ashtray_bliss
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mercoledì 6 gennaio 2016
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l'essenza della sopravvivenza.
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Film scarno, particolare, essenzale nel più assoluto dei termini; il lungometraggio dl regista polacco è un esperienza singolare; inanzitutto è un film quasi totalmente muto: i dialoghi, il contatto umano, qui sono totalmente superflui e quindi ridotti all'osso. Perchè la pellicola si concentra, sin dalle prime inquadrature, al vero e propro protagonista, ovvero l'istinto innato dell'uomo a sopravvivere; l'istinto dell'autoconservazione. E quando si innesca questo primitivo istinto allora si perde qualsiasi traccia di umanità, di valori, di rispetto. L'uomo che lotta per sopravvivere è un uomo che non può avere scrupoli o mettere dei paletti morali, religiosi o etici alle proprie azioni; non può permettersi di esitare o avere rimorsi.
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Film scarno, particolare, essenzale nel più assoluto dei termini; il lungometraggio dl regista polacco è un esperienza singolare; inanzitutto è un film quasi totalmente muto: i dialoghi, il contatto umano, qui sono totalmente superflui e quindi ridotti all'osso. Perchè la pellicola si concentra, sin dalle prime inquadrature, al vero e propro protagonista, ovvero l'istinto innato dell'uomo a sopravvivere; l'istinto dell'autoconservazione. E quando si innesca questo primitivo istinto allora si perde qualsiasi traccia di umanità, di valori, di rispetto. L'uomo che lotta per sopravvivere è un uomo che non può avere scrupoli o mettere dei paletti morali, religiosi o etici alle proprie azioni; non può permettersi di esitare o avere rimorsi. La natura selvaggia dell'essere umano, quando prende il sopravvento, non fa sconti per nessuno. E' questo il messaggio, chiaro e diretto, che il regista polacco manda agli spettatori della pellicola, affidando il ruolo del protagonista a un bravo e convincente Vincent Gallo, che in soli 80 min (e senza mai emettere una parola) riesce a trasmettere i tormenti, le agonie, ma sopratutto la voglia di vivere di un uomo destinato a non farcerla. Per evidenziare ulteriormente l'angoscia che pervade il protagonista, si è scelto infatti di ambientare la caccia all'uomo in una immensa foresta, gelida ed innevata, da qualche parte, non meglio precisata, del Nord Est Europeo.
Il distacco tra le prime scene, il deserto afgano prima, nel quale si rifugia il ricercato, e la foresta innevata nella quale si ritroverà poco dopo, è talmente profondo che marca impeccabilmente l'isolamento, l'estraniazione, la confusione che disorientano il protagonista. Il fuggasco, ormai lontano dalla terra che ama e che, nella sua prospettiva, protegge dagli invasori uccidendo, si ritrova completamente solo, smarrito e braccato dalle forze dell'ordine. In un atipico e magnetico contesto naturale, fatto di neve fitta, meravigliose foreste ghiacciate, ma anche paura e solitudine, Mohammed si spoglia di ogni briciolo di umanità e non si fa scrupoli ad uccidere chiunque reputi come una concreta minaccia per la sua salvezza: dagli uomini, agli animali. Solo progressivamente, mentre le forze fisiche inizieranno a mancare e le sue ferite (fisiche e psicologiche) inizieranno a renderlo sempre più stanco e debole, solo allora per Mohammed ci sarà una breve 'riconcilliazione' con l'umanità dentro e attorno a lui, caratterizzata sopratutto dalle due figure femminili che incontra sulla sua strada.
Emblematica la scena dove il fuggiasco, vivisamente turbato e titubante, quasi timoroso supera ogni soglia di remora e vergogna cibandosi dal seno della donna che allatta. Forse la vorrebbe uccidere ma alla fine butta la bicicletta della donna in mezzo alla strada per costringere i passanti a soccorrerla. Ma intanto ancora una volta la fame, istinto primordiale, ha la meglio su qualsivoglia inibizione. Poi, suo malgrado accetta di essere aiutato dalla sordomuta, la quale diventa un faro di speranza in una storia di completa dissoluzione, assenza di empatia o di gentilezza. Perchè queste espressioni di sentimento sono nobili e non appartengono alla pellicola di questo genere, motivo per cui sono appena accennate.
Qui, il focus della trama è totalmente incentrato sulla essenzialità della sopravvivenza, dove non esiste più alcuna differenza tra uomo e animale, dove non è più la logica e la razionalità a dettare le azioni, ma il più primordiale istinto di autoconservazione. Le uniche leggi che contano sono quelle della Natura, alle quali è intrinsicamente legata la vita o la morte degli animali, compreso l'uomo regredito allo stato di animale. Madre Natura, a volte amica e altre volte acerrima nemica delle creature che vi abitano favorisce la sopravvivenza o la morte.
