salvo
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mercoledì 7 marzo 2012
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l'assenza di dio.
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L'idea di “Luci d'inverno” venne a Bergman dopo aver visto il film di Bresson “Diario di un curato di campagna”.
Ma l'idea primigenia la ebbe diversi anni prima, quando immaginò che un uomo entrasse d'inverno, in una chiesa isolata e deserta, si sedesse nei pressi dell'altare e rivolto al Cristo dicesse: "Resterò qua fino a quando non mi parlerai”.
"Luci d'inverno” dispone di quattro personaggi centrali: il prete, la maestra, il pescatore, sua moglie.
Il pescatore sa che i cinesi hanno una bomba atomica e che si sia accumulata una quantità spregevole di odio tra loro e il resto del mondo.
L'uomo non può liberarsi di questo pensiero assillante.
Si è come pietrificato nel guscio chiuso della sua paura.
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L'idea di “Luci d'inverno” venne a Bergman dopo aver visto il film di Bresson “Diario di un curato di campagna”.
Ma l'idea primigenia la ebbe diversi anni prima, quando immaginò che un uomo entrasse d'inverno, in una chiesa isolata e deserta, si sedesse nei pressi dell'altare e rivolto al Cristo dicesse: "Resterò qua fino a quando non mi parlerai”.
"Luci d'inverno” dispone di quattro personaggi centrali: il prete, la maestra, il pescatore, sua moglie.
Il pescatore sa che i cinesi hanno una bomba atomica e che si sia accumulata una quantità spregevole di odio tra loro e il resto del mondo.
L'uomo non può liberarsi di questo pensiero assillante.
Si è come pietrificato nel guscio chiuso della sua paura.
Sua moglie lo convince ad andare a vedere il prete, dopo la celebrazione della messa, e a chiedergli aiuto e consiglio.
Il sacerdote è anch'egli un uomo molto turbato ed infelice.
Piange la moglie morta ed è incapace di provare tenerezza per la sua amica maestra, che lo adora, lo vorrebbe, e lo segue come un'ombra.
Il pastore cade anch'egli in una profonda crisi, un grande isolamento dagli altri, dal mondo, da se stesso: nel più completo e perfetto "silenzio di Dio".
Nella più completa “assenza di Dio”.
Il pescatore si suicida.
E' dovere del sacerdote dirlo alla moglie, prima di andare via per fornire il servizio di rito nella chiesa adiacente.
La maestra lo accompagna e trova la chiesa vuota.
Il prete vuole ugualmente celebrare il rito religioso.
Quando il crepuscolo invernale cade, va verso l'altare di fronte a una “congregazione” composta da una sola persona: la sua amica e spasimante maestra.
Un altro rigoroso, impietoso, chirurgico dramma da “camera” del Maestro.
Costretto in una scenografia scheletrica, essenziale, che spazia (si fa per dire) tra una chiesa fredda e desolata e le poche case di un villaggio dimenticato da Dio e dagli uomini.
La certezza della esistenza di Dio è (ri)messa in dubbio dal Pastore Thomas, che, dopo la perdita della moglie, ha perso completamente la fede, è attanagliato dai dubbi, non riesce più a trovare un significato alla propria esistenza.
Bello e intenso tutto, ma la parte migliore del film, quella più riuscita, più densa di significato, è sicuramente il finale.
Il Maestro lascia in sospeso lo spettatore nell'ambigua e difficile scelta: il pastore (ri)troverà Dio, accettando il suo silenzio come naturale, ed insieme eloquente, testimonianza della sua esistenza o continuerà a macerarsi nel suo dolore e nella sua perdita di fede, conducendo una esistenza ormai priva di ogni senso e di ogni significato?
Non si sa se, effettivamente, il pastore ritroverà la fede in Dio.In realtà il vero problema non è per il Maestro stabilire se la fede persa o mai trovata possa essere riconquistata, ma tracciare il percorso umano attraverso il quale essa viene persa, e/o possa essere ritrovata.
