monfardini ilaria
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lunedì 20 maggio 2024
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il secondo grande film del maestro argento
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Dario Argento esordisce nelle sale cinematografiche nel 1970 col giallo L’Uccello dalle Piume di Cristallo, che ha subito un grandissimo successo, così il regista, spinto dall’entusiasmo del pubblico, decide di proseguire su quel filone realizzando nell’anno successivo ben altri due film a cui decide di dare un titolo teriomorfo, Il Gatto a Nove Code e Quattro Mosche di Velluto Grigio, dando vita così alla cosiddetta Trilogia degli Animali. Oggi voglio parlarvi del terzo “capitolo” della trilogia, che è da sempre il mio preferito, anche per la varietà delle belle location tra Torino, Roma, Spoleto e Tivoli, e per la suadente colonna sonora di Ennio Morricone.
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Dario Argento esordisce nelle sale cinematografiche nel 1970 col giallo L’Uccello dalle Piume di Cristallo, che ha subito un grandissimo successo, così il regista, spinto dall’entusiasmo del pubblico, decide di proseguire su quel filone realizzando nell’anno successivo ben altri due film a cui decide di dare un titolo teriomorfo, Il Gatto a Nove Code e Quattro Mosche di Velluto Grigio, dando vita così alla cosiddetta Trilogia degli Animali. Oggi voglio parlarvi del terzo “capitolo” della trilogia, che è da sempre il mio preferito, anche per la varietà delle belle location tra Torino, Roma, Spoleto e Tivoli, e per la suadente colonna sonora di Ennio Morricone. Il film, classe 1971, nasce da un soggetto che Argento scrive insieme a Luigi Cozzi ed a Mario Foglietti, sceneggiatore anche dell’episodio La Bambola della Serie Tv La Porta sul Buio prodotta dallo stesso Dario. Come i due precedenti film, anche questo è prodotto dal padre di Dario e Claudio Argento, Salvatore. Roberto, batterista di una rock band, da alcuni giorni si accorge di essere insistentemente pedinato da un uomo con cappello, occhiali neri e baffi. Una sera decide di ribaltare la situazione e comincia ad inseguire lui stesso il suo inseguitore, fin dentro un vecchio teatro abbandonato. Durante una colluttazione l’uomo misterioso tira fuori un coltello e Roberto, nel disarmarlo, lo uccide accidentalmente e viene fotografato durante l’omicidio da uno strano tipo che indossa una maschera e che si trova in uno dei palchetti alti del teatro. Da qual momento Roberto, che vive in una bellissima casa con la moglie Nina, comincerà a ricevere dal personaggio misterioso dei biglietti in cui lo avvisa di sapere tutto, ma senza chiedergli soldi, tanto che il giovane non sa capire che cosa quest’uomo possa volere da lui. Chiede così aiuto a due persone molto diverse ma a loro modo entrambe efficaci: l’eccentrico Diomede, una specie di barbone che vive in una baracca in riva al fiume, e l’investigatore privato Gianni Arrosio. Avrà così inizio una spirale di delitti che si stringerà sempre di più intorno al povero Roberto, fino al finale che per lui non potrebbe essere più amaro e sorprendente. Dario Argento, a ragione denominato ormai da tempo il Maestro del Brivido, riesce a creare in questo suo terzo film una tensione quasi palpabile, rendendolo ancora oggi un esempio lampante di come un regista dovrebbe costruire un giallo. L’efferatezza di alcuni delitti e le spesso inattese mosse dell’assassino fanno sovente sussultare, e gli indizi disseminati un po’ ovunque possono aiutarci a costruire l’identikit finale dell’assassino. Non mancano i siparietti ironici tanto amati da Argento, e che renderà celebri in Profondo Rosso nelle gag che hanno spesso come protagonista Gianna Brezzi interpretata da Daria Nicolodi. Qui a sostenere il ruolo ironico del film troviamo il bravo attore francese Jean-Pierre Marielle, che dà vita ad un simpaticissimo investigatore privato omosessuale che ricorda l’antiquario de L’Uccello dalle Piume di Cristallo per i modi affettati e la leziosità dei movimenti. Oltre a lui, altro personaggio