elgatoloco
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lunedì 20 luglio 2020
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bene gilroy, qui anche regista
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"Michael Clayton", se non sapessimo che è l'esordio alla regia(2007)di Tony Gilroy, lo si direbbe un film di George Clooney, qui protagonista in una delle sue più intense interpretatzioni. Film civile, etico, decisamente fondato sui diritti civili dei consumatori rispetto a un'azienda inquinante, con tutte le problematiche che spettano a chi si assume la dfiesa(avvocati)della parte e della controparte, "Clyton"non focalizza un"eroe"e neppure, a prioi, un"antieroe", ma una persona che cerca di mantenere un certo equilibiro etico rispetto a questioni importanti, differenti, "difficili", conservando una propria vita privata in cirsi(Clayton è anche un"giocatore", pur se pentito, almeno in parte),, che difficilmente riesce a relazionarsi in modo "sereno"con il rapporto ad extra.
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"Michael Clayton", se non sapessimo che è l'esordio alla regia(2007)di Tony Gilroy, lo si direbbe un film di George Clooney, qui protagonista in una delle sue più intense interpretatzioni. Film civile, etico, decisamente fondato sui diritti civili dei consumatori rispetto a un'azienda inquinante, con tutte le problematiche che spettano a chi si assume la dfiesa(avvocati)della parte e della controparte, "Clyton"non focalizza un"eroe"e neppure, a prioi, un"antieroe", ma una persona che cerca di mantenere un certo equilibiro etico rispetto a questioni importanti, differenti, "difficili", conservando una propria vita privata in cirsi(Clayton è anche un"giocatore", pur se pentito, almeno in parte),, che difficilmente riesce a relazionarsi in modo "sereno"con il rapporto ad extra. IL problema della gestione della professione, quella dell'avvocato, che in specie negli States assume valenze anche particoalri, difficili da leggere serenamente senza incorrere, per l'appunto in proble,i particolari, in specie quando di mezzo c'è collega(un ottimo Tom Wilkinson), che sa di trovarsi in una condizione"particoalre"(a livello psichico)ma sa anche che ciò che negli States corrisponde a un TSO(trattamente sanitario obbligatoria, ossia immissione forzata in una stuttura psichatrica)negli States varia da Stato a Stato, con legislazioni molto diverse, dunque... E dietro a tutto, però, c'è un'impresa, quella "incriminata"che ricorre ad ogni mezzo, anche il più efferato, per difednere i propri interessi, il che qui si vede in forma palpabile nel sottofianel che è"thriller", non senza che il film, tutto il fikn, sia pervaso e percorso da un'inquietudine profonda, che si vede anche somaticamente, negli interpreti, da un Clooney partecipe"empaticamente"a un Wilkinson particolarmente coinvolgente, a un Sidney Polacj qui impegnato quasi solo come attore(ma è anche producer, peraltro), che non molto anni dopo avrebbe lasciato la"scorza corporale"... ancora a Tilda Swinton in un'interepretzione complessa, articolata, mai a sendo unico, particoarlmente da apprezzare. Il film non è"facile", non è"piacevole"-discorsivo, affronta temi spiacevoli, ma proprio per questo è da scoprire e/o riscoprire con particoalre attenzione. Qui il mito del "bel George Clooney"p intelligenemtene e completamente msso in discussione El Gato
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fabio
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martedì 5 marzo 2019
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thriller a sfondo legale ben interpretato
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Un buon thriller che ha nell'interpretazione e nella sceneggiatura i suoi punti di forza.
Clooney si conferma nelle sue doti di attore versatile e di grande presenza scenica.
Anche i non amanti del genere possono seguire con interesse le vicende del protagonista. Perché non ci troviamo in uno di quei film che si svolgono quasi del tutto in un tribunale. Al contrario, il vero protagonista del film è proprio Michael Clayton: un avvocato che non fa il patrocinatore ma e una sorta di "spazzino". Lui opera a bordo campo, in una sorta di zona grigia dove i problemi vengono intercettati e incanalati per la miglior soluzione possibile.
È questa la figura che interessa di più.
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Un buon thriller che ha nell'interpretazione e nella sceneggiatura i suoi punti di forza.
