Titolo originale La piel que habito.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 120 min.
- Spagna 2011.
- Warner Bros Italia
uscita venerdì 23settembre 2011.
- VM 14 -
MYMONETROLa pelle che abito
valutazione media:
3,12
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Sembra infatti questa la modalità con cui il regista spagnolo ha utilizzato la cinepresa: sezionando, non rappresentando, ciò che appare agli occhi dello spettatore. Ma l'operazione (dalla precisione) chirurgica cui assiste il pubblico non è una vaginoplastica, bensì un'autopsia. Un'autopsia che ci mostra la vera anatomia di quella che lo spettatore crede essere la realtà, termine che in questo caso si dimostra assai inefficace se non fuorviante. Come fuorvianti sono del resto i nomi degli stessi personaggi: Norma è una ragazza che soffre di disturbi psichici dovuti a un trauma infantile (e non al tentativo di “stupro” di cui è rimasta vittima, come vuol far credere il padre), Vicente è un ragazzo tossicodipendente che non riesce a reagire alle torture che gli vengono imposte (se non alla fine quando, sotto altre sembianze, dimostra di meritarsi il nome che gli è sempre appartenuto) e Vera è una persona che di autentico non ha conservato quasi niente.
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Sembra infatti questa la modalità con cui il regista spagnolo ha utilizzato la cinepresa: sezionando, non rappresentando, ciò che appare agli occhi dello spettatore. Ma l'operazione (dalla precisione) chirurgica cui assiste il pubblico non è una vaginoplastica, bensì un'autopsia. Un'autopsia che ci mostra la vera anatomia di quella che lo spettatore crede essere la realtà, termine che in questo caso si dimostra assai inefficace se non fuorviante. Come fuorvianti sono del resto i nomi degli stessi personaggi: Norma è una ragazza che soffre di disturbi psichici dovuti a un trauma infantile (e non al tentativo di “stupro” di cui è rimasta vittima, come vuol far credere il padre), Vicente è un ragazzo tossicodipendente che non riesce a reagire alle torture che gli vengono imposte (se non alla fine quando, sotto altre sembianze, dimostra di meritarsi il nome che gli è sempre appartenuto) e Vera è una persona che di autentico non ha conservato quasi niente. Così come aveva conservato poco del suo corpo Agrado di “Tutto su mia madre”, la quale però si definiva autentica in quanto assomigliava all'idea che aveva di sé stessa. Agrado trova sé stessa mentre Vicente perde sé stesso ed è questo il motivo per cui il film di Almodovar ci appare così diverso dalle sue opere precedenti, così asettico e (volutamente) privo della consueta, seppur velata, comicità. Non mancano comunque i riferimenti ad altre opere cinematografiche come “Persona” di Bergman: primi piani intensi, volti riprodotti su maxischermi (o su riflessi di finestre che diventano specchi, con tragiche conseguenze...) e la stessa definizione di persona intesa come personaggio, come maschera. Ma mentre certi personaggi rinunciano ad essere tali (Norma rifiuta di indossare vestiti troppo aderenti e qui la metafora dell'abito è più che mai evidente) altri si identificano con il loro ruolo come nel caso di Marilla, che preferisce indossare la divisa da domestica invece di fare da madre a Robert; altri ancora, invece, approfittano del carnevale per indossare maschere che rivelano la loro vera identità: esemplare è il caso di Zeca/El Tigro, una tigre dalla coda molto particolare. La maschera più emblematica rimane comunque quella di Vera, che riporta sul viso la forma dell'organo di cui è stata privata.
Come il sostantivo persona, anche il termine abito deve essere inteso in senso etimologico: abito come abitazione; non è infatti un caso che Vera disegni sul muro della stanza in cui è reclusa persone con una casa al posto della testa e che, dopo aver perso la sua identità corporale, si rifugi in quella spirituale grazie alla pratica dello yoga. Solo in questo modo riesce a conservare l'identità di Vicente nel corpo di Vera, così come artisti come Louise Bourgeois hanno conservato l'anima di Tiziano (la cui “Venere di Urbino” viene insistentemente ripresa in numerose inquadrature insieme ad altre significative opere d'arte) riproponendola in installazioni che vengono a loro volta riprodotte dalla protagonista. Quest'ultima crea composizioni con ritagli di stoffa, nello stesso modo in cui Vicente usava la stoffa per creare vestiti; questa somiglianza introduce quello che scopriremo nella seconda metà del film: Vera non è altro che Vicente stesso, trasformato dal padre della ragazza abusata in una creatura con le sembianze della moglie morta. Emerge qui l'eco del capolavoro di Mary Shelley, dal cui confronto Almodovar, grazie al suo talento innato, esce Vi(n)cente.
