giulia gibertoni
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sabato 7 luglio 2007
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poteri deboli
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È un film incompiuto questo di Chabrol, nonostante il tentativo, nuovo nella sua filmografia, di dare una trattazione disincantata della corruzione ad alti livelli aziendali e del più grande mistero della fisica contemporanea: i buchi neri di denaro pubblico. Ed è un susseguirsi di situazioni ancorate a un’attualità fin troppo nota, che fanno riferimento alle quinte della politica e delle grandi aziende e al continuo e (neppure troppo) sussurrato mercanteggiare che costituisce la vera facciata di questo agire politico. Protagonisti della commedia in oggetto sono le aziende che cercano di ingraziarsi gli enti pubblici con tangenti ed assunzioni ad hoc, e gli uomini di paglia a capo di quelle stesse aziende che ricevono in cambio finanziamenti e spartizioni di denaro, possibilità di evasione fiscale variamente distribuita a seconda del livello e una parvenza di carriera almeno finché non si presenta un uomo di paglia più utile.
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È un film incompiuto questo di Chabrol, nonostante il tentativo, nuovo nella sua filmografia, di dare una trattazione disincantata della corruzione ad alti livelli aziendali e del più grande mistero della fisica contemporanea: i buchi neri di denaro pubblico. Ed è un susseguirsi di situazioni ancorate a un’attualità fin troppo nota, che fanno riferimento alle quinte della politica e delle grandi aziende e al continuo e (neppure troppo) sussurrato mercanteggiare che costituisce la vera facciata di questo agire politico. Protagonisti della commedia in oggetto sono le aziende che cercano di ingraziarsi gli enti pubblici con tangenti ed assunzioni ad hoc, e gli uomini di paglia a capo di quelle stesse aziende che ricevono in cambio finanziamenti e spartizioni di denaro, possibilità di evasione fiscale variamente distribuita a seconda del livello e una parvenza di carriera almeno finché non si presenta un uomo di paglia più utile. A un certo punto il pubblico ministero Charmant-Killmann comincia a porsi come arbitro in questa sequela di partite truccate e causa da subito non pochi inghippi nel rodato e untuoso meccanismo di questa gara di mediocri. In quanto tali, in fondo è facile scovarli, interrogarli, coglierli in castagna.
Di fronte a Jeanne, l’uomo di paglia medio ostenta diniego, sorriso falso e cravatta fluorescente su camicia rosa. Ma è più che mai facile smontare il suo castello di carte, proprio perché non è mai stato un castello vero se non nella sua testa.
Insomma sfilano gli interrogati, le querele e gli avvocati, piomba in mezzo al racconto anche una promozione-rimozione per il nostro valido magistrato. E intanto la sceneggiatura comincia a beccheggiare a non convince più quello stile tutto francese e casalingo di scriversi le trame e l’allegata pretesa di non dover rendere conto a nessuno dei salti e delle imprecisioni, dei personaggi che scompaiono e dei cambiamenti d’umore narrativo. Resta sotteso al film un tono generalmente qualunquista, che oppone la motivazione meccanica del magistrato a personaggi gonfiati, ma altrettanto facilmente sgonfiabili, vittime a loro volta di quel perfido dono di natura che è l’unione di ambizione sfrenata e di mediocrità oggettiva. Tono qualunquista che cozza infine con il titolo originale perché in fondo non c’è nessuna ebbrezza di potere, se non momentanea, nel magistrato Jeanne così come la descrive mastro Chabrol. Prevale invece la freddezza, che è poi la stessa che ci mette il regista nel girare. Altrettanto poco circostanziati e intercambiabili sono i personaggi secondari (il marito di Jeanne, il nipote del marito di Jeanne) e alcuni eventi che sembrano inseriti quasi a caso (il tentato suicidio del marito di Jeanne). Invece era potenzialmente interessante il cenno alla buona collaborazione tra Jeanne e la nuova collega; messe l’una accanto all’altra perché si ostacolino a vicenda per rivalità, trovano invece nella stima reciproca una ragione naturale per supportarsi professionalmente. Ma non ci sono innocenti in questa commedia umana dai risvolti patetici, non ci sono grandi, non ci sono nomi da ricordare. E scompariranno così i bulimici accumulatori di soldi e frodi, sia in proprio sia su commissione, per lasciare il posto ad altri, e poi ad altri ancora. Tutti uguali e tutti ugualmente dimenticati. E allo stesso modo non lascerà traccia di sé il fatalismo cinico della protagonista, che si lascia trasportare a sua volta da un vento d’ignavia in quella stessa commedia mal scritta.