Clooney si conferma nelle sue doti di attore versatile e di grande presenza scenica.
Anche i non amanti del genere possono seguire con interesse le vicende del protagonista. Perché non ci troviamo in uno di quei film che si svolgono quasi del tutto in un tribunale. Al contrario, il vero protagonista del film è proprio Michael Clayton: un avvocato che non fa il patrocinatore ma e una sorta di "spazzino". Lui opera a bordo campo, in una sorta di zona grigia dove i problemi vengono intercettati e incanalati per la miglior soluzione possibile.
È questa la figura che interessa di più. Un uomo diviso, con la vita privata che và a rotoli, debiti, problemi di dipendenza dal gioco ed un "lavoro" cupo a dir poco.
Si può cambiare vita? Troviamo il coraggio di fare scelte difficili proprio nei momenti più duri? Abbiamo ancora una coscienza? E che cosa ci dice?
Così l'uomo comune può essere eroe se trova il coraggio di andare in fondo, di andare a fondo.
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paolobonanni
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martedì 12 luglio 2016
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appassionante
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film che rispecchia la realta del mondo di oggi dove il denaro la fa da padrone sulla pelle degli altri.
cloney nel ruolo piu perfetto
l'avvocato tina oscar meritato...
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renato c.
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sabato 20 settembre 2014
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giallo imprenditoriale
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Intrighi nell'ambiente dell'imprenditoria, dove il dio denaro prevale sopra ogni cosa. Solo alla fine, Michael Clayton decide di preferire a 10 milioni di dollari, vendicare l'assassinio dell'amico Arthur e l'attentato fatto a lui stesso registrando la confessione della "cattiva di turno". Ottime le interpretazioni di George Clooney, Tilda Swinton (cattiva dall'aspetto bonario), Tom Wilkinson e Sydney Pollack. Classificato come drammatico, io lodescriverei più come giallo.
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gianleo67
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giovedì 2 maggio 2013
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la pianta malata del sogno americano
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Avvocato di mezza età, separato e con problemi economici, è lo scomodo testimone di un omicidio perpetrato ai danni di un suo collega in crisi di coscienza, da parte di una multinazionale del settore biotecnologico che il suo studio difende in una complicata e miliardaria class action. Tra la difficile soluzione dei suoi problemi personali e l'ambiguità del suo ruolo professionale rischierà non poco per far emergere la verità e riaffermare la sua posizione.
Già apprezzato sceneggiatore per la trilogia di 'Jason Bourne' e brillante autore di Hollywood il regista Tony Gilroy esordisce con questo appassionante 'legal thriller' sotto il segno di un cinema classico e spettacolare tra i meccanismi da fiction fantapolitica ('I tre giorni del condor' di S.
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Avvocato di mezza età, separato e con problemi economici, è lo scomodo testimone di un omicidio perpetrato ai danni di un suo collega in crisi di coscienza, da parte di una multinazionale del settore biotecnologico che il suo studio difende in una complicata e miliardaria class action. Tra la difficile soluzione dei suoi problemi personali e l'ambiguità del suo ruolo professionale rischierà non poco per far emergere la verità e riaffermare la sua posizione.
