Una chiacchierata confidenziale. Un filmetto. Con queste parole, Federico Fellini parlava della sua penultima pellicola quando uscì. Chissà se scherzava o se cercava di compensare con uno sfoggio di modestia quell'alone di narcisismo che aveva profuso in tutta "Intervista", per altro l'unico difettuccio che in questo film gli si può appuntare insieme alle prestazioni non eccezionali di alcuni dei suoi attori. Già, chissà. Perchè, senza dubbio, non solo non si è al cospetto di un filmetto, ma si tratta anche di una delle vette espressive più alte raggiunte dal regista nel periodo successivo al binomio di capolavori assoluti "La dolce Vita" - "8 e mezzo".
Ma il vecchio volpone, ovviamente, mentiva sapendo di farlo: ciò che tradisce le sue parole è proprio il discorso portato avanti in tutta l'opera. Un discorso che intreccia la vena nostalgica e sentimentale con, aspetto ben più interessante, un'analisi metalinguistica sul cinema di una luicidità impressionante. Nel raccontare per immagini ad una troupe giapponese venuta a Roma per intervistarlo, la sua vita, la sua macchina-cinema, i suoi attori, Fellini riesce a costruire una storia "a strati" in cui non si capisce mai bene se ciò che noi spettatori vediamo sia quello che la sua macchina da presa riprende, quello che si vedrebbe nel documentario giapponese o, più semplicemente, ciò che esce dalla sua vulcanica mente creativa. Il discorso, appunto, va a parare (ce ne accorgiamo strada facendo e ne abbiamo conferma alla fine) su una tematica ben precisa: la morte del cinema, o meglio, del Suo cinema, sotto l'assedio (straordinaria l'immagine degli indiani che attaccano la troupe con delle antenne televisive) di una nuova civiltà dell'immagine, quella governata dalla televisione.
Ora, se Fellini aveva colto vent'anni fa un fenomeno che oggi dilaga e che critici e massmediologi assortiti studiano alacremente, si vede che anch'egli, per forza di cose, doveva aver capito che il suo prodotto non era proprio una banalità.
In più, come al solito, il pifferaio si è divertito a manipolarci. E noi topolini, zitti e allineati a seguirlo a bocca aperta: infatti la commistione del cinema con altri generi di media ci è ogni volta nascosta, come detto prima, per essere poi svelata, quasi ad indicare che ormai il pubblico vede "tutto uguale" e non sa differenziare tra visione cinematografica (per esempio, la cinepresa di Fellini) e visione televisiva (per esempio, la telecamera della trupe giapponese).
Capace di barcamenarsi con assoluta disinvoltura tra momenti comici (specie a Cinecittà) e attimi di grande poesia (come nella villa della Ekberg, forse un mondo-altro che custodisce le scorribande del tempo), notevole nel condurre un'analisi tecnica e storica del cinema italiano, Fellini ci lascia un testamento, un'opera unica anche perchè inclassificabile per genere (sarebbe ingenuo e riduttivo, infatti, pensarla come un documentario).Un'opera in cui c'è il suo caotico tutto (gli inizi, i rapporti con i produttori, con il set, con le comparse, con Snaporaz-Mastroianni) e il niente di un raggio di luce finale a darci una speranza per il cinema.
Ma, pensando che nel mare di pochezza che ci offre oggi la tv, non c'è mai un posticino nel palinsesto (anche a tarda notte, per carità) per un'opera come questa e che forse tra i visitatori di questo sito nessuno l'ha mai ammirata (la mia è l'unica recensione), mi viene da pensare che quel raggio di luce sia stato anche per Fellini una bella illusione.
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andrea
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venerdì 21 settembre 2007
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il raggio di luce esiste per pochi
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Sono d'accordo con te, il raggio di luce va sempre più spegnendosi nel panorama di un cinema destinato a perdere sempre di più il suo simbolismo, ad assomigliare sempre di più alla realtà (e i reality sono una causa di questa tendenza), e ad assumere sempre con meno convinzione la definizione di "materia di cui sono fatti i sogni". Il cinema è la settima arte, e molti lo hanno dimenticato. Ma non tutti. In questa pagina semivuota ti faccio compagnia, nel ritenere "Intervista" un grande film, un pre-testamento, al quale poi si sarebbe aggiunto l'ultimo, vero testamento de "La voce della luna", capolavoro sottovalutatissimo, che solo io ho recensito qui su Mymovies. Le potenzialità del cinema, se sfruttate, danno vita ai sogni più favolosi, e Fellini ce lo ha insegnato.
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Sono d'accordo con te, il raggio di luce va sempre più spegnendosi nel panorama di un cinema destinato a perdere sempre di più il suo simbolismo, ad assomigliare sempre di più alla realtà (e i reality sono una causa di questa tendenza), e ad assumere sempre con meno convinzione la definizione di "materia di cui sono fatti i sogni". Il cinema è la settima arte, e molti lo hanno dimenticato. Ma non tutti. In questa pagina semivuota ti faccio compagnia, nel ritenere "Intervista" un grande film, un pre-testamento, al quale poi si sarebbe aggiunto l'ultimo, vero testamento de "La voce della luna", capolavoro sottovalutatissimo, che solo io ho recensito qui su Mymovies. Le potenzialità del cinema, se sfruttate, danno vita ai sogni più favolosi, e Fellini ce lo ha insegnato. Forse un altro Fellini non ci sarà più, ma l'importante è che - anche se in minoranza rispetto al pubblico di massa che adora film vuoti come "300" - quei pochi conservino dentro sé l'amore per il cinema, quello vero.
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