umoristico del film è quello di Diomede detto Dio, interpretato dal grande Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer, che si rivelerà essere uno dei personaggi chiave dell’intera vicenda, ed è peraltro ispirato a quello omonimo descritto da Fredric Brown nel suo romanzo La Statua che Urla, su cui Argento si basò per scrivere la sceneggiatura de L’Uccello dalle Piume di Cristallo. La pellicola è incorniciata dalle belle musiche di Ennio Morricone, che aveva già scritto le colonne sonore per gli altri due film della Trilogia, e che poi troveremo di nuovo al fianco di Argento ne La Sindrome di Stendhal del 1996. Come spesso è successo nei film di Argento, per il protagonista viene scelto un attore straniero, in questo caso il newyorkese Michael Brandon, alla sua prima interpretazione in Italia. Appena ventiseienne, l’attore non mi ha mai completamente convinto, sebbene Argento abbia più volte affermato che il suo ruolo in Quattro Mosche è un po’ quello di un suo alter ego, ed il personaggio di un suo film che maggiormente lo rappresenta. L’espressione imbambolata ed avulsa da tutto e da tutti che spesso lo caratterizza, nonostante probabilmente gli sia stata richiesta, non riesce a coinvolgermi, ma anzi, in più di un’occasione trovo abbassi notevolmente il pathos e la tensione della narrazione. Fortunatamente al suo fianco Argento gli pone come moglie la splendida attrice americana Mimsy Farmer, che dopo la partecipazione a questo film diverrà una delle icone del giallo/thriller anni Settanta Made in Italy, raggiungendo massima fama come protagonista dell’onirico e innovativo Il Profumo della Signora in Nero di Francesco Barilli del 1974 e successivamente di Macchie Solari di Armando Crispino del 1975, di Black Cat di Lucio Fulci del 1981 e di Camping del Terrore di Ruggero Deodato del 1986. Nei panni di una donna apparentemente fragile e sperduta, la Farmer ci regalerà delle belle sorprese, e sul finale darà ampio sfogo alle sue doti drammatico - recitative ed alla sua grinta. Tra i nomi noti del film dobbiamo ricordare la grande attrice teatrale Marisa Fabbri nei panni dell’impicciona domestica Amelia, la cui scena nel parco di Villa d’Este a Tivoli rimane una delle più memorabili e ricche di pathos dell’intera pellicola, e Oreste Lionello, in quelli di un professore. 4 Mosche di Velluto Grigio è il secondo film girato da Argento in buona parte a Torino, dopo Il Gatto a Nove Code. E’ risaputo quanto il Maestro romano sia legato alla città della Mole, tanto da averla usata come set per ben sette dei suoi film, sottolineandone spesso l’aspetto oscuro ed esoterico. Qui, nello specifico, vengono utilizzati l’elegante Galleria Subalpina, sede di antiquari e librerie di prestigio, per situarvi l’ufficio dell’investigatore Arrosio; la facciata del conservatorio Giuseppe Verdi per simulare l’esterno del teatro in cui avviene il primo omicidio (l’interno è invece quello del Teatro Nuovo di Spoleto); il giardinetto pubblico Lamarmora in via Cernaia; l’auditorium RAI, con la celebre inquadratura della sigaretta per terra, in cui vengono collocati gli studi di registrazione della band di Brandon; il bellissimo Caffè liberty Mulassano, in Piazza Castello, dove Arrosio e Roberto pranzano prima che l’investigatore accetti l’incarico. Le altre location sono collocate per la maggior parte a Roma, ed a Milano è stata girata invece la scena in metropolitana. Questo è peraltro l’unico film di Argento che ha anche una scena girata in Africa: tutte le sequenze del sogno ricorrente di Roberto, in cui un uomo viene decapitato con una scimitarra, sono state realizzate presso il cortile esterno della Grande Moschea di Qayrawan in Tunisia, non molto distante dal golfo di Hammamet. Il motivo per cui questo adrenalinico e tesissimo giallo argentiano è ancora oggi il capitolo meno conosciuto e probabilmente più sottovalutato della Trilogia degli Animali è da ricercare nella sua sfortunata storia distributiva. Dal 1992 al 2008 non viene mai trasmesso dalle emittenti televisive italiane, relegandolo in una sorta di oblio, tanto più che