jekyll
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domenica 20 dicembre 2015
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il teatro della vita
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Il procede su due livelli, reale e fantastico. Fellini scopre la finzione, l'inganno di quello che viene proposto come reale attraverso la scena del bagno, facendo sentire il rumore delle luci di scena. In questo momento crollano i confini tra fantasia e realtà, che erano stati nettamente definiti dallo stacco tra la prima sequenza chiaramente onirica alla successiva chiaramente realistica. Non vediamo mai il film che Guido voleva realizzare, perchè esso è la sua vita. Egli agisce da regista solo alla fine del film, accettando e riconciliandosi con tutti e con tutto. Fellini racconta una crisi esistenziale privata che dall'autobiografismo si allarga fino a una riflessione su quella dell'uomo contemporaneo.
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Il procede su due livelli, reale e fantastico. Fellini scopre la finzione, l'inganno di quello che viene proposto come reale attraverso la scena del bagno, facendo sentire il rumore delle luci di scena. In questo momento crollano i confini tra fantasia e realtà, che erano stati nettamente definiti dallo stacco tra la prima sequenza chiaramente onirica alla successiva chiaramente realistica. Non vediamo mai il film che Guido voleva realizzare, perchè esso è la sua vita. Egli agisce da regista solo alla fine del film, accettando e riconciliandosi con tutti e con tutto. Fellini racconta una crisi esistenziale privata che dall'autobiografismo si allarga fino a una riflessione su quella dell'uomo contemporaneo. La sequenza dell'harem é una dilatazione autoironica, autocritica delle fantasie maschiliste e sessiste del protagonista, con la sua nevrosi sessuale, che corrisponde a quella dell'italiano medio. La scena viene subito dopo quella immaginaria della impossibile amicizia tra la moglie e l'amante. La discesa ai vapori termali sembra operare una relazione del purgatorio cristiano con la pagana "mens sana in corpore sano". Il film riprende opera alcuni sviluppi e risoluzioni di temi e personaggi de "La dolce vita", come il padre, nella scena del cimitero, e il rapporto con la donna, del quale é sottile metafora l'intero film, come avveniva nel precedente: Luisa, la moglie, è una sintesi di Emma e di Maddalena (la stessa attrice, Anouk Aimèe), quest'ultima spostata in una variazione piccolo borghese nella figura di Carla (Sandra Milo). Caterina Boratto rappresenta, come in una visione estatica, inavvicinabile, l'eterno feminino come Anita Ekberg. Claudia (Claudia Cardinale), che non farà parte delle donmne dell'harem, é quello che tutte le altre donne, moglie compresa, non sono, é fatta di tutto quello che nelle altre manca; perciò viene definita, dall'intellettuale che Guido ha al suo fianco (e che nelle sue fantasie fa una brutta fine, come la faceva l'intellettuale de "La dolce vita") come il peggiore tra i simboli del film (come avrebbe definito la ragazzina del finale del film precedente). La realtà non è meno grottesca dell'immaginazione, come la conferenza stampa della produzione. Il personaggio con il quale Guido intrattiene un rapporto da collega é Maurice, il mago, il telepata, il veggente col quale egli si identifica e che annuncia il finale del film. "Otto e mezzo" è pressochè unanimemente celebrato per gli eccezionali pregi del linguaggio cinematografico (le avanguardie artistiche hanno annoverato Fellini uno di loro) più che per la sincerità della confessione (lo stesso Fellini ha affermato che il film é totalmente fantastico e il meno riferibile a fatti suoi personali) e la validità generale di una conclusione di un percorso che resta individuale. Storia di un film che Fellini non è riuscito a realizzare, "Otto e mezzo" racconta la contraddittorietà della creazione artistica, insieme confusa, bricconesca, mascalzonesca e abile, dedita, tenace, coscienziosa.
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angelino67
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venerdì 27 maggio 2016
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la perfezione del nulla
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Otto e mezzo parla di te, del tuo lavoro, dei tuoi rapporti con le donne... almeno per una intera generazione questo é stato il film, che racconta una situazione esistenziale così come faceva "La dolce vita", questa volta concentrandosi sul privato, e maturando le intuizioni e le geniali soluzioni cinematografiche del film precedente, con il quale costituisce una cerniera di capolavori nella filmografia felliniana, che, almeno in quegli anni, non aveva pari nel mondo. Il film é una eccezionale prova di linguaggio cinematografico, che, quando non usa soluzioni da cinema d'avanguardia, utilizza al massimo i contributi di talenti straordinari come il fotografo Gianni di Venanzo, l'ultimo dei grandi del bianco e nero, incoraggiato a sperimentare, il fido Nino Rota, che compone una delle sue colonne sonore celebri in tutto il mondo, lo scenografo e costumista Piero Gherardi che raddoppia l'Oscar già conseguito con "La dolce vita".
