lucio
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venerdì 23 settembre 2011
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un abito sempre uguale
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Pedro Almodovar sta spegnendo pian piano la luce della sua creatività. In questo ultimo suo lavoro si è avvitato su se stesso proponendo un caleidoscopio di cose già viste. Alcune immagini sono delle superfetazioni fuori contesto. Gli amplessi lungo i giardini di una villa: inutili. La confusione irrazionale del rapporto parentale: incomprensibile. I suicidi messi lì come fossero "normali". I colpi di pistola. I morti ammazzati che nessuno reclama. E poi,ancora una volta, emerge l'odio del regista verso gli uomini che sembrano belve assatanate di sesso e potenziali stupratori. Ma, a parte questo, ciò che non convince è il canovaccio del racconto. L'immenso (e magnifico culturalmente) tema della bioetica appare come uno spot pubblicitario illustrato dal chirurgo in alcuni convegni a tema.
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Pedro Almodovar sta spegnendo pian piano la luce della sua creatività. In questo ultimo suo lavoro si è avvitato su se stesso proponendo un caleidoscopio di cose già viste. Alcune immagini sono delle superfetazioni fuori contesto. Gli amplessi lungo i giardini di una villa: inutili. La confusione irrazionale del rapporto parentale: incomprensibile. I suicidi messi lì come fossero "normali". I colpi di pistola. I morti ammazzati che nessuno reclama. E poi,ancora una volta, emerge l'odio del regista verso gli uomini che sembrano belve assatanate di sesso e potenziali stupratori. Ma, a parte questo, ciò che non convince è il canovaccio del racconto. L'immenso (e magnifico culturalmente) tema della bioetica appare come uno spot pubblicitario illustrato dal chirurgo in alcuni convegni a tema. Le cellule staminali, ultima frontiera della scienza medica, non servono per cambiare gli uomini in donne, come invece vorrebbe il regista. Esse, in un futuro speriamo non molto lontano, potranno guarire malattie serie e fino ad ora incurabili. "La pelle che abito" circoscrive tematiche filosofiche in un ambito assai ristretto di idee. Quando si esce da una sala cinematografica dopo aver visto un grande film ci si sente appagati. Non ho avvertito tale sensazione per questa ultima fatica di Almodovar.
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mirella di giorgio
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lunedì 29 agosto 2011
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la pelle che non riconosco
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Uscire a meta' film quando il regista e' Almodovar e' stato per me come lasciare nel piatto una fetta di torta Sacher perche' il pasticcere ha usato la marmellata di prugne al posto di quella di albicocche. La verita', che nessun ha osato dire, e' che l’ultimo film di Almodovar non funziona. Lo dice una almodovariana convinta che ha sempre apprezzato le trovate stravaganti del suo regista preferito. Ricordo pero’ di avere faticato a difendere l'autenticita’ del personaggio della suora che rimane in cinta e muore di AIDS in "Tutto su mia madre". Ho trovato esageratamente tobida la vicenda di Ignacio in "La Mala Educacion" e poco credibile che suo fratello fratricida si spacci per lui davanti al suo migliore amico.
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Uscire a meta' film quando il regista e' Almodovar e' stato per me come lasciare nel piatto una fetta di torta Sacher perche' il pasticcere ha usato la marmellata di prugne al posto di quella di albicocche. La verita', che nessun ha osato dire, e' che l’ultimo film di Almodovar non funziona. Lo dice una almodovariana convinta che ha sempre apprezzato le trovate stravaganti del suo regista preferito. Ricordo pero’ di avere faticato a difendere l'autenticita’ del personaggio della suora che rimane in cinta e muore di AIDS in "Tutto su mia madre". Ho trovato esageratamente tobida la vicenda di Ignacio in "La Mala Educacion" e poco credibile che suo fratello fratricida si spacci per lui davanti al suo migliore amico. In “Parla con Lei” la malata attrazione di Benino per la sua paziente trova comunque giustificazione in un messaggio di speranza.
Nei film di Almodovar c’e’ sempre stata una granda eleganza registica ed un messaggio di amore per la vita. Amore malato, distorto, sicuramente non convenzionale, ma pur sempre amore. Ricordo di avere pianto lascrime di gioia quando in “Parla con lei” compare all’improvviso Alicia che e’ uscita dal coma. Mi sono commossa quando in “Carne Tremula” il personaggio di Francesca Neri si scopre essere in cinta nell’ultima scena. Anche se erano tutte situazioni surreali, erano verosimili nella loro componente emotiva e psicologica.
I personaggi de “La pelle che abito”, invece, sono finti come il Frankenstein che ispira la storia. L’intera vicenda e’ finta e fastidiosamente sopra le righe. Nei primi 20 minuti del film ne ho avuto il sospetto, ma quando e’ comparso l’uomo vestito da tigre che parlava con accento brasiliano ho creduto di essere entrata nella sala sbagliata. L’uomo tigre, che serve a dare avvio alla narrazione scoprendo che nella casa di uno stimato medico vive segregata una donna, non poteva che essere l’ex amante della moglie del medico nonche’ suo fratello illegittimo. Ma questo e’ un tema che non verra’ approfondito, viene buttato li’ en passant tanto per intorbidire un po’ le acque. Dalla sua morte, preceduta da violenza sessuale verso la donna Frankenstein, si innescano i seguenti flashback: la moglie fedifraga del dottore non era morta in un incidente come credevamo ma si era suicidata. La loro figlia, che aveva problemi psichici, si suicida anche lei dopo una seconda scena di violenza sessuale seguita da scena di vendetta del padre Banderas. Dopo che il protagonista ferisce e rapisce il violentatore della figlia, non ce l’ho fatta piu’ ed ho convinto il mio fidanzato a fuggire. E non perche’ sia troppo delicata. Ci sono film che mi hanno turbato, come Lolita di Kubrick, ma non mi sarei mai sognata di lasciarli a meta’, anzi ne ero morbosamente attratta.
Invece questo film non aveva nulla di speciale, se non le inquadrature della donna Frankenstein dell’inizio, ma parliamo di pochi minuti, nulla che scuotesse la morale comune con un messaggio controverso, era solo fonte di disagio.
Magari ho perso un capolavoro uscendo a meta’. Forse il film avrebbe preso una nuova piega, la storia sarebbe decollata.
Non lo sapro’ mai.
Per ora rimane solo una grande delusione.
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