anche la prima edizione home video non vede la luce prima del 2009, a causa di problematiche legate ai diritti d’autore. Eppure questo film è giustamente ritenuto dagli estimatori di Argento l’anello che unisce la prima produzione gialla del regista ai successivi thriller come Profondo Rosso e Tenebre, potendo vantare una suspense non comune ed alcune scene altamente disturbanti, capaci di far sussultare ancora dopo oltre cinquant’anni!! Il finale è leggendario, lo stratagemma col quale viene individuato l’assassino assolutamente fantasioso e strepitoso, e verrà omaggiato nel 2008 dal giovane regista romano Stefano Bessoni col suo bellissimo e molto gotico Imago Mortis: sarà vero che le retine dell’occhio di un morto possono restituirci le ultime immagini che lui ha visto prima di spirare? E che cosa avrà visto, qui, l’ultima vittima del feroce assassino? Il suo volto? O forse un qualche dettaglio che potrà incastrarlo? Come si incastonano nel film le mosche del titolo? Hanno un senso concreto o sono solo una metafora? A queste domande Argento risponderà con eleganza e dovizia di particolari, disorientando più volte lo spettatore, ma facendo quadrare perfettamente il cerchio sul finale, il cui ultimo frame, per altro, avrà come protagonista un ignaro camion, come poi avverrà anche verso il finale di Profondo Rosso. Nemo Propheta in Patria, ahimè. Infatti Argento ad oggi viene ancora indicato da tanti italiani come un regista sopravvalutato, mentre viene studiato ovunque all’estero a causa della sua regia ispirata ed originale, tecnicamente all’avanguardia, e 4 Mosche di Velluto Grigio rientra certamente nel novero dei film del Maestro che gli hanno valso la palma di Re del Brivido, grazie alle sue doti che lo hanno saputo trasformare in un’esperienza visiva sublime, sopraffina, ed alla sua regia encomiabile e ottima sotto tutti i punti di vista, fregandosene, come del resto sempre fa, della logica e della verosimiglianza narrativa, perché i suoi film vanno vissuti, non analizzati o sezionati, bisogna lasciarsi andare e farsi trasportare, solo così si potrà apprezzare appieno l’opera di uno dei maestri indiscussi del thrilling italiano. Dario ci inganna, ci illude, ci fa vedere l’assassino dalle prime scene, ci dà gli indizi giusti e poi quelli sbagliati, ci tiene prigionieri, lascia la corda e poi la ritira, ci fa pensare di aver capito tutto per poi farci cambiare nuovamente opinione: questo è il suo cinema, queste le sue peculiarità, e ritenerlo “sopravvalutato” è segno di scarsa cultura cinematografica, o forse, soltanto, di una boriosa vanagloria.
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citizen kane
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sabato 20 giugno 2020
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meglio argento che finto oro
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E' sempre piacevole riguardare un Argento vintage piuttosto che un volgare Covid-Splatter.Film che sarebbe ottimo se:il movente iniziale fosse credibile (si sposa una persona solo per torturarla e ucciderla a piacimento?non è necessario sposarla,anche per una mente deviata criminale);l'attore protagonista risulta poco espressivo nell'evoluzione della storia,Tomas Milian o Giulio Brogi ad esempio avrebbero fatto molto meglio;i caratteristi comici sono troppo macchiette (Diomede-Spencer e il filosofo-Oreste Lionello);i personaggi di contorno, gli amici e amiche (Satta Flores e ragazze dalle splendide gambe) poco approfonditi e scarsamente sospettabili degli omicidi commessi;antiscientifica l'immagine delle mosche impresse sulla rètina,anche se plausibile per licenza poetica;brava Mimsi Farmer nella sua isteria,ottimo l'investigatore privato gay, sia come attore che personaggio, grandi locations (la Torino misteriosa,magica,diabolica e fatiscente degli anni 70);ottima la scena della cameriera nel parco(all'improvviso il silenzio, il buio, il vuoto e la paura);molto originale e innovativa la sequenza, al "ralenti", dell'incidente finale,Morricone al di sotto delle grandi colonne sonore dell'epoca.
