Rita Celi
La Repubblica
Dopo la commovente e straordinaria fuga di una comunità ebraica sul finto treno di deportati, Radu Mihaileanu torna a raccontare un nuovo viaggio, dall'Africa in Israele, e una nuova menzogna. Il protagonista anche questa volta si chiama Schlomo, come il pazzo del villaggio in Train de vie, ma nel nuovo film, Vai e vivrai è un bambino ospite di un campo profughi del Sudan dove nel 1984 migliaia di ebrei etiopi, i Falasha, aspettano di partire per Tel Aviv.
E qui nasce la bugia: la madre cristiana spinge il piccolo Schlomo a fingersi ebreo per salvarlo dalla carestia e dalla morte, mentre in realtà nessuno dei due è un discendente del popolo d'Israele. Il film sarà nelle sale italiane dal 4 novembre (circa 80 copie, distribuito da Medusa, che lo ha anche coprodotto insieme a Cattleya).
Il piccolo Schlomo arriva sano e salvo in Terra Promessa. Dichiarato orfano, è adottato da una famiglia di ebrei francesi, benestante e di sinistra, che vive a Tel Aviv. Cresce con la paura che qualcuno scopra il suo segreto e le sue menzogne: né ebreo, né orfano, solo nero. Conoscerà l'amore, il giudaismo e la cultura occidentale ma anche il razzismo e la guerra nei territori occupati. Diventerà ebreo, israeliano, francese, tunisino, ma non dimenticherà mai la vera madre rimasta in Sudan e che segretamente e ostinatamente sogna di potere ritrovare.
Ci sono voluti cinque anni per far tornare Mihaileanu dietro la macchina da presa. "Dopo l'enorme successo di Train de vie" spiega l'autore, a Roma per presentare il film, "c'erano molte pressioni e attese per il mio film successivo. Ma oggi viviamo in un mondo dominato dalle immagini, e sono tornato a girare solo dopo aver trovato la storia che volevo raccontare".
"Mi ricordavo dell'operazione Mosè e della rimpatriata degli ebrei etiopi in Israele nel 1984", spiega il regista (che ha raccontato la vicenda anche nel romanzo Vai e vivrai, edito da Feltrinelli), "ma non mi ero mai reso conto dell'enormità di questa avventura umana. Poi grazie a un incontro con un Falasha, a Los Angeles, ho capito che in tutta questa storia loro erano rimasti delle comparse. Quest'uomo mi ha raccontato la sua epopea, il suo viaggio a piedi fino al Sudan dove tutti gli ebrei erano in pericolo di morte, la vita nei campi dei rifugiati, la loro accoglienza e le loro difficoltà in Israele. Ero allo stesso tempo commosso e indignato dal fatto che non se ne sia parlato prima. Ho iniziato così ad approfondire, e ciò ha alimentato la mia emozione, il mio desiderio di conoscere meglio i Falasha e, poco a poco, la voglia di dedicare loro un film".
La menzogna è anche in questo caso all'origine della vicenda che si sviluppa nel film. "Forse questo è legato al fatto che mio padre, che si chiamava Buchman, ha dovuto cambiare nome durante la guerra, per sopravvivere. È diventato Mihaileanu per poter affrontare il regime nazista, e in seguito quello staliniano. Da piccolo, insieme ai miei fratelli, ho studiato tutte le lingue perché non sapevamo dove saremmo andati. Ho dovuto lasciare la Romania e ho sempre sofferto per il fatto di essere chiamato 'straniero' ovunque mi trovassi. Oggi considero questa mia duplice identità una ricchezza. Ecco perché i miei personaggi hanno delle difficoltà enormi alla partenza e si fanno prendere per qualcuno che non sono, in modo da liberarsi da loro stessi e tentare di costruire un ponte verso gli altri".
"Ma il tema dell'identità", prosegue Mihaileanu, "riguarda qualsiasi persona costretta a lasciare il proprio Paese. E' un tema tipicamente ebraico, ma è anche universale perché tutti quelli che sono stati costretti a ricostruirsi una vita in un paese straniero si portano dietro il bagaglio dell'identità e dell'umorismo, unica arma per sopravvivere in certe circostanze. E questo film è la versione etiope di E.T. in cui un bambino cerca sempre di tornare a casa".
Il film è diviso in tre capitoli, come il titolo francese originale, Va, vis et deviens (vai, vivi e diventa). "Va è lo sradicamento e il viaggio verso la sopravvivenza, vis rappresenta l'adolescenza, l'incontro amoroso e la riconciliazione con la vita. Deviens è il compimento del proprio destino: il divenire semplicemente uomo, e realizzare quella lacerazione di cui parlava sua madre precedentemente".
Il piccolo Schlomo diventa grande in una realtà spesso ostile. "La società israeliana è variegata, come qualsiasi altra, ma a me interessava raccontare l'aspetto umano. E tra gli israeliani ci sono naturalmente comportamenti diversi, si trovano persone che accolgono gli etiopi a braccia aperte, come la famiglia adottiva di Schlomo, ma anche persone che li respingono. Io non ho voluto nascondere la molteplice realtà d'Israele che, contrariamente a quanto si pensa spesso, è un paese come tanti altri. La realtà del Paese è rappresentata dal padre adottivo: è giovane, bello, ricco, ha una bella moglie e adotta un bimbo nero. Poi le cose vanno male, si è stancato di portare avanti battaglie in cui non crede più, ma non lascia Israele, il suo Paese".
A interpretare Schlomo da grande è Sirak M. Sabahat, un attore di 24 anni, nato nel nord dell'Etiopia e trasferito in Israele con il secondo esodo, nel '91, quando nel suo Paese c'era la guerra. "La mia storia è molto simile a quella di Radu e del piccolo Schlomo. Con la mia famiglia abbiamo impiegato un anno per raggiungere Addis Abeba, facendo migliaia di chilometri a piedi. Durante il viaggio abbiamo perso molte persone care e poi, solamente con dei vestiti, come bagaglio, ci hanno imbarcati in aerei militari, durante un'operazione chiamata 'Salomone', e finalmente siamo arrivati alla Terra promessa". Ma è stato solo l'inizio. Oggi è un attore emergente, con un futuro davanti e alcune certezze: "Il colore della mia pelle è una condizione con cui dovrò fare i conti per tutta la vita. Ma la cosa che conta è la famiglia, dove c'è la tua famiglia, c'è la tua casa".
Da Repubblica.it, 24 ottobre 2005
di Rita Celi, 24 ottobre 2005