luca scialo
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martedì 22 dicembre 2020
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il ciclo della vita avvolto di misticismo
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L'alternanza delle stagioni della natura quale metafora dell'alternanza delle stagioni della vita. Il tutto avvolto nel misticismo di un tempo buddista, circondato da una avvolgente natura. Ma non si tratta solo di linearità e religione. Qui la quietudine profusa dal silenzio della natura e dalla fede negli dei, viene interrotta dalla violenza e dall'errare umano. Dunque, sorprende e non viaggia nella scontatezza che le ambientazioni e la trama potrebbero indurre ad immaginare. Una operazione già vista negli anni '90 con Sette anni in Tibet, per esempio. Kim Ki-Duk ci consegna un altro film che induce a riflettere sul senso della vita, dunque, e lo fa a modo suo scavalcando ogni canovaccio collaudato.
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L'alternanza delle stagioni della natura quale metafora dell'alternanza delle stagioni della vita. Il tutto avvolto nel misticismo di un tempo buddista, circondato da una avvolgente natura. Ma non si tratta solo di linearità e religione. Qui la quietudine profusa dal silenzio della natura e dalla fede negli dei, viene interrotta dalla violenza e dall'errare umano. Dunque, sorprende e non viaggia nella scontatezza che le ambientazioni e la trama potrebbero indurre ad immaginare. Una operazione già vista negli anni '90 con Sette anni in Tibet, per esempio. Kim Ki-Duk ci consegna un altro film che induce a riflettere sul senso della vita, dunque, e lo fa a modo suo scavalcando ogni canovaccio collaudato. Il giovane protagonista, malgrado i saggi insegnamenti del monaco Buddha, finirà per commettere errori pesanti. Dai quali però saprà ugualmente imparare, tornando in quei luoghi da cui si era allontanato in malo modo.
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candido89
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giovedì 9 aprile 2020
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il cammino interminabile
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Il ciclo della vita come ciclo delle stagioni.
E' già dal titolo molto chiaro il quadro che il buon Kim ha in mente.
Quello che vale la pena rimarcare in questo film, oltre la struggente bellezza dei paesaggi, è il necessario
cammino che ogni essere umano deve compiere per potersi definire 'uomo'. Il male, le passioni, il mondo esterno... sono
tutti elementi che quasi in maniera necessaria irrompono nel piccolo tempio. Ma sono momenti negativi che devono essere vissuti, devono
essere 'presi su di sé' nella loro pesantezza, affinché poi possa seguire un homo novus.
Da vedere.
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mauriziobiondo
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sabato 21 aprile 2018
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scialbo e didascalico
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Forse Kim ki duk, è nato tardi,e conseguentemente tardi ha fatto i suoi film,tra cui questo.
Questo film era da farsi 25 anni prima.
Il risultato è che è un film che cerca d'esser poetico ma della poesia ha solo lo stile,non la poeticità.
Da buttare nel laghetto.
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stefano capasso
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lunedì 19 gennaio 2015
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il ciclo delle stagioni come ciclo evolutivo
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In un piccolo monastero su un lago un monaco addestra alla vita un bambino nell’alternanza regolare delle stagioni. Quando, ormai giovane ragazzo, arriva dalla città una ragazza per curare la sua infelicità, si innamora di le e capisce che è tempo di vivere le passioni della vita mondana. Tornerà diversi anni dopo, dopo aver attraversato tante esperienze, pronto a prendere il posto del vecchio maestro
Film, questo di Kim Ki Duk, ricco di poesia. Le immagini e i suoni prendono tutta la scena intervallate da rari dialoghi. La casa sul lago è il centro della storia e da questa casa che rappresenta l’istanza dell’anima si avvicendano le esperienze della vita. L’acqua è presente sempre, l’acqua che è simbolo delle emozioni con cui l’uomo si trova sempre a fare i conti.