Già apprezzato sceneggiatore per la trilogia di 'Jason Bourne' e brillante autore di Hollywood il regista Tony Gilroy esordisce con questo appassionante 'legal thriller' sotto il segno di un cinema classico e spettacolare tra i meccanismi da fiction fantapolitica ('I tre giorni del condor' di S.Pollack, qui anche impegnato come attore in un ruolo non secondario) e il ritmo serrato e la complessità dialettica del thriller di impegno civile ('Tutti gli uomini del presidente' di A.J.Pakula) senza un eplicito citazionismo, ma rielaborando la lezione dei grandi autori americani al servizio di un tema scottante e attuale come quello del cinismo e dello strapotere delle grandi corporation dell'industria a stelle e strisce. Grazie alla sapienza di uno script in perfetto equilibrio tra un discorso sociologico e politico più alto e le vicissitudini di una dimensione umana combattuta e controversa, il film di Gilroy è già un'opera matura che si avvolge nella spirale di una involuzione etica alle radici della pianta malata del sogno americano,la grande mistificazione di una ideologia subdola ed insinuante, il progetto criminogeno, il volto enigmatico di un capitalismo ipertrofico come il giano bifronte di un dio perverso e spietato. La centralità di questo soggetto non nuovo (ma mai banale) nel cinema di genere viene efficacemente coniugata attraverso la mistica antieroica dell'innocenza perduta, dove emergono le ragioni antitetiche di un uomo combattuto tra la lenta deriva di una dimensione personale inconcludente e fallimentare e la inesorabile tentazione di un riscatto umano e professionale, come l'agente braccato dei 'Tre giorni del Condor' votato a scardinare la spietata e disumana protervia di un sistema occulto e ineffabile di cui pure egli è una pedina importante. Efficace e credibile il disegno dei personaggi (un Geoge Clooney di rara intensità e bravura ed una Tilda Swinton che incarna con naturale edonismo l'ambiguo e vile servilismo dei comprimari del potere) per un meccanismo narrativo impeccabile entro la perfetta quadratura di una sceneggiatura solida e che gode di momenti di riuscita efficacia figurativa (l'immagine folgorante e improvvisa dei cavalli bradi come un provvidenziale richiamo verso la salvezza, la scena finale delle scale mobili come mesto e ironico contrappasso di destini divergenti) fanno di questo film un esempio di quella intramontabile tradizione dell'artigianato hollywoodiano che sa coniugare indissolubilmente impegno e intrattenimento in una perfetta sintesi di stilemi e tematiche riconoscibili e apprezzate dal grande pubblico come dalla critica piu' intransigente. Oscar come miglior attrice non protagonista a Tilda Swinton e una quantità di nomination. Meravigliosa filogenesi di un cinema che si riproduce per partenogenesi.
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mauro lanari
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giovedì 11 aprile 2013
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omero e l'eterodeterminazione
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Mauro Lanari e Orietta Anibaldi
“Michael Clayton” è l’unico “legal-thriller” metafisico a noi noto. Il regista Gilroy lavora incessantemente per sottrazione, cavandone fuori un’opera sommessa, dimessa, disadorna, spoglia al limite dell’underground. Un po’ Bresson e un po’ Michelangelo, per volare alti. Di Bresson c’è quell’insistere sulle scene madri sempre fuori inquadratura e fuori sceneggiatura, come se il canovaccio da rappresentare fosse ormai logoro e la realtà della natura maltrattasse i personaggi umani trascurandoli, non ponendoli al centro né dell’attenzione né dell’immagine.
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Mauro Lanari e Orietta Anibaldi
“Michael Clayton” è l’unico “legal-thriller” metafisico a noi noto. Il regista Gilroy lavora incessantemente per sottrazione, cavandone fuori un’opera sommessa, dimessa, disadorna, spoglia al limite dell’underground. Un po’ Bresson e un po’ Michelangelo, per volare alti. Di Bresson c’è quell’insistere sulle scene madri sempre fuori inquadratura e fuori sceneggiatura, come se il canovaccio da rappresentare fosse ormai logoro e la realtà della natura maltrattasse i personaggi umani trascurandoli, non ponendoli al centro né dell’attenzione né dell’immagine. Noi non siamo i protagonisti di nulla. Invece di Michelangelo c’è l’esatto contrario: siamo proprio noi i protagonisti, antropocentricamente e senza alcun rimando interessante al contesto ambientale. Noi, infatti, siamo esseri autocoscienti e dunque gl'unici ad avere consapevolezza dello sfascio generalizzato.
Il film è quadripartito: 4 giorni, 3 cavalli e un’esplosione del cavallo-macchina. I soliti rinvii biblici al veggente di Patmos e alla sua apocalittica quadri-rivelazione: ma in questo caso a cosa allude? Non c’è vittoria in Clayton, il suo essere Michael, “Michele”=”Chi come Dio?” riceve una risposta ancora negativa. La rivelazione personale ricevuta da Clooney è che a lui, in quanto rappresentante d’una legge solo umana, non è consentito il potere d’una redenzione retroattiva in favore di tutte le vittime che hanno già lastricato la Storia. Infatti il bisogno d’una salvezza radicale va spinto “sino ad arrivare all’idea di un assetto del mondo dal quale sarebbe eliminata non solo la sofferenza esistente, ma revocata anche quella irrevocabilmente trascorsa” (Adorno, “Dialettica negativa” [1966, 2004], p. 361).
