti all’entrata della villa, seguiamo gli sposi nel loro trionfante percorso scaramantico. Tra la folla in festa c’è il nostro uomo. Luciano, un esuberante pescivendolo che vive nella periferia di Napoli insieme a sua moglie e ai suoi due figli. E’ un uomo semplice, un uomo puro che piano piano non si può che guardare con gli occhi dell’amore, dell’amore per un personaggio che rimane avulso da critiche perché profondamente Vero. Travestito tra travestiti non dichiarati dimostra tutta la sua genuinità proprio quando a festa finita, tolti vestiti sgargianti e ciglia finte, rimane la realtà della vita quotidiana. Ma a irrompere nella sua quotidianità ci penserà il grande fratello. A fare il primo provino per entrare nella famosa ci finisce quasi per caso spinto dalla famiglia, ma una volta fatto entrerà in un vortice senza scampo. Celebrato da tutto il paese come il prossimo eroe nazionale, Luciano aspetta la chiamata che potrebbe cambiargli la vita, inconsapevole che alla fine sarà la non-chiamata a farlo, ma non nel modo in cui lui tanto sperava. La tragedia si consuma tutta nell’attesa di quel Godot che non arriverà mai e che lo porterà a “perdere la capa”. E allora come tutti i folli rimane solo con se stesso e con la sua ossessione a vivere situazioni fuori dalla realtà, e confinato nel suo mondo, non può che riderci su.“Non abbandonate mai i vostri sogni!” recita il film più volte attraverso le parole di personaggi “che ce l’hanno fatta” e Luciano fino alla fine non ha mai abbandonato il suo sogno ma neanche l’incubo.
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annina22
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domenica 30 settembre 2012
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film da rivedere
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Non so dire se il film mi sia piaciuto o meno, riconosco ch'è fatto molto bene e che mi ha lasciato senza parole. Da ciò, deduco sia un ottimo film... quando esci dalla sala con un senso di perplessità e turbamento, il regista deve aver fatto centro. Grande film che ci parla in modo magistrale dell'ignoranza.
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andyzerosettesette
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domenica 30 settembre 2012
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la "reality" televisiva e gli arcaismi di napoli
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Premiato a Cannes (quasi) come "Gomorra", Reality condivide con quest'ultimo soprattutto l'ambientazione napoletana e la partecipazione di attori non particolarmente conosciuti (ad eccezione forse di Nando Paone, visto in "Benvenuti al Sud", e di Claudia Gerini e Paola Minaccioni presenti però solo in due cameo), oltre che una certa tendenza a raccontare le contraddizioni di un Sud arcaico e culturalmente povero. Per il resto Matteo Garrone ha scelto di allontanarsi dal tema della criminalità, evitando di sfruttare un filone che poteva essere in un certo senso più "facile", e si è lanciato sulla satira di costume realizzando una commedia amara e grottesca che estremizza volutamente le degenerazioni del rapporto fra finzione e realtà, fra spettatori e mondo dello spettacolo, e degli effetti perversi che l'illusione di una facile notorietà televisiva può avere sul (fragile) equilibrio psichico dell'uomo della strada, più "uomo senza qualità" che uomo qualunque".
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Premiato a Cannes (quasi) come "Gomorra", Reality condivide con quest'ultimo soprattutto l'ambientazione napoletana e la partecipazione di attori non particolarmente conosciuti (ad eccezione forse di Nando Paone, visto in "Benvenuti al Sud", e di Claudia Gerini e Paola Minaccioni presenti però solo in due cameo), oltre che una certa tendenza a raccontare le contraddizioni di un Sud arcaico e culturalmente povero. Per il resto Matteo Garrone ha scelto di allontanarsi dal tema della criminalità, evitando di sfruttare un filone che poteva essere in un certo senso più "facile", e si è lanciato sulla satira di costume realizzando una commedia amara e grottesca che estremizza volutamente le degenerazioni del rapporto fra finzione e realtà, fra spettatori e mondo dello spettacolo, e degli effetti perversi che l'illusione di una facile notorietà televisiva può avere sul (fragile) equilibrio psichico dell'uomo della strada, più "uomo senza qualità" che uomo qualunque".
