golpecurto
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sabato 15 aprile 2006
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le stagioni dell'anima
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Film intenso ma delicato, pura poesia estetica e contenutistica, contemplativo, si esce rasserenati dalla visione, oltre agli intenti moralistici e spirituali propri del cinema orientale, ho apprezzato lo sforzo del regista nel ricercare la verità ed anche la crudeltà dell'animo umano, in continuo altalenarsi di purezza, peccato e redenzione.
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elettra84
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martedì 2 ottobre 2012
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ricco e profondo
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Il tempo del film è effettivamente lento ma si riempe di tutte le riflessioni interiori.
Ho dato moltissime interpretazioni.
Ho notato che ogni stagione è caratterizzata da un animale diverso:
- la primavera, il cane
- l'estate il gallo
- autunno il gatto
- l'inverno il serpente
- e la nuova primavera la tartaruga.
Il cane: il bambino è fedele al maestro, esplora ma ammette di aver fatto un errore e si corregge.
il gallo, il ragazzo va alla conquista
il gatto, l'uomo torna quando ha bisogno. E' nei guai e torna dal maestro
Il serpente, è la lotta.
la tartaruga, uhm.
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Il tempo del film è effettivamente lento ma si riempe di tutte le riflessioni interiori.
Ho dato moltissime interpretazioni.
Ho notato che ogni stagione è caratterizzata da un animale diverso:
- la primavera, il cane
- l'estate il gallo
- autunno il gatto
- l'inverno il serpente
- e la nuova primavera la tartaruga.
Il cane: il bambino è fedele al maestro, esplora ma ammette di aver fatto un errore e si corregge.
il gallo, il ragazzo va alla conquista
il gatto, l'uomo torna quando ha bisogno. E' nei guai e torna dal maestro
Il serpente, è la lotta.
la tartaruga, uhm... è un animale lento, saggio, credo che possa racchiudere la figura del maestro.
La primavera è la crudeltà innociente del bambino, è la sperimentazione. Inoltre lì scopre la compassione. C'è anche la morte. Quindi è nascita e morte.
L'estate è l'esplosione della natura e dell'uomo, non occorrono commenti.
L'autunno è complesso, è il deserto dell'anima, certo lui nel film ha ucciso, ma potrebbe essere la metafora di un delitto molto più banale, di quelli che si commettono ogni giorno e che ti lasciano il vuoto.
La voglia di fuggire dell'uomo, attraverso il suicidio, è bloccata dal maestro che lo esorta ad affrontare il suo destino. E lo affronta purificato. Il maestro non è crudele in questa fase, è disperato. Il figliol prodigo è tornato, è tornato sporco e vuole morire sporco. Quindi quello del maestro è un tentativo di salvare perlomeno la sua anima.
L'inverno è la rinascita. Fuori c'è il gelo, ma l'uomo ha cominciato già il suo disgelo interiore e soprattutto la Sua lotta. Non è più il suo maestro a lottare per lui.
E ancora primavera... il ciclo ricomincia. Oppure COMINCIA, perchè potrebbe essere un flash back di tutta la storia del maestro e del primo bambino.
Il ciclo dell'uomo sarà sempre il medesimo, e seppure ci siano degli uomini che sono maestri e che sanno già la verità, l'uomo deve esplorare e provare e passare dalla gioia, al dolore, al deserto, alla purificazione, alla salvezza, alla rinascita.
Le porte sono un altro elemento meraviglioso. Sono il rispetto. Non ci sono muri, inizialmente mi ha fatto sorridere, poi ho compreso quanto invece fosse un segno di grande rispetto entrare dalla porta, nonostante si potessi passare dal "non muro". Si deve passare sempre dalla porta d'ingresso, e non dai laterali...
La fotografia è eccezionale. Il posto incantevole.
Credo anche però che dalla "città" e le sue trappole l'uomo debba passare per forza o non ha modo di lottare.