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E' sempre piacevole riguardare un Argento vintage piuttosto che un volgare Covid-Splatter.Film che sarebbe ottimo se:il movente iniziale fosse credibile (si sposa una persona solo per torturarla e ucciderla a piacimento?non è necessario sposarla,anche per una mente deviata criminale);l'attore protagonista risulta poco espressivo nell'evoluzione della storia,Tomas Milian o Giulio Brogi ad esempio avrebbero fatto molto meglio;i caratteristi comici sono troppo macchiette (Diomede-Spencer e il filosofo-Oreste Lionello);i personaggi di contorno, gli amici e amiche (Satta Flores e ragazze dalle splendide gambe) poco approfonditi e scarsamente sospettabili degli omicidi commessi;antiscientifica l'immagine delle mosche impresse sulla rètina,anche se plausibile per licenza poetica;brava Mimsi Farmer nella sua isteria,ottimo l'investigatore privato gay, sia come attore che personaggio, grandi locations (la Torino misteriosa,magica,diabolica e fatiscente degli anni 70);ottima la scena della cameriera nel parco(all'improvviso il silenzio, il buio, il vuoto e la paura);molto originale e innovativa la sequenza, al "ralenti", dell'incidente finale,Morricone al di sotto delle grandi colonne sonore dell'epoca.
Due spunti di riflessione : IL TEATRO e IL SESSO AMBIGUO nel cinema di Dario Argento
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ennio
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domenica 24 dicembre 2017
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buon film per fare una lunga telefonata all'amante
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Se non fosse di Dario Argento, questo film non sarebbe nemmeno menzionato dai siti cinefili, relegato in un doveroso oblìo. Sceneggiatura,dialoghi, attori, tutto è stucchevole e senz'anima in questo film. Si nota più la presenza di uno sprecato Bud Spencer che tutto il resto. E ciònonostante è chiaramente visibile la mano di Argento in molte tracce che riprenderà nel suo capolavoro, il "profondo rosso".
Non è un caso isolato nella storia dell'arte, anche nella letteratura abbiamo avuto autori di capolavori che sono stati in grado di produrre nel loro corpus minore delle opere insulse come "4 mosche di velluto grigio".
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iuriv
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giovedì 2 novembre 2017
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affascinante.
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Non avevo mai visto 4 Mosche Di Velluto Grigio finora e, dopo aver colmato questa lacuna, posso dire di esserne rimasto affascinato. Dario Argento, in questa sua terza opera, si dimostra regista dal grande occhio, ma soprattutto, autore in grado di sperimentare.
La trama, come spesso capita all'Argento del primo periodo giallo, risulta un po' raffazzonata, piena com'è di incongruenze e forzature. Ma dove non arriva la storia ci pensa la telecamera. Se il racconto spesso inganna, utilizzando stratagemmi a volte ingenui, l'occhio di Dario non mente mai. La messa in scena del regista dona tonnellate di tensione, con il sapiente uso delle luci e un utilizzo della macchina mai banale.
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Non avevo mai visto 4 Mosche Di Velluto Grigio finora e, dopo aver colmato questa lacuna, posso dire di esserne rimasto affascinato. Dario Argento, in questa sua terza opera, si dimostra regista dal grande occhio, ma soprattutto, autore in grado di sperimentare.
La trama, come spesso capita all'Argento del primo periodo giallo, risulta un po' raffazzonata, piena com'è di incongruenze e forzature. Ma dove non arriva la storia ci pensa la telecamera. Se il racconto spesso inganna, utilizzando stratagemmi a volte ingenui, l'occhio di Dario non mente mai. La messa in scena del regista dona tonnellate di tensione, con il sapiente uso delle luci e un utilizzo della macchina mai banale.
Tuttavia queste sono caratteristiche riconosciute al Dario Argento prima maniera. Dove il regista esce dagli schemi è nell'uso del montaggio, quasi anarchico in certe situazioni, e nell'inserimento della commedia all'interno della sua opera: grottesca, quando ci mostra le scene del postino, ma anche fine, quando lascia la parola al saggio Bud Spencer (la battuta sui pesci mi ha fatto ribaltare).
