Roberto Nepoti
La Repubblica
Era il 1983 quando Godfrey Reggio e Philip Glass si allearono - l'uno alla cinepresa, l'altro alla colonna sonora - per denunciare gli scempi perpetrati dall'uomo sulla povera, vecchia Terra. Lo fecero con un film memorabile, Koyaanisqatsi, primo della trilogia Qatsi; che, passata per Powaqqatsi (1988), trova adesso completamento nell'ultimo pannello del trittico.
Vent'anni sono tanti: molte cose invecchiano, molte cambiano. E' cambiato il mondo, secondo Greggio, tanto da fargli intitolare il film Naqoyqatsi, un sostantivo della lingua hopi che significa, all'incirca, guerra totale. Per lui, quella attuale è l'era della violenza civilizzata, di un mondo omologato dove il computer è il dittatore di un nuovo tecno-fascismo.
Sullo schermo passa una varietà inquietante d'immagini: alcune girate appositamente, per la maggior parte di repertorio. I potenti del mondo (Bush e Bin Laden, Arafat e il Papa), i videogiochi, i supermercati, le pillole della felicità, il tifo violento e - sempre e ovunque - la guerra. E' cambiato il modo di vivere, perché la tecnologia ha alterato tutto: la politica e lo sport, la natura e la cultura, l'etica e - ancora - la guerra. Non è cambiato invece, da allora, il modo di proporre il materiale visivo e sonoro, come in un grande concerto filmico senza parole sulla partitura ipnotica di Glass, cui ora si aggiunge il violoncello di Yo-Yo Ma. C'è una novità, tuttavia, e cioè che le immagini, più o meno còlte sul fatto, sono manipolate al computer mediante le più avanzate tecniche digitali, uscendone trasformate, ricolorate, rallentate o accelerate.
Si tratta di una contraddizione di Greggio, antitecnologico per definizione e che tuttavia si avvale degli stessi strumenti che contesta? O non sarà, piuttosto, la sua una variante di guerriglia semiologica, che s'impadronisce di quegli strumenti per denunciare l'isteria di un ventunesimo secolo frenetico e globalmente interconnesso? Comunque stiano le cose, il vero problema è altrove. Con tutta la fiducia nella sincerità di Raggio, nella sua indignazione e nelle ragioni di cui si fa paladino, è difficile dimenticare che quei pittogrammi fanno ormai parte integrante della nostra vita: in qualche misura nascono proprio dal mitico Koyaanisqatsi, però sono le immagini dei videoclip, di Internet e della televisione che consumiamo in dosi massicce ogni giorno. Così come ha perso vigore il loro potere di suggestione, altrettanto se n' è affievolita la forza di denuncia.
Da La Repubblica, 25 luglio 2003
di Roberto Nepoti, 25 luglio 2003