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antonio
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giovedì 5 marzo 2009
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eterno come il ciclo della vita
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Davvero un film spettacolare. Fotografia trascendentale, eterna, struggevole, intensa, magnifica, da lasciati con il fiato sospeso. Kim Ki-Duk è un vero artista, un maestro. Solo lo spettacolare paesaggio mutevole stagione dopo stagione, basterebbe a spiegare l'intero film. Il tempo scorre...il bimbo diventa adulto e poi vecchio, intanto le foglie da verde smeraldo della primavera e dell'estate, divengono sempre più gialle e caduche in autunno per poi scomparire completamente in inverno; ma come per magia, come una grande catena che aggangia il suo ultimo anello con il primo, il "vecchio bimbo" rinasce, e così il grande motore della vita riprende a pulsare! E' primavera!
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virgy dreamer
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domenica 13 settembre 2009
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l'uomo, le sue passioni... e le sue stagioni
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E' davvero affascinante la ciclicità, il ripetersi sempre uguale di tutte le cose. La circolarità di tutta la natura è propria anche dell'uomo, delle sue passioni e anche delle sue redenzioni. L'uomo segue lo stesso corso delle stagioni. Il luogo perso tra montagne e vegetazione sembra una sorta di bolla, di microcosmo isolato dal resto, un modello in miniatura che vuole esprimere nel suo piccolo lo svolgersi e il ripetersi della vita nel mondo. Anche se spesso si coglie il forte contrasto tra quella sperduta oasi di meditazione e il mondo in cui il giovane tenta di trovare la sua libertà: il primo fatto di ascesi,"nirvana", liberazione dalle passioni terrene e dal dolore, di pace, simbiosi e rispetto della natura e della persona, l’altro fatto di dolori, frustrazioni, passioni d’amore effimere, tradimenti e morte senza che si sappia trovare un distacco, una via di liberazione.
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E' davvero affascinante la ciclicità, il ripetersi sempre uguale di tutte le cose. La circolarità di tutta la natura è propria anche dell'uomo, delle sue passioni e anche delle sue redenzioni. L'uomo segue lo stesso corso delle stagioni. Il luogo perso tra montagne e vegetazione sembra una sorta di bolla, di microcosmo isolato dal resto, un modello in miniatura che vuole esprimere nel suo piccolo lo svolgersi e il ripetersi della vita nel mondo. Anche se spesso si coglie il forte contrasto tra quella sperduta oasi di meditazione e il mondo in cui il giovane tenta di trovare la sua libertà: il primo fatto di ascesi,"nirvana", liberazione dalle passioni terrene e dal dolore, di pace, simbiosi e rispetto della natura e della persona, l’altro fatto di dolori, frustrazioni, passioni d’amore effimere, tradimenti e morte senza che si sappia trovare un distacco, una via di liberazione. Nella cultura buddista ogni desiderio è un male perché fonte di sofferenza e il vecchio monaco, poi, ricorderà al suo allievo, ormai assassino, la natura malvagia del mondo che egli aveva scelto incoscientemente da giovane. Ora il nuovo cammino di redenzione è del tutto simile a quello della sua infanzia, forse anche più doloroso a causa della coscienza e delle responsabilità che sempre gravano su di un adulto, che comunque non sembrano essere inesistenti nemmeno nel fanciullo che se avrebbe trovato anche solo uno dei tre animali morti, “ne avrebbe portato il peso sul cuore per tutta la vita” e che si ritrova a piangere amaramente di fronte al pesciolino e al serpente morti. Quelle scene iniziali di tortura gettano una grande ombra sulla natura dell’uomo, nonché su quella del bambino che nemmeno sembra sfuggire al male insito dentro di sé. Il fascino di questo film sta anche nei suoi silenzi. La storia, i rapporti che legano le persone sono fatti di sguardi, gesti, situazioni, raramente di parole o di dialoghi. Il giovane e la ragazza diventano importanti, indispensabili l’uno per l’altro con le loro presenze fisiche, gli sguardi furtivi, i gesti e il linguaggio del corpo. Diventano inseparabili prima di aver scambiato una parola. Il maestro, invece, si fa sentire con la sua continua presenza, col suo costante vegliare sul suo allievo. Non c’è sua azione che non sia implicitamente sottoposta alla critica del maestro che è sempre lì, portatore di una visione del mondo infinitamente più saggia e matura. Tutte le parole e i dialoghi taciuti sembrano scavare un abisso tra noi e quella lontana cultura orientale. Così come ai nostri occhi la condanna della sessualità potrebbe sembrare un inutile e dannosa repressione. E’ un film pieno di spiritualità questo, che rompe i legami con il mondo e la contingenza e sembra volerci comunicare l’essenza dell’ essere umano e di tutta la natura che gli si anima attorno.