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Otto e mezzo parla di te, del tuo lavoro, dei tuoi rapporti con le donne... almeno per una intera generazione questo é stato il film, che racconta una situazione esistenziale così come faceva "La dolce vita", questa volta concentrandosi sul privato, e maturando le intuizioni e le geniali soluzioni cinematografiche del film precedente, con il quale costituisce una cerniera di capolavori nella filmografia felliniana, che, almeno in quegli anni, non aveva pari nel mondo. Il film é una eccezionale prova di linguaggio cinematografico, che, quando non usa soluzioni da cinema d'avanguardia, utilizza al massimo i contributi di talenti straordinari come il fotografo Gianni di Venanzo, l'ultimo dei grandi del bianco e nero, incoraggiato a sperimentare, il fido Nino Rota, che compone una delle sue colonne sonore celebri in tutto il mondo, lo scenografo e costumista Piero Gherardi che raddoppia l'Oscar già conseguito con "La dolce vita". Il film é stato il primo a vincere il primo premio al di quà e al di là della cortina di ferro, a New York e a Mosca, dove il cosmonauta Titov, il secondo uomo nello spazio dopo Gagarin, lo ha definito "più misterioso del cosmo". Particolarmente riuscito il personaggio di Carla, interpretato da Sandra Milo, l'amante sciocchina e graziosa che vorrebbe che il protagonista le sistemasse il marito. Fellini mette in scena il senso di colpa del protagonista che tradisce la moglie non più con le prostitute dei bordelli (che erano stati chiusi qualche anno prima) ma con una donna che pur accettando un ruolo subalterno chiede di essere amata. Dopo "La dolce vita", che era segnata dal funesto personaggio dell'intellettuale che uccideva i figli e si suicidava perché aveva perso ogni fede nella vita, "Otto e mezzo" afferma, preannunciato dal sorriso della angelica Paolina nel finale del precedente film, la capacità fanciullesca, ingenua, di sognare, e la creazione artistica - qui sta il valore assoluto del film - come concretizzazione adulta della fantasia infantile. Uno dei temi importanti é quello della religione: per Fellini la crisi del sentimento religioso, che ha sempre svolto una funzione positiva, é in relazione a quella degli altri valori. Qui egli chiama in causa gli errori della chiesa secolare (come anche i vizi degli italiani male abituati in merito, come si vede anche nei precedenti film). Con il suo linguaggio onirico "Otto e mezzo" rompe con il passato e inaugura la seconda maniera espressiva felliniana, di cui "La dolce vita" rappresentava un momento di passaggio. Lo spunto del film fu molto geniale: Fellini si trovava proprio nella identica condizione del regista protagonista, e questo gli ha dato la illuminazione - il fallimento creativo che raccontato, diventa creazione - per un opera straordinaria che si svolge su diversi livelli, a volte accomunati nella narrazione, nella stessa inquadratura o attraverso un montaggio straniante: il presente, la memoria e la fantasia. Come ne "La dolce vita" il cast é sterminato; molte sono le figure importanti e moltissime quelle minori. Fellini aveva anche anticipato quella crisi espressiva che lo colse nella seconda metà degli anni '60, poi superata sempre attraverso il piacere di raccontare e l'amore per il lavoro, come questo film che lo giustifica, e noi tutti.
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parsifal
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martedì 30 gennaio 2018
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visioni e paure
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IL Maestro Fellini, nel 1963, giunga a realizzare uno dei suoi più controvesi ed attraenti capolavori.IL titolo deriva dal fatto che il film in questione, dopo i sei diretti da solo ed i tre , condiretti con altri autori, sarebbe giustappunto l'ottavo e mezzo. Il suo intento , come disse ai produttori, era quello di mettere in scena , i pensieri , i sogni , le paure di un uomo di mezz'età raggiunto da una crisi personale e professionale. Inizialmente ci furono delle difficoltà , il copione non esisteva ed il Maestro stesso non riusciva a dar corpo alle sue stesse idee . Poi , le cose si appianarono e conferito l'incarico a Mastroianni per interpretare Guido Anselmi, regista di mezz'età in crisi , si comincò con la lavorazione vera e propria.
