Roberto Nepoti
La Repubblica
Se la prima puntata delle avventure degli X-Men, diretta nel 2000 da Bryan Singer, vi era piaciuta, allora non c'è problema: in X-Men 2 tutto è come allora. Restano sostanzialmente invariati i personaggi: il professor Xavier, maestro dei mutanti buoni, e Magneto, mèntore di quelli cattivi; Jean Grey, dai poteri telepatici; Tempesta, capace di manipolare gli elementi naturali; Cyclope, con lo sguardo che uccide; Rogue e Wolverine, i più drammatici perché ossessionati da problemi personali. C'è anche Mysteria, un po' seducente, un po' repellente, in grado di assumere qualsiasi forma desideri.
Semmai, al gruppo la seconda puntata si preoccupa di aggiungere un certo numero di new-entries, tra le quali un tenero mostro caudato dall'accento tedesco, somigliante all'androide Data di Star Trek, un ragazzo che manipola il fuoco, un altro che domina il ghiaccio, più una covata di cuccioli mutanti educati alla scuola di Xavier (sul nostro pianeta continuano a nascere bambini dal codice genetico modificato, dotati di straordinari poteri).
Gli eroi della serie hanno tuttora problemi con la sessualità: come vuole la tradizione del genere, ogni personaggio "mostruoso", buono o cattivo, è il portatore di un'impossibilità sessuale. Resta identico il restyling imposto tre anni fa ai costumi dei supereroi com'erano nei fumetti di culto Marvel: più cupi rispetto ai disegni, più sexy nella loro materialità tra pelle e latex. In fondo, dal primo al secondo episodio non è cambiato nemmeno il soggetto.
Nel 2000 gli X-Men dovevano difendersi da un politico corrotto di nome Kelly, deciso a sterminarli in quanto "diversi" (ma la morale della favola non va al dilà dell'equazione mutanti/diversi); questa volta, invece, sono costretti a sventare le minacce di Stryker, uno scienziato militare che li odia per ragioni private e vuole cancellarli dalla faccia della Terra. Le mutanti femmine sono di sontuosa bellezza (Halle Berry, Rebecca Romijn-Stamos, Famke Janssen); i combattimenti salgono in cielo e si sprofondano sotto i ghiacci, per non far mancare nulla allo spettatore pagante; c'è, in apertura, perfino un attentato al Presidente Usa, con sovraesposizione di effetti digitali piuttosto efficaci. Ciò non toglie che il film (a tutti i motivi elencati sopra, si può aggiungere la regia di Singer) spiri un'aria di déjà-vu: le immagini si rivolgono al pubblico esattamente con le stesse modalità dell'altra volta, reintroducendolo nell'azione come se fosse uscito dalla sala da pochi giorni, anziché da tre anni.
Probabilmente siamo di fronte a un nuovo tipo di serialità, più televisiva che cinematografica; il cui l'effetto però, malgrado la dovizia dei mezzi produttivi, appare riduttivo, un po' usa-e-getta.
Da La Repubblica, 03 maggio 2003
di Roberto Nepoti, 03 maggio 2003