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capitan_gian
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martedì 15 febbraio 2011
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l'eterno cerchio esistenziale
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La forma della vita vista con gli occhi del pensiero orientale. Il cerchio, il ritorno, la ruota, la ripetizione, l'illuminazione. Questo film è pura poesia buddhista.
Non ci sono cambi repentini di scenografia, l'ambientazione è unica e ricorrente, il luogo sempre lo stesso.
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La forma della vita vista con gli occhi del pensiero orientale. Il cerchio, il ritorno, la ruota, la ripetizione, l'illuminazione. Questo film è pura poesia buddhista.
Non ci sono cambi repentini di scenografia, l'ambientazione è unica e ricorrente, il luogo sempre lo stesso. Le quattro stagioni della vita, più una. La primavera come nascita, come apprendimento, come giovinezza. L'estate come il calore del corpo, la passione, la trasgressione, la voglia di conoscere nuovi orizzonti. L'autunno come caducità, come peccato, come morte, fatica e dolore. L'inverno come espiazione, come riconquista dei valori, come maturità, come saggezza e ascetismo. E infine di nuovo la primavera, il cerchio si chiude, anzi, si riapre per un nuovo ciclo vitale. La conoscenza passa da una mente all'altra come un soffio di vento sugli fronde degli alberi del lago.
In mezzo tanti piccoli gesti e sguardi, tanta saggezza mai parlata, mai urlata, mai realmente espressa. C'è anche un pizzico di magia orientale; c'è una sorta di ritmo fluttuante, un ritmo cullato da onde impercettibili, c'è una barca che si muove col pensiero, c'è l'acqua che purifica, il ghiaccio che si fa scultura, il legno che graffia e punge come gli errori della vita.
Ogni elemento all'interno di questo percorso visivo ha un significato. Gli animali, che sembrano far parte di una cornice ambientale, portano con sè delle forti simbologie adattabili ai momenti salienti del film; il cane come ingenuità, il pollo come lussuria, il gatto come pigrizia e così via.
Per alcuni aspetti, questo film può essere compreso soltanto conoscendo realmente la religione buddhista, essendone la completa trasposizione ed esemplificazione. Alcuni passaggi, alcuni elementi, alcuni gesti per il nostro tipo di cultura vengono visti e valutati esclusivamente come puri gesti senza senso. Il monaco che usa la coda del gatto come pennello, il gallo che passeggia davanti alla telecamera in determinate scene, le porte senza muri che vanno attraversate lo stesso. Tanti sono gli elementi che in qualche modo passano inosservati ai nostri occhi. Il film diventa così una raffinata cartolina buddhista, da gustare e riguardare, ma anche da studiare. Si possono capire certi passaggi solo documentandosi realmente.
Oppure si può restare delicatamente sospesi tra punti di domanda e misticismo senza risposta, e tenersi dentro ciò che si è compreso. E' un'opera poetica, ricca come un quadro o come un libro dalle tante pagine. Semplici o complicate come la vita, anche qui dipende con quali occhi le si guarda.
C'è, in quest'opera, una forte capacità di raccontare una storia, delle storie, senza bisogno di dialoghi. Il silenzio dell'anima messo a nudo. E c'è un uso sapiente della cinepresa. Fotografia mozzafiato, cartoline di un mondo-non mondo fatto di acqua, di umidità, di tradizione, di ascetismo, di misticismo. Natura e vita, vita e natura.
La vita composta da tante stagioni, la vita che percorre una strada che non finisce col corpo. Va oltre, continua, si ripete, si rigenera.
Un film delicato e purificante, un film colmo di significati raffinati e forte simbolismo spirituale.
Un film silenzioso e minimalista, opposto a tutte le produzione cinematografiche degli ultimi tempi.
Un film fotografico e silenzioso come il tempo.
Da vedere, e non solo.