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IL Maestro Fellini, nel 1963, giunga a realizzare uno dei suoi più controvesi ed attraenti capolavori.IL titolo deriva dal fatto che il film in questione, dopo i sei diretti da solo ed i tre , condiretti con altri autori, sarebbe giustappunto l'ottavo e mezzo. Il suo intento , come disse ai produttori, era quello di mettere in scena , i pensieri , i sogni , le paure di un uomo di mezz'età raggiunto da una crisi personale e professionale. Inizialmente ci furono delle difficoltà , il copione non esisteva ed il Maestro stesso non riusciva a dar corpo alle sue stesse idee . Poi , le cose si appianarono e conferito l'incarico a Mastroianni per interpretare Guido Anselmi, regista di mezz'età in crisi , si comincò con la lavorazione vera e propria. Guido si trova in una stazione termale , per ritrovare la sua forma perduta. E' seguito , oltre che dai medici, anche dalla corte multicolore; collaboratori di ogni specie, il solerte Conocchia che non sa più come portatre a termine il proprio lavoro, altri invece che approfittano del proprio ruolo per avere dei vantaggi di vario genere, un intellettuale, imposto dal produttore, grigio e tetro , che non fa altro che subissarlo di critiche, tentando di dissuaderlo da qualsivoglia afflato creativo. Le scene inerenti la realtà si sovrappongono alle visioni oniriche, in questo film particolarmente vivide e pungenti, oltrechè ai ricordi ed alle fantasie più profonde del protagonista. Che viene dipinto come un uomo volitivo , autoritario e notevolmente egoista e ciononostante circondato dall'affetto sincero di molti tra cui Carla ,,la sua amante , che lo ama candidamente, pur essendo relegata ai margini della sua vita. Memorabile la scena dell'harem che si svolge in casale contadino, luogo assai caro al regista, all'interno del quale si trovano le donne che hanno popolato la sua esistenza, Stanche del suo tiranneggiare, lo sottopongono ad un processo sommario , dal quale esce perdente. Vennero poi realizzati due finali , uno dei quali è stato rinvenuto solo di recente. Nella prima stesura , per facilitare la chiave di lettura dello spettatore , le scene oniriche erano virate seppia o blu, cosicchè potevano essere identificate più facilmente. Ma quest'accorgimento venne poi perso in fase di lavorazione, enon è detto che sia un pecca , poichè rende la narrazione non lineare ,come voleva il regista. Capolavoro incentrato su sè stesso, tra serio e faceto , tra inconscio e realtà , senza trascurare mai la fantasia, perchè come diceva lui stesso " Sono un gran bugiardo".
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frdb82
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sabato 21 maggio 2005
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alternativa in fellini all'autobiografia di 8 1/2
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Opinione diffusa sul cinema di Federico Fellini è che oggetto immediato e unico dell'analisi e della rappresentazione sia il sè dell'autore, che ogni film di Fellini sia direttamente Fellini e nient'altro, non potendosi affatto distinguere fra realtà e autobiografia, fra esterno e interno, stante la personalità avvolgente e sviluppata oltre misura dell'autore. A mio avviso si potrebbe invece distinguere l'opera a seconda se oggetto diretto sia l'autore o la realtà che lo circonda: l'autore, coltosi nelle pulsioni più intime, nei sogni più nascosti, nel rimosso più inesplorabile, nei vertici e abissi dell'anima, la realtà, oggetto di impressioni individuali e di trasfigurazione, di deformazione e di caricatura, ma in primo luogo oggetto di osservazione e fonte a sè stante e inesauribile di stimoli.
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Opinione diffusa sul cinema di Federico Fellini è che oggetto immediato e unico dell'analisi e della rappresentazione sia il sè dell'autore, che ogni film di Fellini sia direttamente Fellini e nient'altro, non potendosi affatto distinguere fra realtà e autobiografia, fra esterno e interno, stante la personalità avvolgente e sviluppata oltre misura dell'autore. A mio avviso si potrebbe invece distinguere l'opera a seconda se oggetto diretto sia l'autore o la realtà che lo circonda: l'autore, coltosi nelle pulsioni più intime, nei sogni più nascosti, nel rimosso più inesplorabile, nei vertici e abissi dell'anima, la realtà, oggetto di impressioni individuali e di trasfigurazione, di deformazione e di caricatura, ma in primo luogo oggetto di osservazione e fonte a sè stante e inesauribile di stimoli. Una realtà-alterità restituitaci in tutta la sua primigenia suggestione e imponenza, dai richiami più viscerali e nascosti, pregna di mistero, sondata nel profondo: la donna come archetipo ma anche oggettività dalle coordinate storico-sociali ben determinate: la fanfara calda, colorita e roboante dell'Italietta fascista in Amarcord, la campagna contemporanea d'Italia, notturna, fuori del tempo e residuale, ai limiti dell'insanità mentale e della bestialità ne La voce della Luna, la trivialità di massa dirompente negli anni '80 (questo graduale allentarsi dei freni inibitori e addormentarsi soffice nel vuoto, confondendosi corpo fra i corpi, richiamo bestiale e ammaliante che si colora di pop e di consumismo) in Ginger e Fred, la capitale nei suoi sipari interni e sottoboschi antropologici, terreno fertile, in quanto città eterna, per esperire l'inarrestabile scorrere del Tempo in Roma, ecc. Personalmente amo molto più quest'anima impressionistica-realista rispetto a quella prettamente individuale e solipsistica, che sento meno convincente, troppo autocelebrativa e autocompiaciuta
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[+] notevole, davvero
(di karmobolo)
[ - ] notevole, davvero
[+] concordo con karmobolo!