Una caratteristica che sembra appartenere solo a questo film della filmografia argentiana ed è un peccato. Se ben affinato questo trucchetto dimostra di poter funzionare e non solo per rendere più straniante l'effetto complessivo della pellicola; l'umorismo intelligente applicato ad alcuni dei personaggi secondari (oltre all'utilizzo di attori, una volta tanto, facilmente riconoscibili), dona agli stessi una tridimensionalità insolita nel genere. Certo, la miscela non è sempre equilibrata, ma l'esperimento funziona e dona spessore ulteriore a una pellicola forse troppo sottovalutata.
Un filo di erotismo soft (siamo pur sempre nel 1971) e una colonna sonora da urlo completano un'opera da vedere assolutamente.
Mentre io, nel 2017, continuo a chiedermi dove sia finita la magia che questo regista sapeva dare al proprio lavoro.
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onufrio
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lunedì 30 maggio 2016
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dietro le 4 mosche si cela il colpevole
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Thriller di Dario Argento dai ritmi un pò compassati ma con una storia interessante che specie nel finale acquista maggiore convinzione attraverso il modo in cui viene individuato il possibile assassino psicopatico di turno. Musiche di Morricone, nel cast presente anche Bud Spencer nei panni di "Dio".
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blowup
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martedì 3 novembre 2015
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sbadigli a go-go
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Sarà il tempo che passa (per certi film più che per altri, a dire il vero). Ma ho trovato questo film davvero deboluccio. Sia nella trama, sia nella recitazione. Lo spettatore deve lavorare molto di fantasia per riempire i buchi e molto di empatia per accettare la inverosimilità delle situazioni. Insomma, come si dice per le commedie che il miglior ingrediente per ridere è la voglia di ridere, qui è la voglia di spaventarsi.
Tra l'altro, anche le scene "forti" sono particolarmente pudiche.
La trama è a dir poco sconclusionata (una donna che per vendicarsi del padre che la maltrattava, sposa una persona che gli somiglia... la vendetta che consiste nel tormentare il marito di sensi di colpa inducendolo a credere di aver ucciso uno sconosciuto.
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Sarà il tempo che passa (per certi film più che per altri, a dire il vero). Ma ho trovato questo film davvero deboluccio. Sia nella trama, sia nella recitazione. Lo spettatore deve lavorare molto di fantasia per riempire i buchi e molto di empatia per accettare la inverosimilità delle situazioni. Insomma, come si dice per le commedie che il miglior ingrediente per ridere è la voglia di ridere, qui è la voglia di spaventarsi.
Tra l'altro, anche le scene "forti" sono particolarmente pudiche.
La trama è a dir poco sconclusionata (una donna che per vendicarsi del padre che la maltrattava, sposa una persona che gli somiglia... la vendetta che consiste nel tormentare il marito di sensi di colpa inducendolo a credere di aver ucciso uno sconosciuto.... l'assassino che deve fare una carbneficina perchè viene praticamente smascherato da tutti quelli che passano per il film, tranne che dalla vittima designata...), le situazioni e le reazioni dei personaggi al limite del ridicolo.
L'unico merito che va riconosciuto al film è una certa forza visiva di alcune scene. Penso alla scena nei giardinetti pubblici.
A parte questo, tutto si gioca sull'allusione e sulla disponibilità dello spettatore di stare al gioco. Come il titolo. Fortemente evocativo di chissà cosa, in realtà si risolve in ben poca cosa.
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blowup
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mercoledì 14 ottobre 2015
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sbadigli...
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Sarà il tempo che passa (per certi film più che per altri, a dire il vero). Ma ho trovato questo film davvero deboluccio. Sia nella trama, sia nella recitazione. Lo spettatore deve lavorare molto di fantasia per riempire i buchi e molto di empatia per accettare la inverosimilità delle situazioni. Insomma, come si dice per le commedie che il miglior ingrediente per ridere è la voglia di ridere, qui è la voglia di spaventarsi.
Tra l'altro, anche le scene "forti" sono particolarmente pudiche.
L'unico merito che va riconosciuto al film è una certa forza visiva di alcune scene. Penso alla scena nei giardinetti pubblici.
A parte questo, tutto si gioca sull'allusione e sulla disponibilità dello spettatore di stare al gioco.