L'obiettivo di Bergman è di tracciare nel miglior modo cinematografico possibile i dubbi esistenziali delle persone, le crisi della loro coscienza, la tentazione intrattenibile di rifiutare la trascendenza, perchè non compresa o incomprensibile.
Bergman non ambisce a raccontare la conquista della fede; ma solo a raccontare il difficile, impervio, incerto cammino che ogni uomo percorre cercando la fede.
Insomma, il film è l'ennesima stimolazione bergmaniana alla speculazione filosofica sul significato dell'esistenza. Che, peraltro, continua a sfuggire.
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avicenna
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martedì 27 marzo 2007
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luci d'inverno
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dopo un buon "come in uno specchio",bergman gira il secondo capitolo della trilogia dedicata al silenzio di Dio,suscitando buone impressioni dalla critica che lo ritiene il migliore dei tre.la certezza della esistenza di Dio evidenziata dalla presenza dell'amore,certezza ke era stata aquisita nel finale di come in uno specchio,ora è messa in dubbio dal protagonista del film(gunnar bjornstrand)che,dopo la perdita della moglie,non riesce più a trovare un significato alla propria esistenza.La parte migliore del film è sicuramente il finale che lascia in sospeso lo spettatore:il prete troverà dio acettando il suo silenzio come naturale nell'ordine delle cose o continuerà a crogiolarsi nel dolore di un esistenza senza senso?Grande film sotto tutti i punti di vista,bergman forse per la prima volta lascia che sia lo spettatore a concludere il film con la propria opinione personale,ennesimo tentativo bergmaniano di stimolazione alla ricerca filosofica.
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eugenio
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domenica 13 febbraio 2011
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il silenzio di dio
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Film intenso,chirurgico e raggelato,”Luci di inverno”rappresenta una prova di autore del “cinema da camera” del regista Bergman. Siamo in una sperduta comunità all’estremità della Svezia: qui un pastore luterano, Tomas (Gunnar Bjornstrand), ha perso la fede in Dio,non sa consolare i fedeli parlando loro con distacco di argomenti divini e si interroga,senza fornire risposta, sul “silenzio di Dio”.Attorno a questa sorta di “uomo macchina” che officia messe sterili, si intrecciano altre storie: quelle dei coniugi Persson,dove Jonas (Max Von Sydow),il pater familias, è angosciato da quella vita che non sente piu’ sua, e che arriverà,scosso dalle parole del pastore a suicidarsi,della bella Marta (interpretata da Ingrid Thulin) che, in passato aveva avuto una relazione con il pastore e che è ancora innamorata di lui e che non si arrende all’abbandono e del sagrestano Algot, illuso conoscitore dei Vangeli.
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Film intenso,chirurgico e raggelato,”Luci di inverno”rappresenta una prova di autore del “cinema da camera” del regista Bergman. Siamo in una sperduta comunità all’estremità della Svezia: qui un pastore luterano, Tomas (Gunnar Bjornstrand), ha perso la fede in Dio,non sa consolare i fedeli parlando loro con distacco di argomenti divini e si interroga,senza fornire risposta, sul “silenzio di Dio”.Attorno a questa sorta di “uomo macchina” che officia messe sterili, si intrecciano altre storie: quelle dei coniugi Persson,dove Jonas (Max Von Sydow),il pater familias, è angosciato da quella vita che non sente piu’ sua, e che arriverà,scosso dalle parole del pastore a suicidarsi,della bella Marta (interpretata da Ingrid Thulin) che, in passato aveva avuto una relazione con il pastore e che è ancora innamorata di lui e che non si arrende all’abbandono e del sagrestano Algot, illuso conoscitore dei Vangeli.
La cornice del dramma è il territorio ghiacciato di una Svezia invernale,scarnificata, in cui le persone e i fedeli sono in contatto tra loro ma vivono senza capirsi nel freddo della loro anima. Tale aspetto è enfatizzato dall’uso di un’austerità filmica che elimina ogni retorica della rappresentazione,riducendo i volti e gli sguardi all’essenzialità e alla meditazione dialogica,vera protagonista della pellicola.