(di sgubonius)
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[+] solipsismo autocompiaciuto!???
(di poggi)
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catullo
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lunedì 25 ottobre 2010
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il grande narciso
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Fellini che trasforma la sua crisi creativa dopo i trionfi della "dolce vita" in un film epico tra i più copiati della storia del cinema. Introduce l'onirico e la psicoanalisi nel linguaggio cinematografico lui che dai tempi de "la strada" è in psicanalisi junghiana. Ma sono convinto che il suo enorme narcisimo da grande affabulatore si serviva di questa terapia in cui cercava i segreti dei sogni e del subconscio scavando in se stesso come il cercatore d'oro scava nel letto del fiume o nelle viscere della terra. lo sappiamo che Fellini alle 10 di sera salutava tutti e andava a letto per sognare.Accusato di essere un narciso ripetitivo fellini ha coperto lo spazio di decenni con film uguali ai suoi sogni ma profondamente e fondalmentamente diversi l'uno dall'altro.
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biancaritacataldi
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mercoledì 17 agosto 2011
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la non-idea
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1963. La prigione di Alcatraz ritira finalmente i suoi artigli e viene chiusa per sempre. Martin Luther King tiene il discorso I have a dream dinanzi ad un’immensa folla, piccola parte di un’umanità che sta cambiando. In una sera di giugno, il mondo perde Giovanni XXIII. Mina canta Stessa spiaggia, stesso mare con un taglio di capelli a caschetto che ha fatto storia. E Federico Fellini gira un film che non è un film. Lo intitola provvisoriamente “8 ½” perché non gli viene in mente niente di meglio. Perché non ha un’idea precisa, per la verità. Il grande regista si è ormai lasciato travolgere da una caotica giostra di pensieri, che vortica dentro di lui e che preme, preme insistentemente contro le pareti del suo corpo per uscire.
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1963. La prigione di Alcatraz ritira finalmente i suoi artigli e viene chiusa per sempre. Martin Luther King tiene il discorso I have a dream dinanzi ad un’immensa folla, piccola parte di un’umanità che sta cambiando. In una sera di giugno, il mondo perde Giovanni XXIII. Mina canta Stessa spiaggia, stesso mare con un taglio di capelli a caschetto che ha fatto storia. E Federico Fellini gira un film che non è un film. Lo intitola provvisoriamente “8 ½” perché non gli viene in mente niente di meglio. Perché non ha un’idea precisa, per la verità. Il grande regista si è ormai lasciato travolgere da una caotica giostra di pensieri, che vortica dentro di lui e che preme, preme insistentemente contro le pareti del suo corpo per uscire. Un disordine che muove la sua penna verso una sceneggiatura che altro non è se non delirante poesia: parole che riecheggiano sul fondo degli incubi di ieri, di oggi e di sempre, parole che lottano contro il vuoto di significato per rivendicare la loro assoluta legittimità. E intanto, passano i giorni. C’è un film da realizzare, e ci sono produttori da mettere a tacere e risposte da dare alle infinite domande che gli vengono rivolte, ma Fellini non ha altre idee al di là di questa geniale, caotica Non-Idea. Dunque, il titolo. Un titolo messo lì per caso, perché non c’era niente di meglio. Eppure, quelle cifre – 8 ½ - sono l’estrema, matematica, sintesi di ciò che accade nella mente del regista. L’otto, perfetto nelle sue rotondità infinitamente percorribili, sembra quasi ricalcare l’ordine insito nei film già realizzati. Un numero che è completezza, che non si interrompe mai, che insegue continuamente le proprie curve senza scossoni né singhiozzi. Otto film. Otto idee. Poi, ½. Che non sembra nemmeno un numero, con quel taglietto obliquo che divide l’uno dal due. Un Non-Numero per una Non-Idea. L’incompletezza. L’imperfezione. L’interrotto. Otto film e un episodio. 8 ½, semplici numeri che quasi feriscono lo sguardo nel momento in cui appaiono nei titoli di testa, immobili nei loro caratteri gotici contro il nero dello sfondo. E qualche istante dopo questa fugace apparizione, il film ha inizio. Uno splendido Mastroianni in camicia inamidata si muove sicuro di sé in un personaggio che, al contrario, è insicuro e instabile. Un personaggio – Guido Anselmi, regista di mezza età alle prese con un nuovo film – in profonda crisi interiore. In lui, l’artista e l’uomo sembrano inizialmente seguire due strade diverse, ognuno perso nei suoi problemi e, tuttavia, pericolosamente vicini. Nella prima metà del film, infatti, è la crisi dell’uomo a prevalere: le numerose donne sono ancora reali, presenti, per così dire verosimili. I ricordi d’infanzia, che frenano di tanto in tanto il flusso già di per sé incostante della narrazione, sono di volta in volta critiche alla famiglia, alla Chiesa e