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Sarà il tempo che passa (per certi film più che per altri, a dire il vero). Ma ho trovato questo film davvero deboluccio. Sia nella trama, sia nella recitazione. Lo spettatore deve lavorare molto di fantasia per riempire i buchi e molto di empatia per accettare la inverosimilità delle situazioni. Insomma, come si dice per le commedie che il miglior ingrediente per ridere è la voglia di ridere, qui è la voglia di spaventarsi.
Tra l'altro, anche le scene "forti" sono particolarmente pudiche.
L'unico merito che va riconosciuto al film è una certa forza visiva di alcune scene. Penso alla scena nei giardinetti pubblici.
A parte questo, tutto si gioca sull'allusione e sulla disponibilità dello spettatore di stare al gioco. Come il titolo. Fortemente evocativo di chissà cosa, in realtà si risolve in ben poca cosa.
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phoenix000
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sabato 15 agosto 2015
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atmosfera suggestiva.
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Non lo avevo mai visto fino a ieri e mi ha affascinato. L' atmosfera tipica da primissimi anni '70 aggiunta a molte tipiche caratteristiche dei classici di Dario Argento. Oltre a godibili divagazioni nella commedia, ottimi i personaggi interpretati da Bud Spencer e Oreste Lionello, ed anche qualcosa del sexy all'italiana.
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fabio1957
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lunedì 25 maggio 2015
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grande argento
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A questo film sono particolarmente legato,era il 1971 quando l'ho visto al cinema Augusteo di Napoli, la prima volta,avevo 14 anni e rimasi affascinato da questo giallo assolutamente originale per l'epoca.Tratteggiatto da musiche eccellenti di Morricone, rappresenta insieme a Profondo rosso ma più di questo, la vetta massima raggiunta dal regista prima di virare verso forme espressive più horror e meno poliziesche.Il meccanismo del film è una perfetta e oliata macchina thriller, che rapisce completamente lo spettatore che resta disorientato e ammaliato dal racconto, .Alcune scene sono da antologia:i giardini pubblici che si svuotano improvvisamente lasciando la vittima sola e chiusa lì dentro in balia dell'assassino, il sogno della decapitazione tra realtà ed immaginazione e la trovata veramente geniale di carattere pseudo -scientifico dell'esame dell'occhio di una delle vittima,che ha impressa sulla retina l'ultima cosa che ha visto, cioè il suo assassino,o quello che portava.
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A questo film sono particolarmente legato,era il 1971 quando l'ho visto al cinema Augusteo di Napoli, la prima volta,avevo 14 anni e rimasi affascinato da questo giallo assolutamente originale per l'epoca.Tratteggiatto da musiche eccellenti di Morricone, rappresenta insieme a Profondo rosso ma più di questo, la vetta massima raggiunta dal regista prima di virare verso forme espressive più horror e meno poliziesche.Il meccanismo del film è una perfetta e oliata macchina thriller, che rapisce completamente lo spettatore che resta disorientato e ammaliato dal racconto, .Alcune scene sono da antologia:i giardini pubblici che si svuotano improvvisamente lasciando la vittima sola e chiusa lì dentro in balia dell'assassino, il sogno della decapitazione tra realtà ed immaginazione e la trovata veramente geniale di carattere pseudo -scientifico dell'esame dell'occhio di una delle vittima,che ha impressa sulla retina l'ultima cosa che ha visto, cioè il suo assassino,o quello che portava.
Grande Dario Argento
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fabio1957
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martedì 10 marzo 2015
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ingiustamente dimenticato
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Questo film che raramente passano in tv, è stato uno dei thriller preferiti del mio periodo adolescenziale.Forse un pò snobbato dalla critica, ritengo invece sia un sofisticato, suggestivo e riuscito congegno artistico, che riesce a impressionare,spaventare e catturare lo spettatore. Affianca ad una trama originale ed intrigante,scenografie e musiche di grandissimo effetto.Anche rivisto dopo molti anni non ha perso il suo fascino originario,collocandosi tra i migliori fims di Dario Argento, che prima della svolta horror, era un grande artigiano del thriller psicologico e confezionava delle piccole perle.
Da rivedere
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