annamaria vergara
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mercoledì 5 ottobre 2011
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grottesco sì, ma eccellente
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L'esteriorità è solamente un abito. Spesso si sceglie un bell'abito per sopperire ad una mancanza interiore, ma non è il caso trattato in questa stupefacente pellicola di Almodovar. Il ragazzo è stato - contro sua volontà, sottoposto ad un cambiamento radicale della sua esteriorità che col passare degli anni lo ha portato ad accettarla, a conviverci, ma solo esteriormente e questo è palesemente dimostrato dal fatto che continuasse a disegnare sul muro il corpo di una donna la cui testa era stata imprigionata in una casa; una metafora, questa, che lascia spazio a diverse interpretazioni, e che a mio avviso si potrebbe tradurre in: un cervello e un'anima di uomo costretti in un corpo di una donna, e per quanto quel corpo perfetto abbia represso la mascolinità del protagonista, non è certamente stato lo stesso per ciò che davvero Vicente era: nient'altro che un uomo che ha affondato le radici nel suo essere per sopravvivere in un contesto (interiore ed esteriore) che non gli apparteneva e il finale è stato magistrale, per quanto un pizzico scontato, ma complicare ulteriormente l'intreccio della trama avrebbe - secondo me, reso il film eccessivo sotto ogni aspetto.
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L'esteriorità è solamente un abito. Spesso si sceglie un bell'abito per sopperire ad una mancanza interiore, ma non è il caso trattato in questa stupefacente pellicola di Almodovar. Il ragazzo è stato - contro sua volontà, sottoposto ad un cambiamento radicale della sua esteriorità che col passare degli anni lo ha portato ad accettarla, a conviverci, ma solo esteriormente e questo è palesemente dimostrato dal fatto che continuasse a disegnare sul muro il corpo di una donna la cui testa era stata imprigionata in una casa; una metafora, questa, che lascia spazio a diverse interpretazioni, e che a mio avviso si potrebbe tradurre in: un cervello e un'anima di uomo costretti in un corpo di una donna, e per quanto quel corpo perfetto abbia represso la mascolinità del protagonista, non è certamente stato lo stesso per ciò che davvero Vicente era: nient'altro che un uomo che ha affondato le radici nel suo essere per sopravvivere in un contesto (interiore ed esteriore) che non gli apparteneva e il finale è stato magistrale, per quanto un pizzico scontato, ma complicare ulteriormente l'intreccio della trama avrebbe - secondo me, reso il film eccessivo sotto ogni aspetto. L'ambiguità fra esteriorià ed interiorità propostaci da Almodovar è secondo me da rivedere sotto un aspetto psicoanalitico. In ogni caso, un film eccellente da vedere e rivedere almeno una seconda volta.
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[+] ottima lettura, ma contiene spoiler
(di riccardo76)
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annamaria vergara
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mercoledì 5 ottobre 2011
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l'ambiguità che rende eccellente una pellicola
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L'esteriorità è solamente un abito. Spesso si sceglie un bell'abito per sopperire ad una mancanza interiore, ma non è il caso trattato in questa stupefacente pellicola di Almodovar. Il ragazzo è stato - contro sua volontà, sottoposto ad un cambiamento radicale della sua esteriorità che col passare degli anni lo ha portato ad accettarla, a conviverci, ma solo esteriormente e questo è palesemente dimostrato dal fatto che continuasse a disegnare sul muro il corpo di una donna la cui testa era stata imprigionata in una casa; una metafora, questa, che lascia spazio a diverse interpretazioni, e che a mio avviso si potrebbe tradurre in: un cervello e un'anima di uomo costretti in un corpo di una donna, e per quanto quel corpo perfetto abbia represso la mascolinità del protagonista, non è certamente stato lo stesso per ciò che davvero Vicente era: nient'altro che un uomo che ha affondato le radici nel suo essere per sopravvivere in un contesto (interiore ed esteriore) che non gli apparteneva e il finale è stato magistrale, per quanto un pizzico scontato, ma complicare ulteriormente l'intreccio della trama avrebbe - secondo me, reso il film eccessivo sotto ogni aspetto.