all’istruzione, rielaborate dalla mente dell’uomo maturo. Nella seconda metà del film, invece, la crisi dell’artista - alle prese con un film che sembra irrimediabilmente destinato a divenire un aborto – si confonde con quella della persona stessa. Le scene iniziano a mescolarsi e a vorticare, il tempo diventa Fuori-tempo, e la Non-Idea, che aveva ormai occupato la mente del regista Fellini, entra prepotentemente nei pensieri del regista Anselmi, il protagonista. Un film nel film, dunque. E lo spettatore non può più distinguere la realtà dalla fantasia, il vero dal falso. Il realistico cede il passo a un più largo verosimile che diviene infine, dopo una disperata accelerazione, surreale. Particolarmente interessante è il ripetersi, nel corso del film, dell’espressione “Più niente da dire”. Queste parole compaiono più volte sulle labbra del protagonista, che non riesce a venire capo del suo film, ma ancor più sulle labbra di sua moglie, Luisa, interpretata da un’Anouk Aimée splendidamente gelida e nervosa. Nel finale, Luisa grida addirittura “He has nothing to say” traducendo in inglese, dunque, la suddetta espressione. L’inglese è voluto e indispensabile, poiché è l’unica lingua che tutti i personaggi del film, attrici e attori di diverse nazionalità, possono comprendere. Luisa, quindi, rende definitivamente pubblica la disfatta di suo marito: tutti i personaggi del film e tutti gli spettatori al di là dello schermo devono sapere che Guido Anselmi ha fallito, che non ha più nulla da dire. E per ben due volte, nel film, il personaggio Guido muore: all’inizio, in una macchina piena di gas dinanzi agli occhi spenti e distratti degli altri, e alla fine. E non è un caso che Guido, pressato da tutte le donne e le attrici e i produttori della sua vita, si nasconda sotto un tavolo e si spari alla tempia dicendo “Datemi un attimo, devo pensare a cosa dire”. Cosa dire. Cosa dire. E’ questa la chiave dell’intero film: il disordine del pensiero che, tuttavia, è comunicazione, al contrario di ciò che Guido e Luisa credono. E’ il caos, ciò che il regista – Guido, ma anche Fellini – ha da dire. Dunque quel He has nothing to say è una bugia, così come sono una menzogna la macchina piena di gas e lo sparo sotto il tavolo. Infine, il protagonista giunge alla resa dei conti. L’enfer c’est les autres, scriveva Sartre. Guido, invece, capovolge questa affermazione, nel momento in cui capisce di dover accettare gli altri, il suo passato e tutto ciò che lo circonda per ricominciare a vivere. Significativa, infatti, è la scena dei provini: il produttore costringe Guido a guardare, e riguardare, le registrazioni dei provini per scegliere gli attori adatti al film. E gli attori in questione altro non sono che coloro che hanno popolato la vita di Guido. Accettando gli attori e scegliendoli per il suo film, il regista accetta tutte le persone – reali – che lo hanno accompagnato negli anni. Le donne del suo passato diventano personaggi, la realtà si capovolge e il film diviene, lentamente, inesorabilmente, uno specchio appena un po’ incrinato della sua vita. E tuttavia, così come il film, inizialmente destinato al fallimento, viene improvvisamente riportato alla luce negli ultimi minuti della pellicola, così la vita del protagonista ricomincia sotto la protezione di un imprevedibile ottimismo. Ecco spiegata, dunque, la scena finale: niente di meglio del circo, infatti, può esprimere la gioia improvvisa, la liberazione del protagonista, il ritorno del bambino che è in lui. Infatti, proprio nella scena finale, ricompare il bambino Guido, per la prima volta vestito di bianco. E’ lui, infatti, a dirigere la piccola orchestra che lo segue senza sosta in circolo, come in una stramba processione. L’innocenza del bambino prende il sopravvento sul disordine, sulla folla di gente – gli altri, appunto – che Guido ha finalmente imparato ad accettare. “Ma che cos'è questo lampo di felicità che mi fa tremare, mi ridà forza, vita? Vi domando scusa, dolcissime creature; non avevo capito, non sapevo. Com'è giusto accettarvi, amarci. E come è semplice! Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare. Ma non so dire... Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso. Ma questa confusione sono io, io come sono, non come vorrei essere adesso.” grida Guido, giunto ormai al termine della sua lotta interiore. E così, al ritmo della musica frizzante di Nino Rota, si chiude il film, spegnendosi al di sopra di ogni personaggio e lasciando soltanto il bambino al centro della scena, vestito di bianco, fermo nel suo limitato, e tuttavia splendente, alone di luce.
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no_data
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mercoledì 29 aprile 2015
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rappresentazione dell'anima
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Sogno, realtà, ricordi, visioni si intrecciano e cercano di delineare la soggettività, i tormenti, l'indecisione e la visione del mondo di Guido alias Federico, artista confuso immerso nell'Italia del boom.