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In un piccolo monastero su un lago un monaco addestra alla vita un bambino nell’alternanza regolare delle stagioni. Quando, ormai giovane ragazzo, arriva dalla città una ragazza per curare la sua infelicità, si innamora di le e capisce che è tempo di vivere le passioni della vita mondana. Tornerà diversi anni dopo, dopo aver attraversato tante esperienze, pronto a prendere il posto del vecchio maestro
Film, questo di Kim Ki Duk, ricco di poesia. Le immagini e i suoni prendono tutta la scena intervallate da rari dialoghi. La casa sul lago è il centro della storia e da questa casa che rappresenta l’istanza dell’anima si avvicendano le esperienze della vita. L’acqua è presente sempre, l’acqua che è simbolo delle emozioni con cui l’uomo si trova sempre a fare i conti. C’è bisogno di passare attraverso l’esperienza della vita mondana, quindi vivere pienamente tutte le passioni per poter accedere ad una fase avanzata dello sviluppo evolutivo dove le emozioni possono essere gestite sul piano psichico. E poter concludere la propria esperienza ad un più alto livello spirituale. I 4 elementi terra acqua aria fuoco sono presenti nel film a simboleggiare le 4 istanze dell’uomo, il corpo fisico, le emozioni, il piano psichico e la spiritualità. Perché il mare di emozioni in cui siamo immersi posso trasformarsi nel modo in cui vengono vissute
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elettra84
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martedì 2 ottobre 2012
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ricco e profondo
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Il tempo del film è effettivamente lento ma si riempe di tutte le riflessioni interiori.
Ho dato moltissime interpretazioni.
Ho notato che ogni stagione è caratterizzata da un animale diverso:
- la primavera, il cane
- l'estate il gallo
- autunno il gatto
- l'inverno il serpente
- e la nuova primavera la tartaruga.
Il cane: il bambino è fedele al maestro, esplora ma ammette di aver fatto un errore e si corregge.
il gallo, il ragazzo va alla conquista
il gatto, l'uomo torna quando ha bisogno. E' nei guai e torna dal maestro
Il serpente, è la lotta.
la tartaruga, uhm.
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Il tempo del film è effettivamente lento ma si riempe di tutte le riflessioni interiori.
Ho dato moltissime interpretazioni.
Ho notato che ogni stagione è caratterizzata da un animale diverso:
- la primavera, il cane
- l'estate il gallo
- autunno il gatto
- l'inverno il serpente
- e la nuova primavera la tartaruga.
Il cane: il bambino è fedele al maestro, esplora ma ammette di aver fatto un errore e si corregge.
il gallo, il ragazzo va alla conquista
il gatto, l'uomo torna quando ha bisogno. E' nei guai e torna dal maestro
Il serpente, è la lotta.
la tartaruga, uhm... è un animale lento, saggio, credo che possa racchiudere la figura del maestro.
La primavera è la crudeltà innociente del bambino, è la sperimentazione. Inoltre lì scopre la compassione. C'è anche la morte. Quindi è nascita e morte.
L'estate è l'esplosione della natura e dell'uomo, non occorrono commenti.
L'autunno è complesso, è il deserto dell'anima, certo lui nel film ha ucciso, ma potrebbe essere la metafora di un delitto molto più banale, di quelli che si commettono ogni giorno e che ti lasciano il vuoto.
La voglia di fuggire dell'uomo, attraverso il suicidio, è bloccata dal maestro che lo esorta ad affrontare il suo destino. E lo affronta purificato. Il maestro non è crudele in questa fase, è disperato. Il figliol prodigo è tornato, è tornato sporco e vuole morire sporco. Quindi quello del maestro è un tentativo di salvare perlomeno la sua anima.
L'inverno è la rinascita. Fuori c'è il gelo, ma l'uomo ha cominciato già il suo disgelo interiore e soprattutto la Sua lotta. Non è più il suo maestro a lottare per lui.
E ancora primavera... il ciclo ricomincia. Oppure COMINCIA, perchè potrebbe essere un flash back di tutta la storia del maestro e del primo bambino.
Il ciclo dell'uomo sarà sempre il medesimo, e seppure ci siano degli uomini che sono maestri e che sanno già la verità, l'uomo deve esplorare e provare e passare dalla gioia, al dolore, al deserto, alla purificazione, alla salvezza, alla rinascita.
Le porte sono un altro elemento meraviglioso. Sono il rispetto. Non ci sono muri, inizialmente mi ha fatto sorridere, poi ho compreso quanto invece fosse un segno di grande rispetto entrare dalla porta, nonostante si potessi passare dal "non muro". Si deve passare sempre dalla porta d'ingresso, e non dai laterali...
La fotografia è eccezionale. Il posto incantevole.
Credo anche però che dalla "città" e le sue trappole l'uomo debba passare per forza o non ha modo di lottare.
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paride86
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lunedì 24 settembre 2012
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bellissimo
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"Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" è sicuramente uno dei migliori film di Kim Ki-Duk.
Esteticamente splendido, compatto, mai banale o scontato, ha un messaggio chiaro e limpido sulle età della vita, sul male di vivere e sulla pace interiore.
Molto emozionante.