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L'esteriorità è solamente un abito. Spesso si sceglie un bell'abito per sopperire ad una mancanza interiore, ma non è il caso trattato in questa stupefacente pellicola di Almodovar. Il ragazzo è stato - contro sua volontà, sottoposto ad un cambiamento radicale della sua esteriorità che col passare degli anni lo ha portato ad accettarla, a conviverci, ma solo esteriormente e questo è palesemente dimostrato dal fatto che continuasse a disegnare sul muro il corpo di una donna la cui testa era stata imprigionata in una casa; una metafora, questa, che lascia spazio a diverse interpretazioni, e che a mio avviso si potrebbe tradurre in: un cervello e un'anima di uomo costretti in un corpo di una donna, e per quanto quel corpo perfetto abbia represso la mascolinità del protagonista, non è certamente stato lo stesso per ciò che davvero Vicente era: nient'altro che un uomo che ha affondato le radici nel suo essere per sopravvivere in un contesto (interiore ed esteriore) che non gli apparteneva e il finale è stato magistrale, per quanto un pizzico scontato, ma complicare ulteriormente l'intreccio della trama avrebbe - secondo me, reso il film eccessivo sotto ogni aspetto. L'ambiguità fra esteriorià ed interiorità propostaci da Almodovar è secondo me da rivedere sotto un aspetto psicoanalitico. In ogni caso, un film eccellente da vedere e rivedere almeno una seconda volta.
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gnr451
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martedì 4 ottobre 2011
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evitatelo
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Con Otto euro andatevi a mangiare una pizza ma evitate questo film assolutamente pessimo. Il soggetto aveva delle potenzialità ma non sono state correttamente sviluppate, la sceneggiatura è pessima senza altro aggiungere, Banderas è uno stoccafisso, sono presenti le solite scene di volgarità gratuita che non apportano nulla al film.
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orazio maione
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lunedì 3 ottobre 2011
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fantascienza, il livello di pedro
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grande film. ci siamo tutti, gli orrori delle nostre società opulente con le figlie-amanti recluse, il corpo che si può trasformare/ricostruire a piacimento/oltre ogni limite, i confini labili tra identità di genere, i limiti dell'etica con la scienza.
epperò il potere salvifico dell'arte, come alcune frasi gettate quasi subliminarmente (nello yoga la forma è per l'essenza) a farci sperare che nonostante la caverna in cui siamo incatenati dentro di noi c'è ancora la possibilità di salvarci.
e che musica: classicheggiante e intensa, o unita a sonorità techno. e che arredamenti, e che festa sublime con cantante altrettanto. stile assoluto, per qno maniera, quella di un maestro del nostro tempo.
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alex2044
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lunedì 3 ottobre 2011
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se ami il cinema
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Non amo particolarmente Almodovar ma amo il cinema e non si può negare che i suoi film hanno sempre qualcosa di accattivante e di nuovo . In questo caso una prima parte molto buona poi qualche freanata ed un finale travolgente. Un piccolo tesoro di citazioni per i cinefili. Fra gli attori Banderas è molto bravo .Ce ne fossero di film così.
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hulk1
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domenica 2 ottobre 2011
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la fine
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Gran battage, gran parlare intorno ad un cineasta che 'Solo' sessantenne non ha più nulla da dire , da anni gira attorno al cinema dei maestri, illudendo con iniezioni di altri autori di rinnovarsi. Quali affinità mi domando con occhi senza volto, con Jess Franco ed i suoi vampiri della notte, film anonimo nonostante il budget notevole e le star presenti? Nel film francese' Capostipite con Psyco del gore', 'Film del quale Truffaut disse, stavo montando i 400 colpi e Freju il suo film, è stato praticamente l'unico mio lavoro da assistente'. Franco girerà con i suoi mad doctor diversi film ispirati , ad occhi senza volto.