Nel raccontare la storia di un pescivendolo di Napoli, non certo benestante ma neppure in forti ristrettezze economiche, che si convice progressivamente di essere stato selezionato per entrare nella casa del "Grande Fratello" e che rovina progressivamente la propria esistenza e quella dei propri familiari a causa di questa ambizione / illusione di cambiare la propria vita, Garrone non sembra voler indulgere a facili moralismi, anche se la tesi di fondo dell'autore del film fra le righe si legge eccome e sembra basarsi sulla contrapposizione modernità/tradizione. La "salvezza" dalla sua condizione "malata" di teledipendente che ha smesso di vivere per preparare il suo atteso ingresso nel mondo dello spettacolo, viene offerta infatti al protagonista cercando di farlo rientrare nella dimensione del "reale" anche attraverso la religione, uno degli elementi "tradizionali" e arcaici della Napoli di Garrone, in certa misura inquinati dall'arrivo del nuovo e del moderno. Che infatti non è sviluppo economico vero, ma è essenzialmente consumismo, civiltà dell'effimero e del cattivo gusto: studi televisivi, ipermercati, parchi acquatici, outlet della moda e ristoranti kitsch per matrimoni faraonici sono i non luoghi del mondo contemporaneo che rappresentano nel film il lato (tristemente) moderno di Napoli, moderno ma comunque "sottosviluppato" perchè immerso in una povertà più culturale che materiale. Proprio Napoli, più "evocata" in alcune atmosfere che davvero mostrata, è la vera protagonista del film, essendo ancora una volta sintesi estrema e abbondante degli italici mali.
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popofnapoli
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domenica 30 settembre 2012
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troppo lungo
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il soggetto poteva essere sviluppato in maniera migliore, in questo non film non si sorride mai, nemmeno quando gli attori fanno delle battute; è troppo greve il dialetto strettissimo che viene usato; ci si aspetta che succeda qualcosa ma alla fine, e dopo l'ultima mezz'ora davvero inutile, il film finisce con una sua "morale" che era già stata svelata all'inizio del secondo tempo.
Non comprendo la nomination agli Oscar.
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fabrizio dividi
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domenica 30 settembre 2012
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ad ognuno il suo tempio
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Tra i tanti approcci critici possibili all'ultima fatica di Matteo Garrone scegliamo a modello arredi e spazi fisici, vere e proprie chiavi d'accesso simboliche a una lettura che apre a significati molto più profondi di una semplice critica al mondo della tv che "Reality" affronta in maniera lucida e spietata ma non esclusiva.
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Tra i tanti approcci critici possibili all'ultima fatica di Matteo Garrone scegliamo a modello arredi e spazi fisici, vere e proprie chiavi d'accesso simboliche a una lettura che apre a significati molto più profondi di una semplice critica al mondo della tv che "Reality" affronta in maniera lucida e spietata ma non esclusiva.
La piazza del mercato, cuore pulsante della comunità in cui il protagonista Luciano agisce principalmente, è dominata dalla statua di un Cristo e le immagini sacre -tra icone di santi, madonne, papi ed ex voto- imperversano nelle abitazioni dei compaesani. I luoghi della rappresentazione rituale non mancano, e in tutti va in onda una funzione (o meglio finzione) che genera dipendenza. Negli outlet (incastonati in strutture simili a moderni templi) si realizzano i sogni materiali, meglio se dopo una predica dell'abile venditrice. La chiesa è il luogo dell'anima, con prediche suadenti e automatiche che promettono vite migliori in cambio di bontà e devozione. E poi la grande Casa del Grande Fratello, paradiso laico dei nostri tempi, ben noto luogo di elezione, che fa sognare un riscatto sociale a generazioni perdute. Luciano è uno di questi e la sua dedizione sarà totalizzante, paranoica e premiante al di là dei suoi sogni.
