IL RAPPORTO PELICAN (USA, 1993)
Diretto da ALAN J. PAKULA
Interpretato da JULIA ROBERTS, DENZEL WASHINGTON, TONY GOLDWYN, SAM SHEPARD, JOHN HEARD, STANLEY TUCCI, CYNTHIA NIXON, JAMES SIKKING, JOHN LITHGOW, ROBERT CULP
Due giudici della Corte Suprema muoiono in circostanze sospette. Pare che stiano stati assassinati e che, a volerne la morte, sia stato un potente industriale che ha anche finanziato la campagna elettorale del Presidente degli Stati Uniti in carica. A pensarlo è la giovane studentessa di legge Darby Shaw, che mette per iscritto le sue convinzioni. Consegna dapprima il suo rapporto al suo professore di diritto all’università che poi lo passa ad un amico avvocato che lavora per conto dell’Fbi, e vengono entrambi uccisi. A causa dello scomodo fascicolo, Darby diventa l’obiettivo da eliminare per evitare uno scandalo, in quanto nel rapporto, oltre alla responsabilità del magnate, sono indicati anche i suoi loschi affari anti-ecologistici tramite lo sfruttamento delle risorse di una palude abitata da uccelli acquatici. Per fortuna il giornalista nero del Washington Herald Gray Grantham la aiuta a sopravvivere e insieme a lei fa in modo che i colpevoli vengano incriminati. Il vertice massimo di Pakula nella cinematografia di ambiente politico è stato indiscutibilmente Tutti gli uomini del presidente (1976), mentre il precedente Presunto innocente e questo thriller stracco e senza nerbo la dicono lunga su come la sua verve si sia arenata nell’ultima fase della sua carriera. Penalizzato dalla noiosa sceneggiatura scritta in prima persona dal regista, il film non riesce nell’impresa di fortificare per immagini audiovisive la materia prima di John Grisham, autore di un legal thriller dal sapore più che mai avvincente. Se però la storia è guardata nel formato filmico, la narrazione procede per stereotipi; l’azione, tra zoom e inquadrature sbilenche, prospetta inutili funambolismi della telecamera per infondere allo spettatore una suspense che poi non arriva; e le interpretazioni dei due protagonisti, per quanto valide, si muovono in uno scenario troppo artefatto per poter dare un giudizio sereno nel complesso. C’è comunque, di fondo, un elegante accademismo formale che, nonostante non vada a segno, crea una cornice che permette quantomeno di apprezzare la fotografia di Stephen Goldblatt e le musiche di James Horner.
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