Essential Killing è una pellicola rudimentale dal punto di vista della trama, ma non per via dei contenuti che fanno riflettere e molto, sulla trasversalità delle azioni umane quando ci si ritrova a fare i conti con la vita e la morte. Ma è un anche una pellicola visivamente potente, imponente; sorretta da una eccellente fotografia naturale. Le riprese della neve, del ghiaccio, dei lupi sono evocative e tecnicamente perfette. Vincent Gallo, praticamente unico attore in grado di tenere sulle spalle il peso dell'intero film, se la cava davvero bene, esprimendosi esclusivamente attravverso gestualità e sguardi. In definitiva è un prodotto solo apparentemente semplice, ma che va scavato e interpretato sotto una chiave di lettura diversa, più profonda e attenta. Non si tratta di un capolavoro e non è esente da alcune lacune, ma è decisamente un buon prodotto. Consigliato.
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miraj
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martedì 12 febbraio 2013
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essenzialmente uomo
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Mohammed-Gallo è un talebano, catturato nel deserto roccioso dagli americani e fuggitivo nei boschi gelidi e innevati della Polonia durante il trasferimento da un carcere all'altro.Il film è la sua fuga, la sua lotta per la sopravvivenza in un ambiente assolutamente ostile e sterile di cibo, di calore, di possibilità, di redenzione. Perchè il talebano ha ucciso prima di venire catturato nel deserto, senza alcuna pietà e forse inutilmente, ed uccide ancora durante la sua fuga, forse ancora inutilmente, in una circostanza dove ferire poteve essere sufficente. Ma il talebano, non a caso tale scelta per il ruolo protagonista, ha dentro l'istinto di uccidere, uccide per salvarsi e per sopravvivere.
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Mohammed-Gallo è un talebano, catturato nel deserto roccioso dagli americani e fuggitivo nei boschi gelidi e innevati della Polonia durante il trasferimento da un carcere all'altro.Il film è la sua fuga, la sua lotta per la sopravvivenza in un ambiente assolutamente ostile e sterile di cibo, di calore, di possibilità, di redenzione. Perchè il talebano ha ucciso prima di venire catturato nel deserto, senza alcuna pietà e forse inutilmente, ed uccide ancora durante la sua fuga, forse ancora inutilmente, in una circostanza dove ferire poteve essere sufficente. Ma il talebano, non a caso tale scelta per il ruolo protagonista, ha dentro l'istinto di uccidere, uccide per salvarsi e per sopravvivere. Come gli animali. E il talebano sembra divenire un animale, la sua fuga lo avvicina al lupo, circospetto, astuto, silenzioso, affamato, feroce, ferino. Ma la sua essenza, in verità, emerge esattamente in senso contrario durante lo svolgersi del film. La bestia abituata ad uccidere, il talebano affamato, selvatico ed impaurito, lotta ancora contro tutti ma in un escalation inversa di bestialità. Dopo i primi omicidi, in verità i successivi contatti umani non si risolvono in delitti: non uccide l'uomo che pesca, si avvicina di soppiatto, silenzioso come un predatore ma si nutre solamente del suo pesce, non uccide la donna in difficoltà con il neonato in braccio ma si nutre del latte del suo seno - in una scena capolavoro che richiama l'istinto primordiale della vita. Non uccide la ragazza sordomuta ma si nutre del cibo che gli offre ed accetta il suo cavallo per andare verso il suo destino. La bestia dunque si è fatto uomo. L'uomo, nutritosi dalla nascita di versetti guerriglieri, di mitraglie e trincee, non è bestia nel senso dispregiativo del termine. L'uomo-talebano è mutato durante la fuga, è diventato uomo-animale, non uomo-bestia, e come gli animali non uccide per diletto o inutilmente, solamente si sfama, per sopravvivere, risparmia la preda se possibile e ricomincia la fuga.Un messaggio che fa riflettere sulla capacità - forse istintiva? - dell'uomo di saper essere umano, oltre le dottrine, oltre le culture.
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zaius72
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lunedì 10 dicembre 2012
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hype only hype
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Si ok Vincent Gallo è uno che ne sa, grande personaggio, ogni cosa che tocca diventa incredibilmente 'underground', artista tutto tondo, musica, cinema, uno nato con il dna dell'artista.
Mi ricordo di un altro film in cui il protagonista lotta per la sopravvivenza, in cui fa ricorso al solo istinto per rimanere in vita, in cui rimane MUTO per tutto il film:
Arnold Schwarzenegger in Predator, solo che Predator è un capolavoro, questo è ammorbante e noioso.