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Il film, che inizia curiosamente ambiguo, nel suo flashback si rivela a tutti noi dandoci modo di seguire la storia con partecipazione, alla sceneggiatura mancano i dettagli, le sfumature e quei particolari che solo gli americani sanno carpire offrendoli al pubblico, la regia esclude la suspance e taglia le fasi drammatiche, tuttavia, anche se allucinante, è una storia particolare che ti inchioda in poltrona, bene banderas e la anaya Saluti.
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Pedro Almodovar è senza ombra di dubbio il regista non anglofono più famoso al mondo, ogni suo film è un evento anche per la sua ben nota eccentricità. In questo caso ha deciso di non svelare il film ai suoi connazionali prima di lanciarlo al Festival di Cannes, facendo diventare l'attesa addirittura spasmodica. Narra di un medico, interpretato da un perfido Banderas, che persa tragicamente la moglie in un incidente stradale, rimane con l'ossessione di sperimentare su una cavia umana la pelle artificiale, del tutto simile a quella umana, che ha creato. La sceneggiatura è più o meno un puzzle che presenta i personaggi e poi ne svela storie e segreti e Almodovar, più che in altre occasioni, gioca con archetipi e generi, mescolando al suo consueto "almodramma" elementi noir, horror e thriller che rimandano allo stile di Cronenberg.
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Pedro Almodovar è senza ombra di dubbio il regista non anglofono più famoso al mondo, ogni suo film è un evento anche per la sua ben nota eccentricità. In questo caso ha deciso di non svelare il film ai suoi connazionali prima di lanciarlo al Festival di Cannes, facendo diventare l'attesa addirittura spasmodica. Narra di un medico, interpretato da un perfido Banderas, che persa tragicamente la moglie in un incidente stradale, rimane con l'ossessione di sperimentare su una cavia umana la pelle artificiale, del tutto simile a quella umana, che ha creato. La sceneggiatura è più o meno un puzzle che presenta i personaggi e poi ne svela storie e segreti e Almodovar, più che in altre occasioni, gioca con archetipi e generi, mescolando al suo consueto "almodramma" elementi noir, horror e thriller che rimandano allo stile di Cronenberg. Ma si tratta di un prodotto più che mai almodovariano, per i temi toccati, per il gusto di mixare kitsch ed intimismo, orrore e grottesca follia. E' ben lontano dall'essere tra i suoi migliori film, può essere gioia per gli occhi ma non di certo per la mente. La mutazione del corpo è da sempre nel DNA del cinema del regista spagnolo, che spessissimo ha raccontato storie di persone a disagio nella propria pelle, quasi si trattasse di un abito decisamente troppo stretto o inadeguato, così come anche in questa pellicola troviamo uno dei personaggi più amati da Almodovar, ovvero la madre, che non è mai uno stereotipo. Frankenstein si mischia a Prometeo, a Fritz Lang e al thriller anni '30-'40 senza convincere, anzi lasciando a desiderare per quanto si sarebbe potuto fare e non s'è fatto. Almodovar fluttua nel mondo della chirurgia estetica per ovvie affinità col proprio cinema e col proprio stile, intensificando la ricerca dell'identità, scavando fino all'osso in una pellicola postmoderna ambiziosa esteticamente e suggestiva ma incompleta e probabilmente inconcludente, col personaggio di Banderas che è il perfetto irrisolto e con Almodovar interessato sempre e solo alle solite cose. E non fa nulla per nasconderlo.