Il modello del film d'altronde è esplicitato fin dalla prima sequenza, come spesso accade ai capolavori allegorici del cinema. Una lunga inquadratura dall'alto ci precipita nel mezzo di un matrimonio principesco, sperpero kitsch a meta tra il sacro e il profano, con il deus ex machina simbolico Enzo, l'eroe del grande fratello che arriva dal cielo a bordo di un elicottero; sacerdote/medium tra il mondo terreno e quello dell'etere, suggella il matrimonio (dopo il prete) con il suo motto "don't give up" non arrenderti, incompreso ai più ma ripetuto a gran voce, quasi come in un rosario di penitenti. Luciano ne rimane abbagliato e comincia il suo percorso da predestinato. Poco tempo dopo infatti, in seguito ad un provino per il GF (che si svolge in un supermercato), comincia un suo intimo percorso di crescita che profuma tanto di santità. Nella sua personalissima "passio" infatti, Luciano intraprende una vita di sacrifici con la spogliazione dei suoi beni (vende la pescheria, offre pasti ai mendicanti e comincia a regalare gli oggetti di casa ad una pletora di disperati) e con una serie di visioni 'mistiche' di fantomatici funzionari del GF che lo spierebbero
per valutarne l'attitudine e che lo guidano in paranoiche interpretazioni delle sue azioni, alla stregua di ogni buon santo che si rispetti, perennemente osservato dal suo dio personale.
Luciano (che porta il nome di un santo eretico) insegue il suo sogno umiliandosi, inseguendo l'Enzo nazionale nelle discoteche più squallide dove si esibisce (non a caso) sospeso in aria, e lo pedina fino ai camerini attraverso i condotti fognari e parlandogli solo attraverso una spessa grata che ricorda un confessionale e che lo separa fisicamente nella sua siderale distanza. Infine, durante la via crucis papale, estrema forma di realtà rappresentata, capisce di essere veramente degno del suo "tempio" che, alla stregua di novello Truman, riesce a conquistare ben oltre il popolo eletto dei partecipanti. Lo farà in forma estatica da vero e proprio "Dio", facendosi Occhio dopo esserne stato controllato e dominato. Dopo averne resistito le tentazioni e disvelandone il disegno originale avrà accesso al luogo più nascosto, più esclusivo e meritorio per un fedele: la testa vuota del Mago di Oz.
Reality non lascia speranze alla libertà intellettuale dell'individuo e il libero arbitrio ne esce fortemente ridimensionato: non ci resta che scegliere il nostro tempio, sembra dire il regista: chi ne sta fuori sarà pure un eroe, ma, in fondo, non esiste. Fabrizio Dividi.
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paapla
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domenica 30 settembre 2012
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le polpette della nonna
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Il film di Matteo Garrone “Reality” non è un soggetto originale, fa il verso al film di Scorsese “Re per una notte”, dove uno smarrito Robert De Niro cerca a tutti i costi di entrare in un “talk-show”. Il film di Garrone è reale, tangibile, non è una fiaba. I personaggi si muovono in una Napoli centrale, come può essere Via dei Tribunali, gli attori recitano in palazzi barocchi costruiti intorno alle corti, fatiscenti e pericolanti, respirano i profumi della cucina napoletana e sopravvivono con espedienti e truffe. Nel film di Garrone si respira la stessa aria, colpa delle polpette della mamma di Luciano Ciotola, protagonista del film.
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Il film di Matteo Garrone “Reality” non è un soggetto originale, fa il verso al film di Scorsese “Re per una notte”, dove uno smarrito Robert De Niro cerca a tutti i costi di entrare in un “talk-show”. Il film di Garrone è reale, tangibile, non è una fiaba. I personaggi si muovono in una Napoli centrale, come può essere Via dei Tribunali, gli attori recitano in palazzi barocchi costruiti intorno alle corti, fatiscenti e pericolanti, respirano i profumi della cucina napoletana e sopravvivono con espedienti e truffe. Nel film di Garrone si respira la stessa aria, colpa delle polpette della mamma di Luciano Ciotola, protagonista del film. Ho visto il film sabato, in una magnifica sala della mia città, completamente vuota!
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renato volpone
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domenica 30 settembre 2012
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napoli bella napoli
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Luciano Ciotola vive serenamente la sua esistenza di pescivendolo, con una bella moglie, delle graziose figliole e tutta una famiglia intorno. Per sopravvivere, ma anche per permettersi qualche piccolo lusso, ha attivato una truffa nella vendita a domicilio di mini robot da cucina. L'ambiente intorno, colorato e quasi alla "Almodovar", lo induce a presentarsi alle selezioni del grande fratello e, dapprima solo per gioco, poi diventa una vera fissazione che lo porta ad andati "fuori di capa". Con sullo sfondo i quartieri poveri di Napoli, si sviluppa questo racconto che non si capisce bene dove voglia andare a parare. Da un lato vengono fuori tutti i preconcetti sui napoletani e sui meridionali in genere, dall'altro un mondo televisivo "buono" miraggio per tanti giovani.