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stefano capasso
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lunedì 19 gennaio 2015
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il ciclo delle stagioni come ciclo evolutivo
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In un piccolo monastero su un lago un monaco addestra alla vita un bambino nell’alternanza regolare delle stagioni. Quando, ormai giovane ragazzo, arriva dalla città una ragazza per curare la sua infelicità, si innamora di le e capisce che è tempo di vivere le passioni della vita mondana. Tornerà diversi anni dopo, dopo aver attraversato tante esperienze, pronto a prendere il posto del vecchio maestro
Film, questo di Kim Ki Duk, ricco di poesia. Le immagini e i suoni prendono tutta la scena intervallate da rari dialoghi. La casa sul lago è il centro della storia e da questa casa che rappresenta l’istanza dell’anima si avvicendano le esperienze della vita. L’acqua è presente sempre, l’acqua che è simbolo delle emozioni con cui l’uomo si trova sempre a fare i conti.
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In un piccolo monastero su un lago un monaco addestra alla vita un bambino nell’alternanza regolare delle stagioni. Quando, ormai giovane ragazzo, arriva dalla città una ragazza per curare la sua infelicità, si innamora di le e capisce che è tempo di vivere le passioni della vita mondana. Tornerà diversi anni dopo, dopo aver attraversato tante esperienze, pronto a prendere il posto del vecchio maestro
Film, questo di Kim Ki Duk, ricco di poesia. Le immagini e i suoni prendono tutta la scena intervallate da rari dialoghi. La casa sul lago è il centro della storia e da questa casa che rappresenta l’istanza dell’anima si avvicendano le esperienze della vita. L’acqua è presente sempre, l’acqua che è simbolo delle emozioni con cui l’uomo si trova sempre a fare i conti. C’è bisogno di passare attraverso l’esperienza della vita mondana, quindi vivere pienamente tutte le passioni per poter accedere ad una fase avanzata dello sviluppo evolutivo dove le emozioni possono essere gestite sul piano psichico. E poter concludere la propria esperienza ad un più alto livello spirituale. I 4 elementi terra acqua aria fuoco sono presenti nel film a simboleggiare le 4 istanze dell’uomo, il corpo fisico, le emozioni, il piano psichico e la spiritualità. Perché il mare di emozioni in cui siamo immersi posso trasformarsi nel modo in cui vengono vissute
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luca scialo
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martedì 22 dicembre 2020
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il ciclo della vita avvolto di misticismo
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L'alternanza delle stagioni della natura quale metafora dell'alternanza delle stagioni della vita. Il tutto avvolto nel misticismo di un tempo buddista, circondato da una avvolgente natura. Ma non si tratta solo di linearità e religione. Qui la quietudine profusa dal silenzio della natura e dalla fede negli dei, viene interrotta dalla violenza e dall'errare umano. Dunque, sorprende e non viaggia nella scontatezza che le ambientazioni e la trama potrebbero indurre ad immaginare. Una operazione già vista negli anni '90 con Sette anni in Tibet, per esempio. Kim Ki-Duk ci consegna un altro film che induce a riflettere sul senso della vita, dunque, e lo fa a modo suo scavalcando ogni canovaccio collaudato.
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L'alternanza delle stagioni della natura quale metafora dell'alternanza delle stagioni della vita. Il tutto avvolto nel misticismo di un tempo buddista, circondato da una avvolgente natura. Ma non si tratta solo di linearità e religione. Qui la quietudine profusa dal silenzio della natura e dalla fede negli dei, viene interrotta dalla violenza e dall'errare umano. Dunque, sorprende e non viaggia nella scontatezza che le ambientazioni e la trama potrebbero indurre ad immaginare. Una operazione già vista negli anni '90 con Sette anni in Tibet, per esempio. Kim Ki-Duk ci consegna un altro film che induce a riflettere sul senso della vita, dunque, e lo fa a modo suo scavalcando ogni canovaccio collaudato. Il giovane protagonista, malgrado i saggi insegnamenti del monaco Buddha, finirà per commettere errori pesanti. Dai quali però saprà ugualmente imparare, tornando in quei luoghi da cui si era allontanato in malo modo.