Il regista, con un progetto che non riesce ad ultimare, è soffocato dalle continue richieste da parte della sua troupe (attrici, produttore, tecnici) e dalle pressioni dell'amante e della moglie (è evidente il contrasto tra sogno e realtà). Per difendersi Guido fugge, mente spudoratamente e si rintana in sé stesso, nei suoi ricordi, nei suoi sogni.
Quella di Guido (un Mastroianni fantastico) è la parabola dell'artista disilluso, che ha perso la gioia di vivere con gli altri; è Federico Fellini che mostra con sincerità le sue paure, i suo pensieri; è l'artista che, intrappolato nel traffico della società, spicca un volo irrazionale e viene riportato a terra bruscamente dalla realtà; è un sognatore ingenuo e sincero che desidera un harem dove amanti, mogli e puttane vadano d'accordo; è l'individuo che infine capisce l'importanza del vivere insieme, nel bene e nel male, cercando di cogliere il ritmo di quella danza che è la vita.
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Sogno, realtà, ricordi, visioni si intrecciano e cercano di delineare la soggettività, i tormenti, l'indecisione e la visione del mondo di Guido alias Federico, artista confuso immerso nell'Italia del boom.
Il regista, con un progetto che non riesce ad ultimare, è soffocato dalle continue richieste da parte della sua troupe (attrici, produttore, tecnici) e dalle pressioni dell'amante e della moglie (è evidente il contrasto tra sogno e realtà). Per difendersi Guido fugge, mente spudoratamente e si rintana in sé stesso, nei suoi ricordi, nei suoi sogni.
Quella di Guido (un Mastroianni fantastico) è la parabola dell'artista disilluso, che ha perso la gioia di vivere con gli altri; è Federico Fellini che mostra con sincerità le sue paure, i suo pensieri; è l'artista che, intrappolato nel traffico della società, spicca un volo irrazionale e viene riportato a terra bruscamente dalla realtà; è un sognatore ingenuo e sincero che desidera un harem dove amanti, mogli e puttane vadano d'accordo; è l'individuo che infine capisce l'importanza del vivere insieme, nel bene e nel male, cercando di cogliere il ritmo di quella danza che è la vita.
Le musiche di Rota sono fantastiche e sono rimaste impresse nella cultura italiana. Mille dettagli sono da cogliere, mille sfumature da interpretare. E' frequente l'utilizzo dello sguardo in camera, per l'immedesimazione in Guido. Continua l'interesse di Fellini per la Chiesa, l'insegnamento cattolico e i sensi di colpa che esso sviluppa nell'individuo sin dall'infanzia. Si percepisce quasi sempre quando Guido sogna o ricorda. Le scene memorabili sono molte: l'harem, il ballo di Saraghina, il volo, i ricordi dell'infanzia in romagna (divertentissimo il dialetto stretto della nonna) e nella casa religiosa, l'incontro coi genitori..
"La storia è quella di un regista che non riesce ad ultimare un film, ma in un altro senso, la confusione che ha il regista, è anche la confusione che c'è in ognuno di noi.."
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great steven
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giovedì 2 gennaio 2020
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il mestiere di chi campa sulla propria fantasia.
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8½ (IT/FR, 1963) diretto da FEDERICO FELLINI. Interpretato da MARCELLO MASTROIANNI, ANOUK AIMéE, SANDRA MILO, CLAUDIA CARDINALE, ROSSELLA FALK, BARBARA STEELE, GUIDO ALBERTI, MARIO PISU, CATERINA BORATTO, ANNIBALE NINCHI, EDRA GALE, GIUDITTA RISSONE, POLIDOR
In crisi esistenziale e professionale, alle prese con un film da girare, un regista cinematografico fa una mobilitazione generale di emozioni, affetti, ricordi, sogni, complessi, bugie. Tutto ciò che lo circonda si ricopre di una languida stanchezza. I suoi rapporti interpersonali si fanno sempre più complessi, le sue esigenze richiedono soddisfacimenti molto arzigogolati e l’ispirazione si fa sentire a singhiozzo facendogli rincorrere un’idea dopo l’altra senza un materiale interessamento.