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Luciano Ciotola vive serenamente la sua esistenza di pescivendolo, con una bella moglie, delle graziose figliole e tutta una famiglia intorno. Per sopravvivere, ma anche per permettersi qualche piccolo lusso, ha attivato una truffa nella vendita a domicilio di mini robot da cucina. L'ambiente intorno, colorato e quasi alla "Almodovar", lo induce a presentarsi alle selezioni del grande fratello e, dapprima solo per gioco, poi diventa una vera fissazione che lo porta ad andati "fuori di capa". Con sullo sfondo i quartieri poveri di Napoli, si sviluppa questo racconto che non si capisce bene dove voglia andare a parare. Da un lato vengono fuori tutti i preconcetti sui napoletani e sui meridionali in genere, dall'altro un mondo televisivo "buono" miraggio per tanti giovani. Nel primo caso il film non fa ridere, ne riesce a drammatizzare mai la situazione, nell,altro caso, invece, il regista non prende una posizione netta contro il mezzo televisivo, accennandone appena gli aspetti negativi. Resta il pubblico, il target cui un reality fa riferimento, ma qui viene fuori l'anima buona della gente, troppo buona, la solidarietà, il sostegno, piuttosto che l'arrivismo o l'accecamento del successo. Senza mai prendere una posizione vera il regista attualizza un film che forse poteva andar bene dieci anni fa, annoia per la lentezza delle scene e offende l'intelligenza di un popolo, quello napoletano, che sicuramente non è così remissivo.
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scatterbrain
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domenica 30 settembre 2012
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parabola del sogno a buon mercato e conseguenze
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In una Napoli anacronistica, squisitamente intrisa di tradizione e così dannatamente autentica, vive Luciano, padre di famiglia con una spiccata propensione alla teatralità. Tra le piccole truffe per sbarcare il lunario ed i siparietti occasionalmente offerti ai clienti della pescheria di sua proprietà scorrono ordinariamente le sue giornate, finché, inaspettatamente, per via dell’insistenza dei suoi familiari, non decide di prendere parte ad un provino che gli potrebbe valere l’accesso alla nota trasmissione televisiva del “Grande Fratello”. Da quel momento in poi la sua vita cambierà tragicamente ed irrimediabilmente, l’ossessione dovuta all’attesa che la propria aspettativa venga colmata gli imporrà di alterare la propria realtà rimpiazzandola con quella fittizia del reality show.
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In una Napoli anacronistica, squisitamente intrisa di tradizione e così dannatamente autentica, vive Luciano, padre di famiglia con una spiccata propensione alla teatralità. Tra le piccole truffe per sbarcare il lunario ed i siparietti occasionalmente offerti ai clienti della pescheria di sua proprietà scorrono ordinariamente le sue giornate, finché, inaspettatamente, per via dell’insistenza dei suoi familiari, non decide di prendere parte ad un provino che gli potrebbe valere l’accesso alla nota trasmissione televisiva del “Grande Fratello”. Da quel momento in poi la sua vita cambierà tragicamente ed irrimediabilmente, l’ossessione dovuta all’attesa che la propria aspettativa venga colmata gli imporrà di alterare la propria realtà rimpiazzandola con quella fittizia del reality show.
Una pellicola, questa, che in un periodo storico che mortifica le vocazioni spingendo i più alla rassegnazione del vivacchiare, diventa un atto di limpida denuncia alla onnipresente scatola dei sogni che tutti i giorni e ad ogni ora offre immagini completamente difformi dal reale “vero”. “Never give up”, l’esortazione sciorinata irresponsabilmente da chi è stato generosamente adottato dal teleschermo, diventa per il protagonista più che un mantra una psicosi. Il sogno si tramuta nell’anti-sogno, la speranza concepisce la disperazione, la determinazione conduce alla follia.
In un teatro a cielo aperto quale solo Napoli poteva offrire, il film risulta credibile e godibile per la genialità dei suoi (non chiamateli) personaggi, definibili un fluire di disadorno ed incorrotto candore in netta contrapposizione con la materia del tema di fondo, impregnato, invece, dall’inganno e dalla mistificazione che si nasconde dietro il piccolo schermo. Compassione e sgomento sono le sensazioni evocate dall’(anti-)eroe, vittima ed al tempo stesso carnefice di sé stesso, perso irrimediabilmente nel limbo di chi lascia il territorio di chi osserva per dirigersi irresponsabilmente e sfacciatamente in quello di chi viene osservato. In un racconto dove le tinte dell’antinomia tra realtà e reality sono le indiscusse protagoniste tutto si chiude con una risata alienata ed alienante che risuona nel più assordante silenzio lasciando un senso di vuoto colmabile esclusivamente da un funambolesco esercizio di riflessione.