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"Primavera, estate, autunno, inverno...e ancora primavera" è sicuramente uno dei migliori film di Kim Ki-Duk.
Esteticamente splendido, compatto, mai banale o scontato, ha un messaggio chiaro e limpido sulle età della vita, sul male di vivere e sulla pace interiore.
Molto emozionante.
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dario
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lunedì 27 febbraio 2012
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gioiello
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Un film poetico, e la poesia vi è vissuta sino in fondo. Semplicità e passione sincera per la vita in tutte le sue manifestazioni. Fotografia magica e regia senza la minima sbavatura. Una narrazione piana, nel rispetto dei tempi e dei modi naturali. Una sentimentalità elegante, sentita, onorata, sofferta per i suoi limiti espressivi. Nessuna pretesa, ma una volontà indomita nel guardare responsabilmente la realtà e cercare di conviverci serenamente. Un autentico, raro gioiello. Attori veri, bravissimi.
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valeriana
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martedì 23 agosto 2011
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natura incontaminata, spiritualità e violenza
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Meraviglioso il susseguirsi delle stagioni in una natura particolarmente ricca di vegetali e di animali. Intensa è la vista dall'alto di quel piccolo specchio al cui centro si erge stabile la casa-pagoda.
un insieme di simboli: quelli della scrittura sul legno hanno forse il maggiore rilievo, ma altrettanto interessante è la presenza di due animali domestici, la gallina e il gatto bianco.
La vicenda ha alcuni aspetti ambigui e misteriosi, che riguardano soprattutto le donne. Si volge in un mondo separato in cui si comunica raramente a parole. tutto appare quasi primordiale, a parte i simboli.
E' istintiva la violenza del bambino monaco ed esemplare la punizione.
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Meraviglioso il susseguirsi delle stagioni in una natura particolarmente ricca di vegetali e di animali. Intensa è la vista dall'alto di quel piccolo specchio al cui centro si erge stabile la casa-pagoda.
un insieme di simboli: quelli della scrittura sul legno hanno forse il maggiore rilievo, ma altrettanto interessante è la presenza di due animali domestici, la gallina e il gatto bianco.
La vicenda ha alcuni aspetti ambigui e misteriosi, che riguardano soprattutto le donne. Si volge in un mondo separato in cui si comunica raramente a parole. tutto appare quasi primordiale, a parte i simboli.
E' istintiva la violenza del bambino monaco ed esemplare la punizione. Lì si educa con i fatti non a parole.
Un film a tempi dilatati, ma niente affatto sonnolento. Da vedere e apprezzare fino in fondo.
Valeriana
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(di giovj)
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capitan_gian
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martedì 15 febbraio 2011
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l'eterno cerchio esistenziale
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La forma della vita vista con gli occhi del pensiero orientale. Il cerchio, il ritorno, la ruota, la ripetizione, l'illuminazione. Questo film è pura poesia buddhista.
Non ci sono cambi repentini di scenografia, l'ambientazione è unica e ricorrente, il luogo sempre lo stesso.
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La forma della vita vista con gli occhi del pensiero orientale. Il cerchio, il ritorno, la ruota, la ripetizione, l'illuminazione. Questo film è pura poesia buddhista.
Non ci sono cambi repentini di scenografia, l'ambientazione è unica e ricorrente, il luogo sempre lo stesso. Le quattro stagioni della vita, più una. La primavera come nascita, come apprendimento, come giovinezza. L'estate come il calore del corpo, la passione, la trasgressione, la voglia di conoscere nuovi orizzonti. L'autunno come caducità, come peccato, come morte, fatica e dolore. L'inverno come espiazione, come riconquista dei valori, come maturità, come saggezza e ascetismo. E infine di nuovo la primavera, il cerchio si chiude, anzi, si riapre per un nuovo ciclo vitale. La conoscenza passa da una mente all'altra come un soffio di vento sugli fronde degli alberi del lago.
In mezzo tanti piccoli gesti e sguardi, tanta saggezza mai parlata, mai urlata, mai realmente espressa. C'è anche un pizzico di magia orientale; c'è una sorta di ritmo fluttuante, un ritmo cullato da onde impercettibili, c'è una barca che si muove col pensiero, c'è l'acqua che purifica, il ghiaccio che si fa scultura, il legno che graffia e punge come gli errori della vita.
Ogni elemento all'interno di questo percorso visivo ha un significato. Gli animali, che sembrano far parte di una cornice ambientale, portano con sè delle forti simbologie adattabili ai momenti salienti del film; il cane come ingenuità, il pollo come lussuria, il gatto come pigrizia e così via.