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Gran battage, gran parlare intorno ad un cineasta che 'Solo' sessantenne non ha più nulla da dire , da anni gira attorno al cinema dei maestri, illudendo con iniezioni di altri autori di rinnovarsi. Quali affinità mi domando con occhi senza volto, con Jess Franco ed i suoi vampiri della notte, film anonimo nonostante il budget notevole e le star presenti? Nel film francese' Capostipite con Psyco del gore', 'Film del quale Truffaut disse, stavo montando i 400 colpi e Freju il suo film, è stato praticamente l'unico mio lavoro da assistente'. Franco girerà con i suoi mad doctor diversi film ispirati , ad occhi senza volto. Ma in questo caso il vero autore che dovrebbe urlare al ladro è David Cronenberg, tralasciando la prima noiosissima parte, in pratica tutto il primo tempo, accortosi di non avere nulla tra le mani, infila il solito sesso alla pedro, qualche strizzatina postgaya, ed inizia il marasma di flasbak alla lost, pasticciati, posticci, a volte sinceramente incomprensibili. Tornando al maesrto canadese, vi sono inquadrature, prese da gli inseparabili, persino gli strumenti ginecologici sono disposti, illuminati, inquadrati allo stesso modo, anche dalla mosca , non si è fattto mancare niente. Ma la mia domanda, che bisogno ha di utilizzare la pelle di maiale, sul ragazzo castrato e trasformato? La nuova pelle serviva alla sostituzione di quella bruciata della moglie, ma una volta persa, morta, continua, perchè. Bhe essendo uno sbullonato avrà una sua logica, ma con il nuovo corpo, la nuova pelle nono serve, forse voleva assemblare una supe eroina , dalla pelle imperforabile. Torna anche Banderas, al suo solito standard di inesspressiva insulsaggine, pettinato alla Cary Grant, ora sostituito come nella tradizione Hollywoodiana, da un'altro incapace J Bardel. Ma è una tradizione ripeto, il conturbante sessuale di origine europea, Rodolfo Valentino, Marlene, Rossano Brazzi 'Doveva andare de Sica padre, ma rossano parlava meglio l'inglsese, solo quello naturalmente', Anche Depardeau è stato utilizzato, arrivò Banderas ed ora Bardel, una bella sequenza di 'A parte il francese' grandi attori.
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andyzerosettesette
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domenica 2 ottobre 2011
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dilemmi bioetici per un almodovar "freddo"
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L'ossessione contemporanea per la perfezione estetica, il superamento del confine "sacro" fra naturale e artificiale, il rapporto controverso con un corpo che non si accetta ma in cui si è imprigionati, la difficoltà di affrontare un lutto, la malattia mentale, la vendetta: questi alcuni dei temi, impagnativi, che Almodovar combina in modo originale in un melodramma dall'intreccio ben dipanato, dai toni e dall'atmosfera volutamente "fredda" (e dunque poco "almodovariana"), e dal genere più noir che tendente all'horror (come invece è stato singolarmente etichettato La pelle che abito da molti mass media italiani).
In estrema sintesi, senza rivelare nulla di specifico perchè i numerosi colpi di scena possono rendere poco piacevole conoscere prima della visione i particolari della trama, e perchè già hanno rivelato tutto i critici di professione, è la storia di un chirurgo estetico di successo (un Antonio Banderas molto bravo anche in un ruolo "algido") che, distrutto da drammi che hanno colpito le persone a lui più care, sublima il dolore trasformandolo in energia creativa al servizio della scienza, e si dedica in segreto a un suo progetto personale che mescola vendetta e delirio di onnipotenza, non sempre riuscendo a controllarne gli esiti pericolosi.