Non è un caso infatti che la vicenda copra l’arco temporale di una giornata quasi come se nell’intento del regista ci fosse quella volontà di relegare quei dubbi religiosi e quel rapporto con un Dio che non da’ manifestazioni di se’ in un microcosmo avulso dalla civiltà, sottolineando,quindi,l’intensità interiore dei pochi personaggi coinvolti.
Il filo conduttore è uno di questi,un umile pastore,un uomo di Dio, un intermediario tra fede e credenza popolare ma,per converso,debole dinanzi a quel dovere di rappresentare la parola di Colui cui ha dedicato l’intera esistenza.
Il finale volutamente controverso,non scioglie i dubbi: il pastore che riprende a svolgere messa in una vuota chiesa cosa rappresenta? La meccanicità della fede oppure il ritrovamento di quest’ultima e la ferrea ostinazione nel raccontare la parola di Dio? Secondo le parole del sagrestano,durante la passione, Cristo sulla croce ha temuto di essere abbandonato,ha avuto paura del silenzio del padre. La stessa invocazione detta da Tomas quando non ha saputo aiutare lo smarrimento esistenziale di Jonas. Quindi,come Cristo,anche il pastore di “Luci d’inverno” ha sofferto per il silenzio di Dio. Questa affermazione fa capire come una speranza per Jonas di portare avanti la parola Fede esista, cosi’ come un possibile ripresa di quell’amore perduto con Marta.
La messa puo’ iniziare,anche se non c’e’ nessuno. L’importante è la piena consapevolezza dell’amore cioe’ della presenza di Dio. Se Dio è amore, l’assenza di tale sentimento corrisponde al silenzio del padre eterno? Chissa’. Questa ricerca inconclusa,questo bisogno irrisolto di comunione e comunicazione stabile con Dio sara' un motivo riccorrente nella filmografia del regista svedese sin dal capolavoro successivo (“Il silenzio” del 1963).
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lucaguar
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domenica 9 giugno 2013
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la sofferenza umana alla ricerca della verità
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Luci d'inverno è sicuramente un film unico e straordinario per vari aspetti.
Innanzitutto ciò che colpisce maggiormente è lo stile:scenografia essenziale,ambientazioni cupe e arcane(tipiche dei film di Bergman,come ne "Il settimo sigillo",ma qui portate all'estremo),ambientazione in un remotissimo villaggio svedese,lunghi e profondi dialoghi come raramente si sono visti nella storia del cinema.
Per quanto riguarda le tematiche,uno spettatore che pensa non può non uscire dalla visione di questa pellicola con mille dubbi e con una profonda riflessione sul rapporto Dio-uomo. Il grande Bergman sembra voler utilizzare lil cinema come espediente per raccontare i nostri (e suoi) turbamenti d'animo alla disperata ricerca della Verità,di un punto di equilibrio in un mondo in cui è così dificile non essere assaliti dal nichilismo e dalla disperazione per un Dio che è così arduo cercare dentro e soprattutto fuori noi stessi.
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Luci d'inverno è sicuramente un film unico e straordinario per vari aspetti.
Innanzitutto ciò che colpisce maggiormente è lo stile:scenografia essenziale,ambientazioni cupe e arcane(tipiche dei film di Bergman,come ne "Il settimo sigillo",ma qui portate all'estremo),ambientazione in un remotissimo villaggio svedese,lunghi e profondi dialoghi come raramente si sono visti nella storia del cinema.