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lucaguar
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martedì 25 giugno 2024
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sofferenza,desiderio,dolore,espiazione,rinascita
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"Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" del compianto Kim Ki-Duk, è un film che gioca anzitutto sulla ciclicità della stagioni e sul parallelismo tra il ciclo della natura e il ciclo della vita umana. Il protagonista viene cresciuto da un monaco buddhista: insieme vivono in un tempio in mezzo ad un lago sperduto in una valle incontaminata della Corea. Il film è appunto diviso in cinque capitoli, come appunto indicano le stagioni del titolo. All'inizio il piccolo monaco (estate) gioca in modo insolente con un pesce, una rana e un serpente, divertendosi a legarli ad una pietra. Il maestro, accorgendosi del gesto cattivo del bambino, non dice nulla, ma nella notte lega un masso alla sua schiena e il mattino seguente gli ordina di andare a liberare i poveri animali, che avevano subito ciò che lui provava in quel momento; lo ammonisce poi del fatto che se ne fosse morto anche solo uno, il peso sul cuore gli sarebbe rimasto per tutta la vita.
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"Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" del compianto Kim Ki-Duk, è un film che gioca anzitutto sulla ciclicità della stagioni e sul parallelismo tra il ciclo della natura e il ciclo della vita umana. Il protagonista viene cresciuto da un monaco buddhista: insieme vivono in un tempio in mezzo ad un lago sperduto in una valle incontaminata della Corea. Il film è appunto diviso in cinque capitoli, come appunto indicano le stagioni del titolo. All'inizio il piccolo monaco (estate) gioca in modo insolente con un pesce, una rana e un serpente, divertendosi a legarli ad una pietra. Il maestro, accorgendosi del gesto cattivo del bambino, non dice nulla, ma nella notte lega un masso alla sua schiena e il mattino seguente gli ordina di andare a liberare i poveri animali, che avevano subito ciò che lui provava in quel momento; lo ammonisce poi del fatto che se ne fosse morto anche solo uno, il peso sul cuore gli sarebbe rimasto per tutta la vita. E' a mio parere questa sequenza iniziale che, nella sua straordinaria potenza, dà senso a tutto il film: secondo il buddhismo la vita è contrassegnata dalla sofferenza e dal dolore: qui si parte dalla prima delle celebri "quattro nobili verità". La seconda stagione (estate) rappresenta la vitalità e la focosità della tarda adolescenza, in cui il protagonista viene a contatto con l'esperienza dell'amore, e del desiderio sessuale. Incontra infatti una ragazza che era giunta al monastero per essere curata da un misterioso male e che poco alla volta si avvicina, pur con qualche titubanza, al giovane monaco arrivando ad avere rapporti carnali con lui. Nella terza stagione (autunno) il monaco abbandona il monastero e il vecchio maestro, proprio per seguire la ragazza, ma anni dopo torna in preda alla disperazione e alla rabbia, reo di aver commesso l'omicidio della moglie, la quale l'avrebbe tradito. Incapace di sopportare il dolore, viene sottoposto a dure pratiche di espiazione e di pentimento, oltre che di meticolosa pazienza, come l'incisione con un coltello di moltissime scritte che il maestro ha dipinto sul pavimento in legno dell'eremo. Giunti due poliziotti al monastero, dopo avere atteso la fine dell'opera, lo arrestano. Nella stagione dell'inverno il monaco, ormai maturo, torna all'eremo attraversando il lago ghiacciato, e si esercita nelle arti marziali. Un giorno, una misteriosa donna gli consegna il suo piccolo figlio; allontanandosi, rimane intrappolata sotto ai ghiacci e muore. Il ciclo della vita riprende: come era probabilmente avvenuto a lui, questo bambino verrà accudito presso l'eremo dal maestro, che nel frattempo è diventato lui stesso.
Questo film di Kim Ki Duk è di una ricchezza contenutistica e di una bellezza espressiva straordinarie; per essere degnamente compreso sarebbe davvero da studiare a fondo, in quanto i richiami alla dottrina buddhista e alla cultura orientale sarebbero necessari per commentarlo degnamente. Io qui posso solo tentare di sottolineare i temi cardine: la sofferenza, come ho già detto, dottrina fondamentale del buddhismo, è appunto trattata con un taglio differente da quello cristiano: non c'è peccato ma colpa, non c'è redenzione e perdono ma espiazione. Inoltre, secondo i buddhisti, strettamente connesso alla sofferenza c'è il desiderio: in una scena il vecchio monaco infatti afferma che è il desiderio che crea dipendenza e la dipendenza sofferenza, proprio come sembra mostrare la vita del giovane monaco. Un altro tema cruciale è quello della ciclicità: contrariamente dalla cultura cristiano-occidentale la vita e il tempo sono un ciclo più che una linea divisa in segmenti o in livelli: non c'è una vita oltre la vita ma un ciclo di gioie, dolori, desideri e sofferenze che continuamente tornano (anche se non è espressamente trattato il tema della reincarnazione).