Per alcuni aspetti, questo film può essere compreso soltanto conoscendo realmente la religione buddhista, essendone la completa trasposizione ed esemplificazione. Alcuni passaggi, alcuni elementi, alcuni gesti per il nostro tipo di cultura vengono visti e valutati esclusivamente come puri gesti senza senso. Il monaco che usa la coda del gatto come pennello, il gallo che passeggia davanti alla telecamera in determinate scene, le porte senza muri che vanno attraversate lo stesso. Tanti sono gli elementi che in qualche modo passano inosservati ai nostri occhi. Il film diventa così una raffinata cartolina buddhista, da gustare e riguardare, ma anche da studiare. Si possono capire certi passaggi solo documentandosi realmente.
Oppure si può restare delicatamente sospesi tra punti di domanda e misticismo senza risposta, e tenersi dentro ciò che si è compreso. E' un'opera poetica, ricca come un quadro o come un libro dalle tante pagine. Semplici o complicate come la vita, anche qui dipende con quali occhi le si guarda.
C'è, in quest'opera, una forte capacità di raccontare una storia, delle storie, senza bisogno di dialoghi. Il silenzio dell'anima messo a nudo. E c'è un uso sapiente della cinepresa. Fotografia mozzafiato, cartoline di un mondo-non mondo fatto di acqua, di umidità, di tradizione, di ascetismo, di misticismo. Natura e vita, vita e natura.
La vita composta da tante stagioni, la vita che percorre una strada che non finisce col corpo. Va oltre, continua, si ripete, si rigenera.
Un film delicato e purificante, un film colmo di significati raffinati e forte simbolismo spirituale.
Un film silenzioso e minimalista, opposto a tutte le produzione cinematografiche degli ultimi tempi.
Un film fotografico e silenzioso come il tempo.
Da vedere, e non solo.
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sinkro
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martedì 8 giugno 2010
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il cerchio infinito della vita
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Su un eremo galleggiante isolato dal mondo e dalle sue passioni cresce un bambino in mezzo alla natura in gemma che giocherà (più per ignoranza che con cattiveria) in modo crudele con alcuni animali. La stagione dell'infanzia passa e nel tripudio della natura (l'estate) il ragazzo ora adolescente conoscerà la passione e l'amore carnale. Decide quindi di abbandonare l'eremo ed entrare nel "samsara" cioè nel mondo. Con le foglie che ingialliscono, dopo aver conosciuto i sentimenti negativi del mondo il ragazzo torna da assassino e seguirà un rito di purificazione. Torna in inverno dove il ghiaccio e il bianco fanno risaltare il suo processo di espiazione e redenzione.
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Su un eremo galleggiante isolato dal mondo e dalle sue passioni cresce un bambino in mezzo alla natura in gemma che giocherà (più per ignoranza che con cattiveria) in modo crudele con alcuni animali. La stagione dell'infanzia passa e nel tripudio della natura (l'estate) il ragazzo ora adolescente conoscerà la passione e l'amore carnale. Decide quindi di abbandonare l'eremo ed entrare nel "samsara" cioè nel mondo. Con le foglie che ingialliscono, dopo aver conosciuto i sentimenti negativi del mondo il ragazzo torna da assassino e seguirà un rito di purificazione. Torna in inverno dove il ghiaccio e il bianco fanno risaltare il suo processo di espiazione e redenzione. Culmine della storia in primavera che ritorna continuando in eterno il circolo.
Magistrale la fotografia dell'ex pittore (e si vede) Ki- Duk che gioca magistralmente coi colori: il fazzoletto rosso che contiene i resti del maestro, o il fazzoletto viola, colore della vergogna della donna che abbandona il bambino. Emblematica la presenza di molti animali fortemente simboleci che condividono con l'uomo destino e dolori.
Apprezzabile la scalata di catarsi ripresa da "The mission" di Joffe. Sul finale ricorda "Rashomon" di Kurosawa dove il monaco decide di allevare il bambino mentre il sole risplende quasi a signifcare che c'è ancora speranza. La scena finale invece sembra di rivedere l'ultima scena di "Ran" (sempre di Kurosawa) ma invertita: nella pellicola del giapponese gli dei guardano indifferenti l'uomo che barcolla in cima a un precipizio; in questa del coreano la divinità guarda con benevolenza e serenità dall'alto.
Un cinema diverso, dove il silenzio comunica molto più della parole e i paesaggi incontaminati parlano direttamente al cuore.
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