gagnasco
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venerdì 9 luglio 2010
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il sogno di uno per tutti
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Un regista scappa nella bellissima Diamante per assecondare il suo ego snob, cosa che lo porta a "confrontarsi" con i paesani durante dei periodici cineforum. Tra gli indigeni tre giovani decidono di girare un cortometraggio per far vedere al "maestro" quanto valgono e nella loro confusa ricerca del metodo discriminano tra due voci di coscenza:il regista bucolico e un attore mondano di Roma che si trova a Diamante per una breve e noiosa vacanza.
Parte quindi una staffetta dei tre cineamatori tra il "sud" e roma, tra la calma piatta del mare che al massimo tira tre schizzi a una terrazzina e la frenesia della metropoli. Banale vero? Invece no perchè non si parteggia per una cosa in particolare, sono presentate tutte le sfumature di chi vive di ricordi, chi ambisce a un futuro, chi si limita a contemplare o odiare il presente, chi è terribilmente superficiale (gerard arriva perchè una bravissima Valeria Bruni Tedeschi ama un generico sud e vorrebbe tanto andarci).
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Un regista scappa nella bellissima Diamante per assecondare il suo ego snob, cosa che lo porta a "confrontarsi" con i paesani durante dei periodici cineforum. Tra gli indigeni tre giovani decidono di girare un cortometraggio per far vedere al "maestro" quanto valgono e nella loro confusa ricerca del metodo discriminano tra due voci di coscenza:il regista bucolico e un attore mondano di Roma che si trova a Diamante per una breve e noiosa vacanza.
Parte quindi una staffetta dei tre cineamatori tra il "sud" e roma, tra la calma piatta del mare che al massimo tira tre schizzi a una terrazzina e la frenesia della metropoli. Banale vero? Invece no perchè non si parteggia per una cosa in particolare, sono presentate tutte le sfumature di chi vive di ricordi, chi ambisce a un futuro, chi si limita a contemplare o odiare il presente, chi è terribilmente superficiale (gerard arriva perchè una bravissima Valeria Bruni Tedeschi ama un generico sud e vorrebbe tanto andarci)...ogni personaggio ha un sogno e i sogni montano e si mischiano arrivando a una gigantesca tavolata che riunisce tutti...ma a mischiare troppo...e poi i sogni (e/o i ricordi) se li porta via il vento.
Molto ben fatto. Nota per la pressante polemica interna al film rivolta al cinema onirico. Tutti tranne il regista Neri vogliono un cinema di fatti quotidiani, di cose reali, una fiction per dare solo "realtà" in pasto al pubblico...la realtà documentata dai ragazzi apparirà falsa perchè la telecamera vede ogni personaggio dagli occhi di ogni personaggio creando situazioni incongruenti e per questo vere diversamente dalla "realtà" finta di un reality e da quella ancora più finta di un politico.
Nota di demerito: i ragazzi sono inutilmente tre più una bionda, sembra di vedere l'odiosa band di una pubblicità dei telefoni (fatto apposta?perchè?)..
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giunilisbon
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giovedì 6 marzo 2008
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la piccola abbuffata
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C'era una volta il cinema italiano di gran qualità. Era basato su registi incredibilmente bravi in grado di fare da punto di riferimento anche a registi meno dotati, eppure con storie da raccontare. C'era una volta, ma non più. Su cosa si basa il cinema italiano di oggi? La domanda è retorica, ma ora più che mai necessaria come premessa. L'abbuffata di Mimmo Calopresti è un film che presenta le mille contraddizioni del cinema italiano attuale e soprattutto i limiti evidenti. La prima parte del film (che si regge quasi interamente sull'idea metacinematografica della realizzazione di un cortometraggio che segni la consacrazione per dei ragazzi calabresi) non è eccessivamente negativa, le bellezze di Diamante reggono le velleità di Calopresti che però collassa nel momento in cui la mano di un regista di livello darebbe il tocco in più.