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trimegisto85
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lunedì 3 dicembre 2012
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silenzio di roccia e neve
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Due americani scortati si aggirano nelle gole del deserto Afghano finché si imbattono in un talebano che, sentendosi braccato, li uccide e poi scappa impaurito. Subito catturato dalle forze militari americane rimane a terra stordito e sordo (causa un'esplosione) fino alla cattura: segue il "consueto" protocollo fatto di prigionia, rabbia sputata in faccia, tortura e trasferimento verso una prigione sconusciuta. Durante il trasporto, però, un incidente automobilistico permette a Mohammed di fuggire. Da qui inizia l'inseguimento mai concluso, elemento marginale del film che invece ci trasporta con gli occhi, le espressioni e le pulsioni del talebano ricercato.
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Due americani scortati si aggirano nelle gole del deserto Afghano finché si imbattono in un talebano che, sentendosi braccato, li uccide e poi scappa impaurito. Subito catturato dalle forze militari americane rimane a terra stordito e sordo (causa un'esplosione) fino alla cattura: segue il "consueto" protocollo fatto di prigionia, rabbia sputata in faccia, tortura e trasferimento verso una prigione sconusciuta. Durante il trasporto, però, un incidente automobilistico permette a Mohammed di fuggire. Da qui inizia l'inseguimento mai concluso, elemento marginale del film che invece ci trasporta con gli occhi, le espressioni e le pulsioni del talebano ricercato. Sempre più isolato, impaurito, messo alle strette dalla caccia continua, si avvia verso il profondo dell'animo umano, fatto principalmente dell'istinto di sopravvivenza: in modo ferino si muove in una distesa immensa di neve e alberi alla ricerca di un nascondiglio, di cibo - anche corteccia e bacche - e di una qualche soluzione, uccidendo ogni volta che è necessario (solo quando è necessario) ma sempre con un'espressione disorientata e disperata.
Solo alla fine troverà una forma di pace, di sollievo e di "salvezza" che gli ricorda la differenza tra animali e uomini.
IL ritmo è dolce, dà il tempo alle emozioni del protagonista di manifestarsi e cambiare; notevoli anche gli scorci di silenzio, di roccia e neve, che avvolgono il cammino di un uomo sempre più solo.
Skolimowsky sfrutta a pieno l'habitat in cui si muove Mohammed (Vincent Gallo), l'intensità recitativa del suo protagonista e il mondo in cui questi si muove: il tutto per ricreare il silenzio là dove le parole non servono; siamo nella mente e nell'animo di un uomo messo alle strette dal suo tempo (la guerra) che deve sopravvivere perché è l'unica cosa che gli resta in un mondo sconosciuto.
Lui è sordo ma è allo stesso tempo reso muto, essendo in un paese straniero in cui la sua lingua non gli può essere d'aiuto. In questo stato è portato all'omicidio e azioni che ancor più lo rendono amaro: il pianto quando è costretto a minacciare una donna che allatta per un po' del suo latte ci dice che è consapevole delle bassezze a cui è costretto e che lo stanno segnando; non siamo di fronte ad un killer a sangue freddo, i suoi sono omicidi necessari (Essential Killing).
Nel finale l'incontro con una sorda che si prende cura di lui - e delle sue ferite - offre una speranza, più a noi come genere umano che a Mohammed, che vuole trovare solo una strada verso casa - sempre che in questo mondo, dove forze più grandi di noi ci condizionano nelle scelte, ci sia una strada verso quel luogo sicuro e familiare che chiamiamo casa.
Così a dorso di un cavallo bianco si perde nei boschi innevati: la neve che tutto rende bianco e puro ma che tutto nasconde e mette a tacere, ricoprendo la natura di un soffice strato di silenzio; un mondo candido che Mohammed ha macchiato di sangue e che forse non rivedrà una primavera in questi tempi freddi dell'animo umano.
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patriota40
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martedì 30 ottobre 2012
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incitamento alla jihad
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Patriota40
Ho compreso il messaggio del regista che vuole farci riflettere sull'uomo civilizzato e, come questo in situazioni di difficoltà, può regredire fino allo stato animalesco per cui uccide per sopravvivere. Questo tema oltre a non essere originale, trova conferma in tutte le guerre dove l'uomo perde la sua umanità sostituita dall'istinto della sopravvivenza. Forse sarebbe il caso di evidenziare che mentre l'istinto della sopravvivenza è comune al comportamento degli animali, l'uomo riesce a superare questo stadio portandosi ben oltre, verso qualcosa di ancora più oscuro, inesplorato; la crudeltà, sentimento peraltro non comune agli animali.