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Cupissimo e claustrofobico, il nuovo lavoro del grande Pedro Almodòvar è una rete inestricabile di passaggi nei meandri della mente umana, che trascina lo spettatore in una spirale interminabile di follia. Tutto il film è un affresco horror sulle capacità labili della psiche, sui suoi controsensi e i suoi difetti, sulla capacità che ha di produrre qualcosa di aberrante, ma nello stesso tempo così semplice e naturale. E' un gioco di specchi e di ruoli, tutto è in eterno movimento, in divenire, un principio così caro e così sfruttato da Almodòvar nella grandissima quantità dei suoi lavori, e che usa per spiazzare continuamente in modo da caricare ogni aspetto visivo di tensione.
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Cupissimo e claustrofobico, il nuovo lavoro del grande Pedro Almodòvar è una rete inestricabile di passaggi nei meandri della mente umana, che trascina lo spettatore in una spirale interminabile di follia. Tutto il film è un affresco horror sulle capacità labili della psiche, sui suoi controsensi e i suoi difetti, sulla capacità che ha di produrre qualcosa di aberrante, ma nello stesso tempo così semplice e naturale. E' un gioco di specchi e di ruoli, tutto è in eterno movimento, in divenire, un principio così caro e così sfruttato da Almodòvar nella grandissima quantità dei suoi lavori, e che usa per spiazzare continuamente in modo da caricare ogni aspetto visivo di tensione. Il regista spagnolo riesce sempre a ricavare una trama inestricabile con un numero esiguo di personaggi, e, secondo la vecchia regola del genere noir, risolverla via via che si va verso il finale. Il puzzle è completato da salti indietro e in avanti nel tempo, e tutto alla fine viene celato, come un sipario che si chiude durante la scena madre di un'opera. Da segnalare, per la loro grandissima dinamicità, la colonna sonora imponente e la bravura impressionante di Antonio Banderas, perfetto nell'incarnare un cocktail esplosivo di perversione e follia incontrollata. Di sicuro si parlerà a lungo del fatto che questo film non sarà ricordato per essere qualcosa di indispensabile, ma di certo l'importanza stilistica e narrativa è notevole. Lascia a bocca aperta per quanto ogni inquadratura riesca ancor di più a rendere ambiguo e contorto ciò che all'apparenza potrebbe anche non esserlo, sulla scia di maestri visionari e conturbanti come Cronenberg e Lynch. Per concludere, siamo abbastanza lontani dai suoi capolavori, ma con quest'ennesimo film Almodòvar continua comunque ad incarnare l'espressione più alta dello stile cinematografico europeo contemporaneo.
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Secondo me è talmente surreale da sfociare nel comico. All'inizio avrei voluto cambiare canale, ma poi ho riso talmente di gusto che non mi sono pentita di averlo visto fino alla fine. E' deludente solo se lo si guarda nell'ottica della ricerca di una morale: semplicemente va guardato. Lo consiglio a chi è triste e ha bisogno di ridere un po'
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La svolta in Almodavora e sicuramente non ha deluso il suo pubblico. Come tutti i grandi artisti anche il regista si è lasciato affascinare dal mito della "creatura" nata da mano umana invece che divina e proprio per questo considerata nell'inconscio come portatrice di paura e orrore. Mito d'altronde raccontato nel suo massimo dal romanzo di Mary Shelley.
Quello che però spiazza nel film di Almodovar é anche questa volta l'assenza di giudizio nei confronti dei suoi personaggi. Il dottor Ledgar nel piccolo mondo chiuso della sua villa compie atti feroci e mostruosi, privi di umanità. Ma colmo di umanità ci appare invece il suo personaggio.
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La svolta in Almodavora e sicuramente non ha deluso il suo pubblico. Come tutti i grandi artisti anche il regista si è lasciato affascinare dal mito della "creatura" nata da mano umana invece che divina e proprio per questo considerata nell'inconscio come portatrice di paura e orrore. Mito d'altronde raccontato nel suo massimo dal romanzo di Mary Shelley.
Quello che però spiazza nel film di Almodovar é anche questa volta l'assenza di giudizio nei confronti dei suoi personaggi. Il dottor Ledgar nel piccolo mondo chiuso della sua villa compie atti feroci e mostruosi, privi di umanità. Ma colmo di umanità ci appare invece il suo personaggio. Solo, disperato, tragicamente attaccato ad un amore profondo mai ricambiato che dalla moglie passa poi alla figlia. E quando alla fine "la donna che ama" lo tradisce "di nuovo", pur con la sua bestialità, è lui che ci sembra la vittima di tutta la storia.