Per quanto riguarda le tematiche,uno spettatore che pensa non può non uscire dalla visione di questa pellicola con mille dubbi e con una profonda riflessione sul rapporto Dio-uomo. Il grande Bergman sembra voler utilizzare lil cinema come espediente per raccontare i nostri (e suoi) turbamenti d'animo alla disperata ricerca della Verità,di un punto di equilibrio in un mondo in cui è così dificile non essere assaliti dal nichilismo e dalla disperazione per un Dio che è così arduo cercare dentro e soprattutto fuori noi stessi. Questi sono i turbamenti che prova Tomas (un intenso Gunnar Bjornstrad) un pastore che,rimasto vedovo, è caduto in un baratro di dubbi e che,persa l'autentica sete di Dio dentro di lui, non riesce più a dare un senso alle sofferenze dell'esistenza. Egli si rinchiude in se stesso,quasi per fuggire dalla terribile ed inaccettabile realtà,nella quale non vede più nessun Dio ma solo un'angosciante silenzio e un'insostenibile solitudine del suo spirito. Neanche la tenerezza di Marta,maestra elementare che lo ama ciecamente, non sembra fargli capire che è proprio l'amore l'espressione più alta di Dio sulla Terra; lui quindi la rifiuta sempre più bruscamente,infastidito da tutte le cose "mondane" e incapace trovare la via per ri-trovare Dio e porre fine al suo "rifiuto del mondo".
Caduto sempre più nella diperazione dopo non essere stato in grado di aiutare Jonas,un pescatore con problemi psichici, (il quale si suiciderà) Tomas sembra ritrovare la speranza nelle parole dell'umile sacrestano Algot, che afferma che anche Cristo soffrì per "il silenzio di Dio" quando sulla croce disse:" Dio mio perchè mi hai abbandonato".
Il finale del film lascia un grandissimo dubbio:il pastore avrà ritrovato la fede,comprendendo il vero manifestarsi di Dio in mezzo a noi ed in noi oppure la chiesa vuota che Bergman ci mostra nella sequenza finale rappresenta ancora di più la sordità umana al richiamo di Dio?Ognuno di noi potrà dare la sua risposta in base alla propria vita;infatti, più che un film, Luci d'inverno è un vero e proprio itinerario nell'animo umano che il grande maestro Bergman ha magistralmente rappresentato in un'opera forse sottovaluata rispetto ai suoi capolavori più conosciuti ma non certo inferiore per il modo in cui riesce ad entrare indelebilmente nella mente e nello spirito di chi la guarda. In una parola: SUBLIME.
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figliounico
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venerdì 10 marzo 2023
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note a margine 60 anni dopo
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Luci d’inverno 1963. Note a margine 2023. La sceneggiatura. Come sempre Bergman stupisce ed ipnotizza per la bellezza e la profondità dei dialoghi. Ogni battuta esprime una tensione interna che rende superfluo il contesto. L’ambiente è marginale, la scenografia ridotta ai minimi termini. Da qui l’essenzialità delle immagini, lo scarso movimento della macchina da presa, la fissità dell’inquadratura a cogliere le sfumature dello stato d’animo, vedi il monologo confessione di Ingrid Thulin. Anche quando i personaggi non parlano la cinepresa inquadra i volti alla ricerca di un impercettibile variazione dell’espressione facciale, vedi Max von Sydow, l’uomo annichilito dal terrore della bomba atomica, che sebbene rimanga in silenzio, sebbene appaia imperturbabile, comunica l’impossibilità di comunicare.
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Luci d’inverno 1963. Note a margine 2023. La sceneggiatura. Come sempre Bergman stupisce ed ipnotizza per la bellezza e la profondità dei dialoghi. Ogni battuta esprime una tensione interna che rende superfluo il contesto. L’ambiente è marginale, la scenografia ridotta ai minimi termini. Da qui l’essenzialità delle immagini, lo scarso movimento della macchina da presa, la fissità dell’inquadratura a cogliere le sfumature dello stato d’animo, vedi il monologo confessione di Ingrid Thulin. Anche quando i personaggi non parlano la cinepresa inquadra i volti alla ricerca di un impercettibile variazione dell’espressione facciale, vedi Max von Sydow, l’uomo annichilito dal terrore della bomba atomica, che sebbene rimanga in silenzio, sebbene appaia imperturbabile, comunica l’impossibilità di comunicare. Universalità. Il