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Patriota40
Ho compreso il messaggio del regista che vuole farci riflettere sull'uomo civilizzato e, come questo in situazioni di difficoltà, può regredire fino allo stato animalesco per cui uccide per sopravvivere. Questo tema oltre a non essere originale, trova conferma in tutte le guerre dove l'uomo perde la sua umanità sostituita dall'istinto della sopravvivenza. Forse sarebbe il caso di evidenziare che mentre l'istinto della sopravvivenza è comune al comportamento degli animali, l'uomo riesce a superare questo stadio portandosi ben oltre, verso qualcosa di ancora più oscuro, inesplorato; la crudeltà, sentimento peraltro non comune agli animali. Ma l'aspetto da sottolineare è la storia attraverso la quale viene rappresentato questo stadio. Nella storia è fortemente richiamato l'indottrinamento ricevuto dai talebani attraverso i versetti del Corano per cui troviamo nel film elementi di incitamento alla jihad islamica. E' un equivoco gravissimo specie in questo momento di particolare tensione. Le storie per comunicare gli aspetti della bestialità dell'uomo sono infinite,non capisco l'abbinamento con il pensiero islamico estremista. Forse il regista intendeva veicolare un doppio messaggio? Altrimenti ci vuol forse dire che il talebano , e solo lui, indottrinato in qualche madrassa, braccato dalle forze del male riesce a scampare alla cattura e uccidere tutti coloro che incontra sulla sua strada perchè sorretto dalla fede.
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angelo umana
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martedì 9 ottobre 2012
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essential living
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Film molto interessante di Jerzy Skolimowski. Accompagna la solitudine, la fame e i pericoli corsi dal talebano Mohammed (l’ottimo Vincent Gallo), fatto prigioniero dall’esercito americano, poi scappato e disperso in Polonia durante un trasferimento da una prigione all’altra. Nonostante la solitudine e il silenzio non è mai noioso, la tensione fa seguire quest’uomo, ferito, lungo un cammino disperato in cerca di un rifugio caldo, sfamandosi – si fa per dire – con formiche e corteccia d’albero. Sentiamo poco la sua voce ma dopo 83’ minuti lo conosciamo, il suo viso diventa familiare e perfino dolce, è come avessimo percorso quella marcia faticosa al suo fianco.
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Film molto interessante di Jerzy Skolimowski. Accompagna la solitudine, la fame e i pericoli corsi dal talebano Mohammed (l’ottimo Vincent Gallo), fatto prigioniero dall’esercito americano, poi scappato e disperso in Polonia durante un trasferimento da una prigione all’altra. Nonostante la solitudine e il silenzio non è mai noioso, la tensione fa seguire quest’uomo, ferito, lungo un cammino disperato in cerca di un rifugio caldo, sfamandosi – si fa per dire – con formiche e corteccia d’albero. Sentiamo poco la sua voce ma dopo 83’ minuti lo conosciamo, il suo viso diventa familiare e perfino dolce, è come avessimo percorso quella marcia faticosa al suo fianco. L’”essential killing” è la ricerca di un’essenziale sopravvivenza, per questo uccide con un’arma presa da un militare, sua vittima, e con la sua tuta può difendersi dal freddo. Le sue “esecuzioni” paiono giustificate dal desiderio di sopravvivere. E’ di grande impatto la scena in cui uccide due civili mentre dal loro suv emana un rock potente, sconvolgenti sia la musica che il doppio omicidio, compiuto senza pietà, senza nemmeno vedere in faccia le vittime. Nei suoi sonni-incubi all’addiaccio rivede le immagini dei suoi luoghi e sente le parole del muezzin: Allah tiene tutti e tutti segue, più altre parole che suonano da incitamento alla lotta, per la vita quanto meno. Per un istante in sogno appaiono una giovane donna col suo bambino, che potrebbero essere la sua famiglia. Le immagini dei suoi sogni sono piene di luce, tra il sogno e l’aldilà, ma più colorate dei paesaggi nevosi che attraversa (ottima fotografia).
L’arrivo ad un villaggio gli riserva un po’ di calore rubato, prima succhiando il seno di una mamma che allattava il suo bambino, poi nella casa di Margaret (la bellezza altera di Emmanuelle Seigner, interpretazione "essenziale" e convincente ) che lo cura e gli fornisce un cavallo. Tutto nel silenzio e nella tensione dell’imprevedibile. Magnifica l’immagine del cavallo bianco che resta solo, col dorso macchiato di sangue.
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vince78
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mercoledì 3 ottobre 2012
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insomma...