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L'ossessione contemporanea per la perfezione estetica, il superamento del confine "sacro" fra naturale e artificiale, il rapporto controverso con un corpo che non si accetta ma in cui si è imprigionati, la difficoltà di affrontare un lutto, la malattia mentale, la vendetta: questi alcuni dei temi, impagnativi, che Almodovar combina in modo originale in un melodramma dall'intreccio ben dipanato, dai toni e dall'atmosfera volutamente "fredda" (e dunque poco "almodovariana"), e dal genere più noir che tendente all'horror (come invece è stato singolarmente etichettato La pelle che abito da molti mass media italiani).
In estrema sintesi, senza rivelare nulla di specifico perchè i numerosi colpi di scena possono rendere poco piacevole conoscere prima della visione i particolari della trama, e perchè già hanno rivelato tutto i critici di professione, è la storia di un chirurgo estetico di successo (un Antonio Banderas molto bravo anche in un ruolo "algido") che, distrutto da drammi che hanno colpito le persone a lui più care, sublima il dolore trasformandolo in energia creativa al servizio della scienza, e si dedica in segreto a un suo progetto personale che mescola vendetta e delirio di onnipotenza, non sempre riuscendo a controllarne gli esiti pericolosi.
Il taglio della storia sembra avere poco a che fare con i più recenti film del regista spagnolo, ma a ben vedere non è difficile riconoscere alcune suoi argomenti ricorrenti : un grave incidente, spesso stradale, come "motore" dell'azione e causa di un cambiamento traumatico, c'è negli Abbracci Spezzati, in Tutto su mia madre e in misura anche maggiore in Parla con lei, l'elaborazione del lutto è alla base di Tutto su mia madre e soprattutto i legami familiari complessi che si portano dietro un carico di amore e di dolore compaiono in Volver, in Tutto su mia madre e in qualche misura negli Abbracci Spezzati. Qui si aggiunge da parte del regista la probabile ambizione di toccare anche temi meno "intimisti", spostandosi su dilemmi in qualche modo etici di carattere generale: il dubbio, alla base di molti film e romanzi degli ultimi decenni, su dove possa spingersi l'ambizione umana di creare la vita, scavalcare i limiti fisici attraverso la scienza, modellare i corpi, dimenticando magari gli effetti sulle menti e sulle anime.
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stefano73
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sabato 1 ottobre 2011
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valido,perverso...in linea almodovar...ma lento
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in piena linea perversa tipica di Almodovar. Anche sta volta alle prese con sessualità ambigua e indeterminata. Purtroppo si dilunga troppo tra le varie vicende calcando la mano su perversioni e sessualità ripetutamente consumata. Anche Antonio Banderas ha conosciuto ruoli più riusciti e più espressivi. Un film che lo si apprezza leggermente di più sul finale. Fosse stato tagliato di almeno 20 minuti avrebbe funzionato di più.
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lucia g.binetti
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sabato 1 ottobre 2011
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non sono tua madre, ti ho solo partorito!
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Un cerchio in cui ogni scena, simbolo, frase, abito indossato, sono un richiamo a qualcosa che avverrà o che è già avvenuto. Perché il film vive di un lungo flash back che ti fa ritornare all'inizio della storia. La pelle "abitata" è quella cucita addosso alla vittima dal folle chirurgo ma è anche quella in cui la giovane figlia non si riconosce, anche lei vittima della stessa follia. "Non riusciamo a farle indossare abiti attillati", dice lo psichiatra che l'ha in cura. Abiti che si fanno stracci, quelli sparsi per terra nella prigione dorata della vittima, ma sono anche quelli che compongono il manichino della vetrina nel negozio di abiti, appunto, luogo e snodo cruciale del film.
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Un cerchio in cui ogni scena, simbolo, frase, abito indossato, sono un richiamo a qualcosa che avverrà o che è già avvenuto. Perché il film vive di un lungo flash back che ti fa ritornare all'inizio della storia. La pelle "abitata" è quella cucita addosso alla vittima dal folle chirurgo ma è anche quella in cui la giovane figlia non si riconosce, anche lei vittima della stessa follia. "Non riusciamo a farle indossare abiti attillati", dice lo psichiatra che l'ha in cura. Abiti che si fanno stracci, quelli sparsi per terra nella prigione dorata della vittima, ma sono anche quelli che compongono il manichino della vetrina nel negozio di abiti, appunto, luogo e snodo cruciale del film. Abiti come seconda pelle, un goffo costume di un improbabile stupratore e un delicato vestito rosa da ragazza, strappato nella violenza. Ed un aito consente l'agnizione, il riconoscimento finale.