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C'era una volta il cinema italiano di gran qualità. Era basato su registi incredibilmente bravi in grado di fare da punto di riferimento anche a registi meno dotati, eppure con storie da raccontare. C'era una volta, ma non più. Su cosa si basa il cinema italiano di oggi? La domanda è retorica, ma ora più che mai necessaria come premessa. L'abbuffata di Mimmo Calopresti è un film che presenta le mille contraddizioni del cinema italiano attuale e soprattutto i limiti evidenti. La prima parte del film (che si regge quasi interamente sull'idea metacinematografica della realizzazione di un cortometraggio che segni la consacrazione per dei ragazzi calabresi) non è eccessivamente negativa, le bellezze di Diamante reggono le velleità di Calopresti che però collassa nel momento in cui la mano di un regista di livello darebbe il tocco in più. La fabula abbandona completamente la possibilità di essere originali e le immagini di una Roma mecca del cinema non rendono l'idea di fondo. La banalità invade l'idea di partenza e tutto inizia a risuonare come un già visto. Storiella d'amore, il cinema spietato. La commedia finisce per scadere nel grottesco, soprattutto nei momenti in cui appare Nino Frassica, assolutamente incompatibile con un film serio. Diego Abatantuono dal canto suo ci prova ma il tentativo di rispolverare la profondità alla Salvadores o alla Avati, non gli riesce appieno. Detto questo, vale però la pena di sottolineare quanto poco questo film sia stato pubblicizzato e come nonostante la sua qualità non eccelsa, sia superiore anni luce a film adolescenziali, come quello di Moccia e di Muccino, che hanno usufruito di una ingiustificabile campagna mediatica. Se Calopresti non dà certo una mano al cinema italiano in crisi, non arreca nessun danno, ma anzi va apprezzato per il tentativo di produrre un film che rispolveri tematiche che hanno in parte reso grandi i registi del passato, pur non riuscendo chiaramente nel l'arduo compito di essere all'altezza. L'abbuffata probabilmente è, ai fatti, come un pasto leggero, ma già è qualcosa in paragone al digiuno totale o il veleno strapubblicizzato che si avvale dell'ignoranza in cui è sprofondato il popolo italiano sempre più amante del trash, imboccato ad hoc da chi sulla stupidità della gente ci vive, e sempre meno della cultura, a scapito dell'intelligenza.
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fabio
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venerdì 7 dicembre 2007
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cinema?
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Calopresti racconta con amore una storia a cui tiene particolarmente, con ingenuità, ma ancor più che nei suoi film precedenti il film appare lontano dal farsi cinema. La storia, scritta con una valida sceneggiatrice del cinema italiano, è a dir poco banale e priva di tutte le complessità e le tematiche che avrebbe potuto tirare in ballo. Tutti i luoghi comuni sul sud e la sua gente, Roma e il mondo del cinema, e la ragazza che fa disperare il protagonista per il suo flirt con l'attore famoso, la condanna dei reality e dei talk show televisivi vi trovano spazio. I dialoghi regalano qualche momento di freschezza e di divertimento, ma la mancanza di spessore dei personaggi contribuiscono a far cadere sotto tono anche attori come Abatantuono.
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Calopresti racconta con amore una storia a cui tiene particolarmente, con ingenuità, ma ancor più che nei suoi film precedenti il film appare lontano dal farsi cinema. La storia, scritta con una valida sceneggiatrice del cinema italiano, è a dir poco banale e priva di tutte le complessità e le tematiche che avrebbe potuto tirare in ballo. Tutti i luoghi comuni sul sud e la sua gente, Roma e il mondo del cinema, e la ragazza che fa disperare il protagonista per il suo flirt con l'attore famoso, la condanna dei reality e dei talk show televisivi vi trovano spazio. I dialoghi regalano qualche momento di freschezza e di divertimento, ma la mancanza di spessore dei personaggi contribuiscono a far cadere sotto tono anche attori come Abatantuono. Una fotografia sciatta, che spesso sembra utilizzare una luce naturale non per scelta stilistica ma per limiti produttivi. Ma la nota veramente dolente è la mancanza assoluta di un idea di cinema, figurativa e ritmica, che ci fa assistere ad un flusso incontenibile di immagini televisive, piatte, senza alcuna valenza figurativa e simbolica. A tratti però le sequenze della banda del paese e dell'abbuffata all'arrivo di Depardieu ci regalano momenti di allegria e di divertimento, e di una botta di vita del sud a base di sole, mare, buon cibo e tradizioni c'è sempre bisogno.