Il mito insomma viene ribaltato: come si può provare orrore per il "nuovo Frankenstein" quando ci appare nelle vesti di una magnifica donna dalle labbra sensuali e gli occhi profondi? In questo caso sembra quasi che la mano umana abbia corretto un errore divino, dando a quell'essere umano il più perfetto involucro immaginabile (questo grazie anche alla bellissima Elena Anaya che davvero no fa sentire la mancanza di Penelope Cruz e anzi ci ricorda la sua assenza solo quando si presenta con l'ironica battuta : "Mi chiamo Vera. Vera Cruz").
Immancabile naturalmente la firma del regista, il suo tocco inconfondibile che riconosciamo nella grottesca e bizzarra entrata in scena dell'uomo vestito da tigre: il kitch almodovariano a cui siamo tanto affezionati.
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Robert Ledgard (Antonio Banderas) è un rinomato chirurgo plastico che da alcuni anni, a causa delle tragedie familiari che si sono abbattute su di lui e che continuano a tormentarlo, ha abbandonato la sala operatoria per dedicarsi al campo della ricerca scientifica. Il suo scopo principale sembra essere quello di creare una pelle transgenica capace di resistere agli attacchi provenienti dal mondo esterno in maniera migliore e più efficiente rispetto alla pelle umana. In particolare Ledgard, che dopo una conferenza racconta come sua moglie sia morta carbonizzata in seguito a un incidente stradale, desidera creare una pelle capace di resistere alle alte temperature in modo da restituire un tessuto cutaneo agli ustionati e prevenire il ripetersi del danno.
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Robert Ledgard (Antonio Banderas) è un rinomato chirurgo plastico che da alcuni anni, a causa delle tragedie familiari che si sono abbattute su di lui e che continuano a tormentarlo, ha abbandonato la sala operatoria per dedicarsi al campo della ricerca scientifica. Il suo scopo principale sembra essere quello di creare una pelle transgenica capace di resistere agli attacchi provenienti dal mondo esterno in maniera migliore e più efficiente rispetto alla pelle umana. In particolare Ledgard, che dopo una conferenza racconta come sua moglie sia morta carbonizzata in seguito a un incidente stradale, desidera creare una pelle capace di resistere alle alte temperature in modo da restituire un tessuto cutaneo agli ustionati e prevenire il ripetersi del danno.
Fin da subito risulta evidente che i metodi adottati dal chirurgo vanno ben al di là dei limiti imposti dalla bioetica. Se questa è apparentemente la sinossi del nuovo film scritto e diretto da Pedro Almodóvar, non è su Ledgard e sulle sue vicissitudini che il regista concentra la propria attenzione bensì, come le prime immagini del film dichiarano apertamente, sull'enigmatico personaggio di Vera (Elena Anaya) la giovane donna che vive segregata all'interno della villa del chirurgo e su cui questi sperimenta il risultato delle proprie ricerche.
Adesso, poiché chiunque mastichi un minimo il linguaggio cinematografico e le tecniche di scrittura cinematografica sa benissimo che la storia di un film è il percorso emotivo compiuto dal protagonista durante il corso della narrazione e poiché il protagonista non è Ledgard bensì Vera, risulta evidente come la sinossi riportata in questa recensione e la sinossi riportata sostanzialmente in qualsiasi altro articolo possiate leggere su Internet o sulla carta stampata si limitino a descrivere la cornice del film e non a riassumerne la storia. Ma allora, direte voi, perché tutti si sono concentrati sulla cornice e non sulla storia del film? La risposta è evidente, ma non è semplice. Almodóvar stesso sembra operare una certa confusione all'interno della propria pellicola fra la storia e la cornice della storia.
In più occasioni l'autore iberico prende una direzione per poi abbandonarla e imboccarne un'altra apparentemente del tutto svincolata dalla precedente. Questo stile però non può sorprendere chiunque conosca la filmografia di Almodóvar. Inoltre, è il caso di chiarirlo fin da subito, le inversioni di rotta compiute dal regista non si limitano soltanto alla storia narrata, ma coinvolgono il film in tutta la sua interezza.