Cucito addosso all'identità femminile, vera o ricreata, il film è intenso, forte, anche divertente, irreale, surreale e profondamente vero.
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guillermo
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sabato 1 ottobre 2011
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almodovar grande come sempre
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Pedro Almodóvar non si smentisce e ci regala un altro piccolo gioiello da aggiungere a una lunga collezione di capolavori. La sola cosa pessima del film è la traduzione del titolo, ma non è colpa del regista se l’edizione italiana non ha conservato l’originale spagnolo che possiede ben altra forza evocativa. Il regista costruisce un melodramma con atmosfere thriller (stile Legami, sempre interpretato da Banderas), sconfina persino nell’horror, ma conserva il suo tratto inconfondibili d’autore, uno stile trasgressivo che l’ha reso famoso nel mondo. I personaggi sono almodovariani fino in fondo, perché in un modo o nell’altro sono tutti segnati dalla follia e dal dolore.
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Pedro Almodóvar non si smentisce e ci regala un altro piccolo gioiello da aggiungere a una lunga collezione di capolavori. La sola cosa pessima del film è la traduzione del titolo, ma non è colpa del regista se l’edizione italiana non ha conservato l’originale spagnolo che possiede ben altra forza evocativa. Il regista costruisce un melodramma con atmosfere thriller (stile Legami, sempre interpretato da Banderas), sconfina persino nell’horror, ma conserva il suo tratto inconfondibili d’autore, uno stile trasgressivo che l’ha reso famoso nel mondo. I personaggi sono almodovariani fino in fondo, perché in un modo o nell’altro sono tutti segnati dalla follia e dal dolore. La storia non si racconta facilmente, perché molto complessa e intrecciata secondo le regole del melodramma, ambientata in una Toledo solare che fa da contraltare a interni cupi e claustrofobici. Il protagonista (Banderas) è un chirurgo plastico rimasto vedovo dopo la morte della moglie, che vive per vendicarsi del ragazzo che ritiene colpevole di aver spinto al suicidio la figlia. Marisa Paredes è un’ottima madre - governante che ha la follia nel sangue, ha generato due figli pazzi come il chirurgo e un bandito surreale che entra in scena vestito da uomo-tigre. Elena Anaya è bellissima e altrettanto brava nella difficile interpretazione di una donna costruita dal chirurgo partendo dal corpo del presunto violentatore della figlia. Almodóvar affronta in un solo film il tema della follia, parla di diversità, transessualismo, esperimenti genetici proibiti, amore malato, rapporti familiari che vanno a pezzi. Se vogliamo cita persino il mito di Frankenstein quando vediamo la mutazione da uomo a donna e la costruzione di una nuova pelle, resistente al fuoco. Il regista è un terrorista dei generi, perché in una sola pellicola contamina melodramma, horror, thriller, commedia, lasciando un segno indelebile della sua arte. Il romanzo di Jonquet è ridotto ai minimi termini, a un mero canovaccio per narrare la vendetta del chirurgo, sul quale Almodóvar lavora per costruire un teatro di personaggi indimenticabili. Occhi senza volto (1959) di Georges Franju, interpretato da Alida Valli, aveva lo stesso personaggio di un chirurgo ossessionato dall’idea di ricostruire il volto della figlia sfigurato in un incidente. Almodóvar cita la pellicola, ma non confeziona un film fantastico perché la sua cifra stilistica è il realismo permeato da situazioni a limiti del surreale. La musica di Alberto Iglesias è ottima, collegata alla narrazione, piena di rifermenti ai ritmi cubani e a brani storici degli anni Cinquanta.
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