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8½ (IT/FR, 1963) diretto da FEDERICO FELLINI. Interpretato da MARCELLO MASTROIANNI, ANOUK AIMéE, SANDRA MILO, CLAUDIA CARDINALE, ROSSELLA FALK, BARBARA STEELE, GUIDO ALBERTI, MARIO PISU, CATERINA BORATTO, ANNIBALE NINCHI, EDRA GALE, GIUDITTA RISSONE, POLIDOR
In crisi esistenziale e professionale, alle prese con un film da girare, un regista cinematografico fa una mobilitazione generale di emozioni, affetti, ricordi, sogni, complessi, bugie. Tutto ciò che lo circonda si ricopre di una languida stanchezza. I suoi rapporti interpersonali si fanno sempre più complessi, le sue esigenze richiedono soddisfacimenti molto arzigogolati e l’ispirazione si fa sentire a singhiozzo facendogli rincorrere un’idea dopo l’altra senza un materiale interessamento. Fa costruire un’immensa impalcatura che forse servirà per le riprese di un film di fantascienza, ma nemmeno lui sa per che cosa l’abbia fatta edificare. In rotta sia con la moglie che con l’amante, incontra un vecchio amico anch’egli accompagnato da un’amante (per altro di trent’anni più giovane), allontana l’addetto agli effetti speciali della sua crew che da tempo strisciava ai suoi piedi per un po’ di considerazione, ascolta svogliatamente coloro che gli propongono nuovi improbabili sceneggiature, vede attrici anziane in attesa di tornare alla ribalta per un ultimo colpo di coda e, accanto a loro, soubrette d’avanspettacolo che bramano visibilità, discute coi tecnici che urlano, parla con un critico che gli smonta le ambizioni registiche con un linguaggio infidamente ermetico… cerca consolazione presso un cardinale che, in risposta ai suoi dubbi, gli porta all’attenzione i cardellini. Continuamente in bilico fra realtà e immaginazione, la mente gli riporta le memorie del passato: il padre che incontra in uno scenario sepolcrale; le prime trasgressioni ai tempi delle scuole elementari; la maga che gli legge il futuro con la formula "Asa nisi masa"; la prima terra oramai sepolta nella profondità dei sogni. I timori, i misteri, le curiosità e le afflizioni proseguono fino al girotondo finale, scevro dalle preoccupazioni solo in apparenza e comunque pregno della vivacità di una galleria di personaggi che non si possono dimenticare. Dino Buzzati lo definì la masturbazione di un genio. Fellini racconta la sua vita eliminando alla radice i problemi rappresentativi e la vergogna e si fa cantore nonché esecutore di un rivoluzionario modo espressivo che influenzò il cinema mondiale degli anni ’50 e ’60, rinnovamento cominciato già con La dolce vita. In molti lo ritengono la sua più alta espressione artistica, il capolavoro massimo di un estro creativo dai confini non rintracciabili perché sconfinati. Vale senza ombra di dubbio per la sua importanza stilistica nella rottura della drammaturgia tradizionale, che permette di adocchiare un sistema narrativo che si muove per scorci e confusioni, attingendo ai contributi tecnici e artistici in maniera polivalente. Con un Mastroianni qui più che mai alter ego di Fellini, questo film s’ammanta di una pesantezza greve ottimamente compensata da una carrellata di interpretazioni sui generis che, facendosi promotrici di un messaggio ben preciso, esplorano gli ambiti reconditi della sessualità, dell’amore, della pazienza e del tradimento. Il pessimismo di fondo non c’è, poiché, se anche 81/2 non propone certo un discorso dai risvolti positivi, il tema della memoria necessaria al recupero di un equilibrio interiore si riscatta da sé con l’auto-aiuto dei sogni: vivere contribuisce a sognare. Il sogno è alimentato e arricchito dalla vita, e ne viene evocato a ogni piè sospinto. È inutile drammatizzare sul grande palcoscenico dell’esistenza. Qui tutto si compie, tutti i misteri vengono identificati. Il mondo del regista sale di dimensione per assurgere al panismo. Si evolve nella sua prima persona, come una sorta di inferno e paradiso onnicomprensivi, efficacissimi: il cinema felliniano è complice e intrigante, ruffiano, blasfemo e religioso, sottaniere e creante disagio, eroico e vigliacco, uomo e donna, qualunquista, apolitico, periferico, olimpico, provinciale. Ma la soglia di fantasia, magia e sortilegio è altissima, conquistabile solo da Fellini. Lui lo descrisse come un misto fra una sgangherata seduta psicoanalitica e un disordinato esame di coscienza in un’atmosfera da limbo. Una tappa avanzata nella storia della forma romanzesca. Una costruzione in abisso a tre stadi. Un Ben-Hur del cinema d’avanguardia. «L’enfer c’est les autres», affermò Jean-Paul Sartre. Fellini ribalta la sentenza: la vita – e il cinema – sono gli altri, i vivi e i morti, gli esseri reali e le creature fantastiche. Bisogna accettarli tutti con amore, gratitudine, solidarietà. 2 Premi Oscar: costumi (Pietro Gherardi), miglior film straniero. 7 Nastri d’Argento: film, produttore, soggetto, sceneggiatura, S. Milo, musiche (Nino Rota), fotografia (Gianni Di Venanzo). Diario di bordo di un autore che diventa anche il tentativo di un autoritratto con l’ausilio della fantasia e il rapporto su un ingorgo esistenziale.
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noia1
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lunedì 5 gennaio 2015
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il classico per eccellenza
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Un regista è in procinto di girare un film manca però la sceneggiatura.