È stato detto e scritto che la quadrilogia di Gilroy s’inserisce nel filone inaugurato da “Memento”, l’interrogarsi sulla fragilità della memoria e sul nostro senso d’identità. Le date di distribuzione possono servire come conferma: il film di Nolan risale al 2000, mentre “The Bourne Identity” è di appena due anni dopo. Eppure Gilroy punta a smentire proprio la tesi di “Memento”, la tesi secondo cui le amnesie autobiografiche anterograde sono causate da un trauma specifico e non aspecifico, e di tipo organico invece che psichico. Anche Fincher, nella prima parte di “Fight Club” (1999), mostra solo gruppi di Auto Mutuo Aiuto per difficoltà d’ordine biologico, quando invece i gruppi AMA più numerosi sono quelli per disagio esistenziale. Insomma, al volgere del terzo millennio Gilroy lascia intendere di voler reindirizzare la filosofia del soggetto come un nuovo Forman tornato per aggiornare la denuncia dell’ideologia di psichiatri e neuroscienziati. Ma il suo capovolgimento rispetto a Nolan è ancora più profondo. Infatti, dopo aver ricondotto l’eziopatogenesi della mente al vissuto personale e impersonale, egli sostiene pure che la soluzione delle singole storie individuali non si dà in alcun modo proprio sul piano gnoseologico e localistico, bensì su quello ben più drastico della Storia che necessita d’essere rimpiazzata ontologicamente e globalmente.
Ancor prima del totale sfascio della componente non profilmica in “Michael Clayton”, già nella trilogia di Jason Bourne si assiste a un crescendo nel degrado cromatico della fotografia, che regredisce a una desaturazione cromatica da pellicola degli anni ’70. Potrebbe essere un semplice tributo del regista Greengrass al film di riferimento “Il giorno dello sciacallo” (1975), ma potrebbe anche simboleggiare l’indagine a ritroso nel passato del protagonista alla ricerca della sua identità. Però il problema della filosofia del soggetto non consiste nella prospettiva né di questo primo Gilroy né del Nolan di “Memento”. Che un trauma sia aspecifico e sia anche psichico, non esclude affatto che esso sia comunque frutto d’un condizionamento bioculturale che s’impone rispetto a ogni benigno tentativo d'autodeterminazione. Se il capitano David Webb scopre d’essere diventato un killer implacabile intenzionalmente, deliberatamente, coscientemente, significa solo che egli non ha scavato ancora più a fondo nell’individuazione del retaggio operato dal bagaglio dei fattori genetici e psicopedagogici che, per concausa interazionistica, lo hanno forgiato proprio con quel preciso carattere, quella personalità, quell’inevitabile propensione alla pseudo-scelta omicida. Egli è una MACCHINA assassina nel senso più pieno della parola. La vera identità di Jason Bourne è (Ja)son Bo(u)rn(e), il “figlio/prodotto della sua nascita”. Egli è il capitano David(e) contro il Golia delle “monolitiche” leggi cosmiche della Storia, le quali hanno già deciso, deliberato, stabilito per lui, come già intuito da Omero che attribuiva le sorti dei propri personaggi alla fatale arbitrarietà del destino, alla destinale aleatorietà del fato. L’autodeterminazione è una qualità d’esclusiva appartenenza a una condizione divina. Ma, appunto, “chi come Dio”, “Michael”?
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marzaghetti
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giovedì 3 gennaio 2013
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densa e torbida storia di avvocati senza scrupoli
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Densa e torbida storia di avvocati senza scrupoli che un bel giorno si trovano faccia a faccia con la svolta della propria vita: c'è chi dà di matto, chi si incupisce ancora di più, e chi si riscatta un po' per coscienza e un po' per vendetta. Geniale l'introduzione prima del flash-back, che dà tensione narrativa a tutto il film. Bravissimo Clooney, che fa solo affiorare la disperazione di Clayton, e la Swinton, nervosa e fragile nel suo amaro cinismo. Valutazione: 3,5.