Almodóvar affronta tematiche che poi non sviluppa, introduce personaggi che poi abbandona, imbocca la strada di un genere cinematografico, ma poi compie un'inversione di marcia e ne prende un'altra che a sua volta conduce a un binario morto. Si è data tanto da fare la critica europea a decantare le lodi di un regista sessantenne che, forte di una solidissima carriera alle spalle, decide di accettare nuove sfide cimentandosi con un genere cinematografico nuovo alla sua produzione. In particolare in tanti, forse in troppi, hanno affermato che questa volta Almodóvar ha deciso di girare un thriller.
"La Piel que Habito" è la trasposizione cinematografica del libro "Mygale" (in italiano "Tarantola") dello scrittore francese Thierry Jonquet scritto nel 1984. L'opera letteraria si basa su un'idea di fondo potente, originale e dall'impatto emotivo dirompente introno alla quale si sviluppa la storia narrata. Il taglio narrativo è netto e preciso così come sono nette e precise le scelte dell'autore.
In "Mygale" non ci sono ambiguità. Si tratta di un libro che racconta la vendetta operata dal suo protagonista, analizzandone il percorso emotivo che trasforma la sua sete d'odio in un bisogno d'amore. [-]
[+] lascia un commento a andyflash77 »[ - ] lascia un commento a andyflash77 »
Quanto è cambiato il cinema di Almodovar negli ultimi anni?
Beh molto direi, tanto che la sua vena goliardica pur non essersi esaurita, si è comunque appesantita e questa storia assurda ma interessante che avrebbe potuto dare risultati eccellenti, risente di una lentezza narrativa terribile e di colpi di scena scontati, come il finale...un film che riserva poche sorprese insomma, ma impeccabile come sempre nelle fotografia e nella magistrale regia.
[+] lascia un commento a pod73 »[ - ] lascia un commento a pod73 »
Robert(banderas) è un noto chirurgo estetico che ha perso sia la moglie che la figlia, entrambe suicide; la prima, dopo un incidnte stradale che l'aveva gravemente ustionata, s'è tolta la vita vedendo la propria immagine riflessa, la seconda, gravemente turbata dall'avvenimento, in seguito a una violenza( non del tutto consumata) sessuale, ha seguito le sorti della madre. Robert rintraccia il molestatore della figlia 4 si mette all'opera su di lui, trasformanfdolo in una lei con il volto della scomparsa moglie e il nome della figlia...
Sarà che non amo Almodòvar, ma alcuni dei suoi ultimi film non troppo amati dai suoi fan a me sono piaciuti, compreso questo"la pelle che abito", caratterizzato da una regia magistrale, da una scenografia bellissima be accompagnata da fotografia e musiche.
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Robert(banderas) è un noto chirurgo estetico che ha perso sia la moglie che la figlia, entrambe suicide; la prima, dopo un incidnte stradale che l'aveva gravemente ustionata, s'è tolta la vita vedendo la propria immagine riflessa, la seconda, gravemente turbata dall'avvenimento, in seguito a una violenza( non del tutto consumata) sessuale, ha seguito le sorti della madre. Robert rintraccia il molestatore della figlia 4 si mette all'opera su di lui, trasformanfdolo in una lei con il volto della scomparsa moglie e il nome della figlia...
Sarà che non amo Almodòvar, ma alcuni dei suoi ultimi film non troppo amati dai suoi fan a me sono piaciuti, compreso questo"la pelle che abito", caratterizzato da una regia magistrale, da una scenografia bellissima be accompagnata da fotografia e musiche. Notevole anche la prova attoriale del cast in generale e soprattutto di banderas, tornasto ad alti livelli dopo alcuni film di successo ma poco impegnativi.
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Ho dato 3 stelle...forse un po' troppo...calcolando l'inverosimile...storia..non voglio distruggerlo...sicuramente è da vedere..ma forse a parte alcune cose..è riuscito, se voleva questo, a crearmi fastidio...è forte come film..anche coraggioso dire.
Bravi gli attori..è passato in fretta nonostante sia abbastanza lungo..come film.
Molto particolare..mi sento di dire che chi me lo aveva descritto un gran bel film...a mio parere ha molto esagerato...tanto che è difficile anche parlarne....da vedere..senza esaltazioni.
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