Non so da dove cominciare, fin da subito salta all’occhio la bravura del regista con una sequenza onirica angosciante, così effettivamente è la vita di Guido Anselmi, regista all’apice del successo ora però in crisi, non una crisi artistica o esistenziale ma l’insieme di quelle più altre che lo prendono. Tramite l’esempio del regista, personaggio che di per sé è circondato da una marea di persone, Fellini mette in mostra quella che è la situazione dell’uomo contemporaneo, una persona piena di impegni e doveri spesso senza alcun senso come ad esempio l’impalcatura, una gigantesca struttura senza ruolo per il film in progetto.
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Un regista è in procinto di girare un film manca però la sceneggiatura.
Non so da dove cominciare, fin da subito salta all’occhio la bravura del regista con una sequenza onirica angosciante, così effettivamente è la vita di Guido Anselmi, regista all’apice del successo ora però in crisi, non una crisi artistica o esistenziale ma l’insieme di quelle più altre che lo prendono. Tramite l’esempio del regista, personaggio che di per sé è circondato da una marea di persone, Fellini mette in mostra quella che è la situazione dell’uomo contemporaneo, una persona piena di impegni e doveri spesso senza alcun senso come ad esempio l’impalcatura, una gigantesca struttura senza ruolo per il film in progetto.
Un folle viaggio nella mente di una persona che non ha più niente da dire consumato com’è da una vita estenuante, una commedia godibile all’insegna dell’assurdo, viaggio nelle fantasie di Marcello Mastroianni alias Guido, un carismatico Mastroianni, presenza enorme e piccola a seconda che la situazione lo richieda. Commedia che diventa immensa, bisogna leggerla però, dalla bellezza delle immagini, agli argomenti portati, agli eventi che si susseguono, tutto contribuisce a questo enigmatico prodotto che, a seconda di chi si pone a guardarlo regala un modo di essere affrontato.
D’impatto poi le sequenze – da manuale a parer mio – movimenti di telecamera di quarant’anni fa rendono ancora la loro spettacolarità, una commedia che, racchiudendo un’infinità di idee alla fine riesce a porle tutte, seppur in modo (volutamente) scombinato, comunque efficacemente. A tratti ci ritroviamo un dramma, una commedia, un film grottesco, un film di denuncia, tutti modi per farci ragionare sulla situazione italiana più che mai attuale malgrado la datazione.
Un regista di classe, posso portare un migliaio di esempi ad appoggiare questa tesi ma il metro di misura migliore restano i personaggi, sempre e comunque sopra le righe, irresistibili ma mai spregiudicati o volgari, esempi perfetti per fare scuola a chiunque, dal protagonista al produttore, dalle bellissime ragazze al suo amico intellettuale, tutti creano una cornice importantissima soprattutto perché la tecnica si può migliorare ma se un attore è bravo lo si vedeva un tempo, lo si vede ora e lo si vedrà sempre.
Piccolo promemoria, qualunque cosa fatta negli ultimi quarant’anni la si deve a questo prodotto, un film che ha fatto scuola a livello mondiale.
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stefanocapasso
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mercoledì 26 settembre 2018
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surreale ricerca del bambino interiore
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Guido è un regista in crisi che non sa come portare avanti il suo film di fantascienza. Il produttore incalza, il rapporto con la moglie non è buono e quello con l’amante procede stancamente. Proprio la noia e la stanchezza caratterizzano questa fase di stallo del film e della sua vita.
Fellini firma quello che è considerato il film d’autore per eccellenza, usando il dispositivo della mise en abyme, il film nel film. Nel protagonista trasferisce la sua stessa difficoltà di portare avanti quello che diventerà 8 e mezzo e lo usa per esplorare i suoi deliri onirici, i suoi rapporti familiari e amorosi; tutto è messo in discussione e in cerca di un senso perduto, che è parallelo a quello della società del tempo.
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Guido è un regista in crisi che non sa come portare avanti il suo film di fantascienza. Il produttore incalza, il rapporto con la moglie non è buono e quello con l’amante procede stancamente. Proprio la noia e la stanchezza caratterizzano questa fase di stallo del film e della sua vita.
Fellini firma quello che è considerato il film d’autore per eccellenza, usando il dispositivo della mise en abyme, il film nel film. Nel protagonista trasferisce la sua stessa difficoltà di portare avanti quello che diventerà 8 e mezzo e lo usa per esplorare i suoi deliri onirici, i suoi rapporti familiari e amorosi; tutto è messo in discussione e in cerca di un senso perduto, che è parallelo a quello della società del tempo. Una surreale riflessione pessimistica sulla condizione dell’uomo borghese e sui modi che adotta per dare un senso alla propria esistenza che è paragonata a quella di un circo ma che ha perso il contatto col bambino interiore. Proprio ritrovando quell’istinto e quella semplicità sarà possibile l’energia e l’ispirazione necessarie per completare il film
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