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Film praticamente privo di dialoghi... Sceneggiatura un po' lattiginosa... Finale un po' brusco...
Non un gran film di sicuro... Appena corretto.
[+] privo di dialoghi
(di angelo umana)
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donni romani
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martedì 2 ottobre 2012
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un uomo di fronte all'essenza dell'essere uomo
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Iniziamo dai premi, Coppa Volpi a Venezia 2010 a Vincent Gallo e Premio Speciale della Giuria a Skolimowski. E diciamo che sono meritatissimi, perchè Gallo recita per tutto il film senza parlare, esprimendo solo con lo sguardo, e con il corpo, emozioni violente ed estreme. E Skolimowski costruisce un film praticamente muto che crea una tensione emotiva e fisica potentissima grazie agli ambienti naturali, allo straniamento del protagonista, alla crudezza del contesto. Il film si apre nel deserto afghano dove tre americani vengono uccisi da Mohammed, talebano forse, nascosto fra le montagne.
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Iniziamo dai premi, Coppa Volpi a Venezia 2010 a Vincent Gallo e Premio Speciale della Giuria a Skolimowski. E diciamo che sono meritatissimi, perchè Gallo recita per tutto il film senza parlare, esprimendo solo con lo sguardo, e con il corpo, emozioni violente ed estreme. E Skolimowski costruisce un film praticamente muto che crea una tensione emotiva e fisica potentissima grazie agli ambienti naturali, allo straniamento del protagonista, alla crudezza del contesto. Il film si apre nel deserto afghano dove tre americani vengono uccisi da Mohammed, talebano forse, nascosto fra le montagne. Nel suo sparare c'è disagio, paura, lotta per la salvezza. La successiva cattura, la tortura, la sua incapacità di sentire a causa di una bomba lo precipitano in un gorgo incomprensibile di paura e alienazione e la successiva fuga, favorita da un incidente stradale nella foresta della Polonia lo lascia straniero in una landa innevata, braccato dall'esercito, destinato a morte sicura. Col passare dei giorni si troverà ad uccidere ancora, con orrore e disgusto, solo per sopravvivere, e ad indossare gli abiti delle sue vittime, in un continuo travestimento che lo priva sempre più della propria identità, riducendolo a puro istinto animale, a mangiare la corteccia degli alberi, a scappare verso il nulla sempre più disperato e spaesato. Solo la memoria di una donna e di un bambino irrompono nella sua mente sconvolta, ricordando a lui e a noi che c'era vita prima della guerra, c'era amore prima della follia dell'odio, c'erano musica, parole, versi del Corano prima della solitudine. Nel suo percorso verso la inevitabile fine solo l'incontro con una donna sordomuta - una dimessa ed intensa Emmanuelle Seigner - avrà i contorni di un contatto umano, dove la mancanza di comunicazione viene sostituita da un'empatia istintiva e primaria. Le scene forti sono tante, tutte bellissime, e la scelta di soffermarsi sul volto di Gallo durante le sue uccisioni, sul suo sgomento e il suo orrore, delimita i contorni del dramma, non rischiando mai di indulgere sulla violenza gratuita e anzi, rendendo quegli omicidi un atto che inorridisce soprattutto chi li compie spinto da una fame atavica e primordiale che divora ogni senso di umanità civilizzata. Nel silenzio della foresta, nella solitudine estrema rimbomba come un'eco lontana la follia dell'odio politico e religioso, ed emerge l'essenza umana, scarna e dolente, che si aggrappa ad un cavallo bianco, simbolo di purezza e di naturalità, per andare incontro alla sua fine.
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gianrelli
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lunedì 1 ottobre 2012
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la ferocia della sopravvivenza
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la lotta dell'uomo per sopravvivere, prima alla ferocia della guerra, poi all'impossibilità della fuga, sullo sfondo di paesaggi stupendi che dovrebbero farci riflettere sulle meraviglie che abbiamo e che non sappiamo goderci, in pace.
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kronos
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sabato 17 settembre 2011
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potenziale sprecato
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Un film più interessante da raccontare che da vedere: è fuori discussione che skolimowsky abbia scovato del materiale narrativo di ottime potenzialità, ma poi sarebbe stato meglio affidarne ad altri la realizzazione ... magari a un se stesso più giovane di trent'anni!
L'ex talentuoso cineasta polacco spreca un soggetto affascinante con una realizzazione televisiva: piatta visivamente, blanda nel ritmo e nelle emozioni.
Resta la convinta interpretazione di Vincent Gallo, ma è poco per fare di questo film un vero cult ... e forse anche per una distribuzione in Italia.
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