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kiaps
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venerdì 26 settembre 2008
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abbuffarsi.. di cinema italiano
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Forse "L'abbuffata" del titolo è tutta una metafora del cinema italiano. Osserviamo il film, e certe cose non ci tornano, il filo conduttore non quadra: Gerard Depardieu in un paesino come Diamante? Tre ragazzetti che si trovano ad importanti party fatto di personalità di spicco nella culturalmente plastica Roma? Un regista in crisi che passa il suo tempo ad osservare il lavoro di tre ragazzini e prestar loro materiale? E ancora: perché mai qualcuno dovrebbe essere interessato al vago - e assolutamente non originale - progetto di un cortometraggio da parte di tre giovani inesperti, senza alcuna conoscenza o qualità di spicco? Il film, che sul piano tecnico resta molto scadente, affronta questi confusi tasselli di un più ampio mosaico sul panorama cinematografico tricolore con una mentalità e un punto di vista tutto suo.
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Forse "L'abbuffata" del titolo è tutta una metafora del cinema italiano. Osserviamo il film, e certe cose non ci tornano, il filo conduttore non quadra: Gerard Depardieu in un paesino come Diamante? Tre ragazzetti che si trovano ad importanti party fatto di personalità di spicco nella culturalmente plastica Roma? Un regista in crisi che passa il suo tempo ad osservare il lavoro di tre ragazzini e prestar loro materiale? E ancora: perché mai qualcuno dovrebbe essere interessato al vago - e assolutamente non originale - progetto di un cortometraggio da parte di tre giovani inesperti, senza alcuna conoscenza o qualità di spicco? Il film, che sul piano tecnico resta molto scadente, affronta questi confusi tasselli di un più ampio mosaico sul panorama cinematografico tricolore con una mentalità e un punto di vista tutto suo. Possiamo ricondurre a questo film una denuncia verso il cinema italiano - e non solo verso il cinema - forse una critica non troppo forte, ma fine e tagliente. I tre ragazzi sono simbolo dell'entusiasmo di quelle centinaia di giovani che sognano di dirigere film ma restano amaramente disillusi da quella realtà in cui son le conoscenze e le raccomandazioni a farla da padrona, come insegna la parte svolta a Roma. Dunque, si ha una prima fase (1): la passione, il sogno ingenuo. Si passa alla seconda (2): la disillusione, il disincanto. Il giovane, impaziente di cominciare a lavorare, si rende conto che il supercommercializzato impero del cinema italiano, fatto di pseudocultura plastica tramandata dalle fiction televisive (eccelsa frecciatina nella prima parte del film), non riserva spazio alle nuove energie del grande schermo. Non sono l'originalità e la passione a fare la differenza, ma le raccomandazioni e il cavalcare l'onda del successo di pubblico (vedi Moccia, tanto per fare un esempio comunissimo). Si passa alla fase terza (3): l'abbandono. I giovani tornano a Diamante a testa bassa, insicuri e dubbiosi.
La sequenza di Depardieu appare inaspettata, ma sufficientemente significativa: l'Abbuffata a cui il titolo si riferisce è proprio quella del gran finale, che simboleggia la saturazione dell'arte da parte dello stereotipato modello (falso)culturale adolescenziale di questi ultimi anni. Depardieu incarna l'arte, il cinema indipendente e desideroso di passione, che si 'abbuffa' ma ne riesce sconfitto. Un'amara visione, condita da una regia mediocre, se non scadente. Il messaggio di fondo è pensato nel modo giusto. Mimmo Calopresti, da tenere d'occhio ora più che mai, poteva pensare a metterlo meglio in scena.
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