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(di ablueboy)
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linus2k
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domenica 30 settembre 2012
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...in italia i film si sanno ancora fare...
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Reality è un film in bilico, tra finzione e realtà, tra citazionismo e nuovo cinema: un film "religioso", "sociale", "favolistico", "grottesco";fondamentalmente la storia di un uomo, un uomo fragile davanti al miraggio del successo e la sua progressiva perdita di contatto con la realtà.
Tutta la storia viene narrata con piglio quasi fiabesco, con un inizio e fine tanto simili quanto paradossalmente opposti, dallo zoom in pieno giorno su una carrozza quasi da Cenerentola che entra in una realtà, quella kitch, chiassosa e calorosa del protagonista e del suo mondo, all'allontamento dello zoom sul finale in notturna, dove tutto è certamente più reale ma più paradossale e algido.
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Reality è un film in bilico, tra finzione e realtà, tra citazionismo e nuovo cinema: un film "religioso", "sociale", "favolistico", "grottesco";fondamentalmente la storia di un uomo, un uomo fragile davanti al miraggio del successo e la sua progressiva perdita di contatto con la realtà.
Tutta la storia viene narrata con piglio quasi fiabesco, con un inizio e fine tanto simili quanto paradossalmente opposti, dallo zoom in pieno giorno su una carrozza quasi da Cenerentola che entra in una realtà, quella kitch, chiassosa e calorosa del protagonista e del suo mondo, all'allontamento dello zoom sul finale in notturna, dove tutto è certamente più reale ma più paradossale e algido.
E', appunto, un film dai contrasti elevati: quelli cromatici, di una fotgrafia accesa ed a tratti eccessiva; dei luoghi, passando da una Napoli secentesca e con meravigliosi scorci quasi da interno di presepe, alla Napoli algida di centri commerciali; quella dei corpi, enormi, pacchiani, o perfetti, scultorei, inarrivabili; è un film in cui, con un meccanismo narrativo preciso, lento e progressivo, attraverso la mente debole e malata di Luciano, il protagonista, la realtà cortocircuita se stessa, proponendoci una visione distaccata della nostra società, dell'illusione del successo facile, della fragilità davanti alla pressione mediatica, ma anche lo spunto di riflessione su una certa morale, anche religiosa.
E la religione è presente, presentissima nel film: nella forma più canonica, nelle immagini sacre, nella Chiesa come luogo di recupero e salvifico, ma soprattutto c'è una rivisitazione quasi paradossale del gesto caritatevole verso il povero, visto come atto mai fine a se stesso, ma rivolto all'acquisizione di un privilegio... il Regno eterno... o l'accesso alla casa del Grande Fratello.
Luciano in tutto questo passa spesso da un laico e folle San Franceso ad un ingenuo e fragile Pinocchio, accecato dal miraggio di questo "Paese dei Balocchi" televisivo, tentato e supportato da personaggi grotteschi ed assurdi come Enzo, quasi un Lucignolo versione adulta.
...e rimanendo sul piano narrativo lettario, non credo si faccia un grosso errore a notare nella sua figura, un personaggio in alcuni momenti quasi tratto da una storia di Eduardo De Filippo, nella sua fragilità davanti al mondo e la sua inadeguatezza e reggere le pressioni.
Reality è anche un enorme omaggio al grande Cinema italiano, alla nostra cultura, al Mestiere di fare cinema che ci ha resi famosi nel Mondo in passato, e passando da "Bellissima" di Luchino Visconti, a "Lo sceicco bianco" di Federico Fellini, si inserisce in un filone neorealista rivisto e corretto dall'ottica grottesca di Garrone.
Nota a margine: da segnalare la meravislioa colonna sonora di Alexandre Desplat, plurinominato compositore agli Oscar e vincitore di un Golden Globe per "Il velo dipinto"
...che dire... ogni tanto è piacevole ricordare che in Italia sappiamo ancora fare grandi film!
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