Quest'opera è intrisa di delicatezza e di durezza assieme, è estremamente armoniosa ma al contempo connotata dalla rigida disciplina che la vita religiosa buddhista impone, e da un pessimismo di fondo, che di fatto caratterizza questa dottrina (per certi versi, nella sua enorme mole di sfaccettature differenti). La vita è caratterizzata sin dall'inizio da una ferita (per noi "peccato"), ma si possono superare la sofferenza e il dolore tramite l'abbandono del desiderio e dela vita "del mondo" (Ottuplice sentiero).
La grandezza di quest'opera è davvero mirabile, sia per la meravigliosa fotografia che per l'incisività con la quale sono trattati temi così colossali e per di più attraverso una quantità di parole che è inversamente proporzionale alla ricchezza contenutistica del film: questa è forse la qualità espressiva che mi ha impressionato maggiormente: è stupefacente come con così tanti silenzi si possano esprimere delle verità così profonde in modo così pregnante. Il film riesce nell'impresa di non risultare mai pedante e tantomeno retorico, lontanissimo sia da ogni vaga illusione sentimentalistica che da ogni crudezza gratuita e inopportuna (come a mio parere avviene in Park Chan Wook). Il tutto è di certo complicato ulteriormente dalla nostra distanza culturale dall'oriente e dall'ignoranza che personalmente sento di nutrire verso un mondo culturale così vasto e complesso. Tuttavia, nonostante ciò, mi sento di dire che questo film è davvero un'opera d'arte, una gemma del cinema degli ultimi decenni: apre un orizzonte vastissimo di domande e di riflessioni e non smette di interrogarci sulla sostanza del nostro essere al mondo e questo è merce estremamente rara oggi. Chapeau.
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piernelweb
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mercoledì 28 marzo 2007
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moti perpetui
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Fotografia e ambientazioni mozzafiato in questo "saggio buddista" del regista Kim Ki-duk. Il film è strutturato in 5 segmenti che rileggono nella ciclicità delle stagioni e del tempo, l'ancestrale e perpetua natura dell'uomo. Nella sua integrità, l'opera è perfettamente compiuta e clamorosamente significativa, ma la narrazione soprattutto nella prima parte (primi due episodi) è eccessivamente didascalica e grossolana: troppo esemplificativa la crudeltà punita del bambino, per niente poetica la scoperta adolescenziale del sesso e dell'amore (addirittura imbarazzante nella sua superficialità la lezioncina sulla cura dei mali dell'animo attraverso i piaceri carnali). Per fortuna nei segmenti dell'Autunno e dell'Inverno, il regista coreano ritrova il giusto equilibrio e il racconto torna ad essere in armonia con le immagini.
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Fotografia e ambientazioni mozzafiato in questo "saggio buddista" del regista Kim Ki-duk. Il film è strutturato in 5 segmenti che rileggono nella ciclicità delle stagioni e del tempo, l'ancestrale e perpetua natura dell'uomo. Nella sua integrità, l'opera è perfettamente compiuta e clamorosamente significativa, ma la narrazione soprattutto nella prima parte (primi due episodi) è eccessivamente didascalica e grossolana: troppo esemplificativa la crudeltà punita del bambino, per niente poetica la scoperta adolescenziale del sesso e dell'amore (addirittura imbarazzante nella sua superficialità la lezioncina sulla cura dei mali dell'animo attraverso i piaceri carnali). Per fortuna nei segmenti dell'Autunno e dell'Inverno, il regista coreano ritrova il giusto equilibrio e il racconto torna ad essere in armonia con le immagini. Impattante, come consuetudine per il cinema orientale, la severità dell'autopunizione nell'espiazione delle colpe e il gigantismo del fallimento e del percorso di redenzione. La scalata finale con il pesante fardello si era già vista (con toni più enfatici e coinvolgenti) in "Mission" di Roland Joffé.
Voto: 6 e 1/2
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