tema della crisi del sentimento religioso, sopravvissuto alla morte di Dio, annunciata alla fine del secolo precedente da Nietzsche ma ancora presente nel secondo dopoguerra, sebbene il divino fosse già avvertito come distante ed indifferente alle sorti dell’umanità, appartiene a tutto il mondo occidentale e si manifesta in quel senso di solitudine, di vacuità interiore e di lutto permanente dell’anima causato da quell’abbandono epocale al proprio destino determinato proprio dalla morte di Dio. Attualità. Sebbene sia calato nella realtà storica dell’epoca, segnata dall’inizio dell’era atomica e dal timore per le sue terribili conseguenze, Hiroshima è un ricordo recente, la paura angosciante dell’ecatombe attraversa tutto il novecento, governato dalla guerra fredda, e giunge fino ad oggi alle cronache del conflitto in Europa e dei suoi imprevedibili catastrofici sviluppi. La trama. Non c’è il classico sviluppo del plot. Non accade nulla che non sia già accaduto. La trama non è altro che la rete di relazioni in cui le storie di personaggi minori si intrecciano con quella del protagonista. E’ un dramma psicologico individuale in cui grazie alla complessità della scrittura si indagano i tormenti interiori di un pastore in crisi. Le sfaccettature del suo carattere emergono dall’incontro con gli altri personaggi, ognuno dei quali al contempo rappresenta un aspetto della realtà, una proiezione dell’inconscio di Bergman, una sua riflessione ad alta voce ed una tonalità diversa del suo animo. I personaggi. Il sagrestano simboleggia il lato pratico della vita ed infatti è inquadrato mentre conta gli spiccioli della questua. L’organista, sorpreso a guardare l’ora per la fretta d’andare altrove mentre la liturgia è in corso, il lato mondano e superficiale. Il campanaro storpio, la sofferenza senza nome e senza perché del mondo che non riesce a spiegarsi il castigo ricevuto e per questo legge le sacre scritture alla ricerca di una risposta. Fulminante la sua interpretazione del vangelo per cui le sofferenze fisiche di Cristo sono di gran lunga inferiori a quelle psichiche per essere stato abbandonato dal suo stesso Padre. All’unico personaggio femminile del film, la dimessa e timida maestrina del paese, Ingrid Thulin, si sovrappone l’altro personaggio, la cui presenza, pur essendo assente dalla scena, incombe in tutto il film, la moglie del pastore, morta qualche anno prima. L’esito. Il pastore rifiuta l’amore della donna che gli si propone come compagna di vita non soltanto perché incomparabilmente distante dal ricordo della moglie ma perché lei era parte di un sinallagma unico ed irripetibile. Nel cuore del pastore il legame indissolubile tra l’amore per la moglie e quindi per la vita e l’amore per Dio si è spezzato per sempre alla morte dell’amata e nessun’altra donna potrà sostituirla in quel ruolo di anello di congiunzione tra il terreno ed il divino. Entrambi, Dio e l’amore, sono venuti a mancare. Il silenzio di Dio. La speculazione teologica frutto e causa della condizione esistenziale. Il dubbio che affligge il pastore in crisi, Gunnar Björnstrand, circa l’esistenza di Dio, derivante dal silenzio assordante di Dio che sembra aver abbandonato la sua creatura al dolore, consustanziale peraltro al cristianesimo poiché già espresso dallo stesso Cristo nel Elì Elì lemà sabactàni gridato al cielo, è in rapporto di reciproca influenza con la condizione dell’uomo moderno irrimediabilmente solo dinanzi al mistero della vita. Le due condanne. La solitudine esistenziale di fronte ad una vita priva di senso coniugata con l’impotenza ad impedire le sofferenze umane e la plausibile minaccia dell’improvvisa ecatombe sono la cifra dell’uomo moderno, condannato a vivere in un mondo non più ordinato dal divino, in preda al caos e alla dissoluzione, condannato ad essere vittima predestinata di decisioni arbitrarie che stabiliscono la vita o la morte del genere umano. Conclusioni. Tuttavia nell’inverno c’è luce. Non è soltanto nel titolo ma è nell’inquadratura che incornicia il volto di Björnstrand mentre è accanto alla finestra. Il suo volto è illuminato da un raggio di sole ma egli preso dalle sue angosce non sembra accorgersene. Forse rappresenta la speranza di Bergman che se Dio è morto per l’uomo, l’uomo non è morto per Dio.
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