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beba69
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mercoledì 2 gennaio 2013
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inquietante
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Inquietante... perché? Perché non credo sia lontano dalla realtà. Il film è a tratti un po' lento, ma c'è un Clooney da 10 e lode che sostiene tutto. Bel film, ma ... da vedere una volta.
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zenos
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venerdì 7 settembre 2012
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un elogio alle dimenticate virtù umane.
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L'agire umano! La virtù! Il potere! Bendarsi e vivere passivamente o riscattare finalmente le proprie sofferenze? Giusto o sbagliato? Da chi siamo manipolati? Abbiamo speranza? La storia dell'avvocato Clayton è tutt'altro che un conflitto insanabile che va oltre il dramma. E' un elogio alle virtù umane oramai dimenticate in un mondo regnato da avidi personaggi pronti a tutto per abbeverare la sete di potere e di dearo. Questo film è anche un percorso di formazione di un personaggio, Micheal Clayton, stanco e senza più appoggi morali e umani che riesce a riscattarsi a partire dall'improvvisa "pazzia" portatrice di verità scomode che ha sconvolto il suo mentore.
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L'agire umano! La virtù! Il potere! Bendarsi e vivere passivamente o riscattare finalmente le proprie sofferenze? Giusto o sbagliato? Da chi siamo manipolati? Abbiamo speranza? La storia dell'avvocato Clayton è tutt'altro che un conflitto insanabile che va oltre il dramma. E' un elogio alle virtù umane oramai dimenticate in un mondo regnato da avidi personaggi pronti a tutto per abbeverare la sete di potere e di dearo. Questo film è anche un percorso di formazione di un personaggio, Micheal Clayton, stanco e senza più appoggi morali e umani che riesce a riscattarsi a partire dall'improvvisa "pazzia" portatrice di verità scomode che ha sconvolto il suo mentore.
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minnie
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lunedì 13 febbraio 2012
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"sono il pubblico ministero, adatto per tutto"
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Trovo questo film assolutamente perfetto; l'andamento ciclico non è una novità, ma il bello qui è che la fine è l'inizio, nel senso che proprio dalla fine nasce il riscatto di un personaggio, il bastonato dalla vita Clooney-Clayton, che fino a quel punto le ha solo prese con infinita rassegnazione. Trovo Clooney bravissimo in questo film, sembra proprio pazientissimo, a tratti persino ottuso dal dolore, ma è soltanto un personaggio riflessivo, che arriva senza lasciarlo a intendere alle stesse conclusioni a cui arriviamo noi spettatori che però conosciamo tutti i retroscena (Hitchcock insegna...). C'è qualche confusione proprio sulla situazione familiare del protagonista, un po' perso tra famiglia disastrata e moglie divorziata, ma il plot contro la multinazionale di cui la Swinton rappresenta il terribile braccio armato, è davvero calcolato al millimetro.
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Trovo questo film assolutamente perfetto; l'andamento ciclico non è una novità, ma il bello qui è che la fine è l'inizio, nel senso che proprio dalla fine nasce il riscatto di un personaggio, il bastonato dalla vita Clooney-Clayton, che fino a quel punto le ha solo prese con infinita rassegnazione. Trovo Clooney bravissimo in questo film, sembra proprio pazientissimo, a tratti persino ottuso dal dolore, ma è soltanto un personaggio riflessivo, che arriva senza lasciarlo a intendere alle stesse conclusioni a cui arriviamo noi spettatori che però conosciamo tutti i retroscena (Hitchcock insegna...). C'è qualche confusione proprio sulla situazione familiare del protagonista, un po' perso tra famiglia disastrata e moglie divorziata, ma il plot contro la multinazionale di cui la Swinton rappresenta il terribile braccio armato, è davvero calcolato al millimetro...e quei cavalli che lo salvano!!!Clayton resta una pietra miliare nella recitazione di Clooney. Bravissimo anche Wilkinson e Pollack.
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