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kondor17
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mercoledì 15 agosto 2012
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raffinato e convincente
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L'introspettor Chabrol si tuffa questa volta a capofitto nel malaffare d'oltre manica. E lo fa con la solita nonchalance tutta francese, descrivendo con sagace maestria del linguaggio scenico la corruzione economico-politico-giudiziaria che, ahimè-ahinoi, infetta anche la Francia; raccontandoci dagli occhi di un giudice come certe battaglie rivolte al mondo del malaffare e, perchè no, della criminalità organizzata sono destinate miseramente a fallire in un modo o nell'altro. Tantopiù quando lo stesso procuratore capo è al corrente ed esso stesso, in fondo corrotto.
Ma che sia proprio vero che le battaglie di Jean, di Falcone e Borsellino, di tutti i giudici che hanno tentato
con fortune alterne tale strada,
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L'introspettor Chabrol si tuffa questa volta a capofitto nel malaffare d'oltre manica. E lo fa con la solita nonchalance tutta francese, descrivendo con sagace maestria del linguaggio scenico la corruzione economico-politico-giudiziaria che, ahimè-ahinoi, infetta anche la Francia; raccontandoci dagli occhi di un giudice come certe battaglie rivolte al mondo del malaffare e, perchè no, della criminalità organizzata sono destinate miseramente a fallire in un modo o nell'altro. Tantopiù quando lo stesso procuratore capo è al corrente ed esso stesso, in fondo corrotto.
Ma che sia proprio vero che le battaglie di Jean, di Falcone e Borsellino, di tutti i giudici che hanno tentato
con fortune alterne tale strada, non siano servite a niente?
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odissea 2001
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martedì 24 aprile 2007
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troppo realismo, poca immaginazione
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Forse bisognerebbe calarsi nella realtà politico-giudiziaria francese per capire perchè un regista noto, affermato ed esperto come Claude Chabrol abbia deciso di confrontarsi con un tema ostico e sgradevole come quello del potere. Il potere è cinico, vorace, si inebria di se stesso. E il magistrato protagonista dell'opera, una gelida e tagliente Isabelle Huppert, è convinto di poter alla fine sconfiggere il mostro, di poterlo ingabbiare. Ma perchè raccontare una storia dal finale fatalista, spiegare con la cinepresa come va sempre a finire, come se non lo avessimo già visto centinaia di volte nella realtà prima ancora che al cinema? Forse Chabrol è un uomo, prima ancora che un regista, che non si rassegna, che sotto sotto spera prima o poi di essere smentito, che vuole segnare il limite dell'umano quando si trova alle prese con l'universo morale ma desidererebbe tanto che questo limite qualche volta potesse essere varcato.
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Forse bisognerebbe calarsi nella realtà politico-giudiziaria francese per capire perchè un regista noto, affermato ed esperto come Claude Chabrol abbia deciso di confrontarsi con un tema ostico e sgradevole come quello del potere. Il potere è cinico, vorace, si inebria di se stesso. E il magistrato protagonista dell'opera, una gelida e tagliente Isabelle Huppert, è convinto di poter alla fine sconfiggere il mostro, di poterlo ingabbiare. Ma perchè raccontare una storia dal finale fatalista, spiegare con la cinepresa come va sempre a finire, come se non lo avessimo già visto centinaia di volte nella realtà prima ancora che al cinema? Forse Chabrol è un uomo, prima ancora che un regista, che non si rassegna, che sotto sotto spera prima o poi di essere smentito, che vuole segnare il limite dell'umano quando si trova alle prese con l'universo morale ma desidererebbe tanto che questo limite qualche volta potesse essere varcato. Forse cerca un nuovo Gesù e non l'ha ancora trovato. Seguendo il ragionamento del regista e ribaltandolo: dove si trova alla fine la vera libertà se non sotto l'orizzonte della morale? Comunque il film risulta noioso e claustrofobico (l'ufficio del magistrato finisce per trasformarsi esso stesso in una cella, anche per lo spettatore) e continua a seguire il binario imboccato fin dall'inizio senza immaginazione, dimenticando - come diceva Wilde - che un romanzo, in questo caso un film, non deve essere per forza una copia carbonata del mondo in cui viviamo. Così si trasforma un'opera d'arte in una scontata anche se lucida e realistica fotografia dell'esistente. Che è così e così resta. Rappresenta il limite della nostra volontà e possiamo constatarlo tutti i giorni, nel micro e nel marcocosmo in cui ci muoviamo. Perchè raccontarlo, allora?
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