La parola ai giurati [1] |
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Un film di Sidney Lumet.
Con E.G. Marshall, Lee J. Cobb, Henry Fonda, Martin Balsam, Ed Begley.
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Titolo originale Twelve Angry Men.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
b/n
durata 95 min.
- USA 1957.
MYMONETRO
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Grande cinema delle idee piuttosto che dei mezzi
di Nick SimonFeedback: 2969 | altri commenti e recensioni di Nick Simon |
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lunedì 15 luglio 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Scintillante opera prima di Sidney Lumet, che sarà poi tra i più lucidi analisti della società americana, dei meccanismi della giustizia e dello spietato mondo mediatico. La pellicola ci offre un quanto mai variopinto affresco di caratteri, valori morali e classi culturali, che assume i toni di uno scontro dialettico geniale e mai fine a se stesso. Già dai primissimi minuti di proiezione i profili psicologici dei personaggi iniziano a delinearsi; lentamente essi vanno a simboleggiare idee e pregiudizi degli ambienti sociali a cui appartengono. Un giovane ispanico è accusato di parricidio, ed è inchiodato da due testimonianze apparentemente inattaccabili; i dodici giurati devono ritirarsi e deliberare in merito alla questione. Qualcuno si mostra interessato e coinvolto, qualcun altro impaziente e distaccato; c'è chi è arrogante e apertamente razzista, e chi si lascia influenzare da traumatiche esperienze personali. Pochi sembrano coscienti della gravità dell'incarico ricevuto: tra questi il giurato numero 8 (Henry Fonda), inizialmente l'unico a votare per l'innocenza del ragazzo. La sua decisione non scaturisce da una presuntuosa sicurezza, ma piuttosto dalla volontà di stimolare il dibattito costruttivo e mettere in luce perplessità sulla colpevolezza dell'imputato. Qui inizia quel processo di progressiva ed attenta scoperta che è la quintessenza del film: gli interpreti si avventurano in un intricatissimo percorso volto a svelare, più che una "verità", un ragionevole dubbio. Chi assiste è totalmente catturato ed ansioso di conoscere: le difficoltà incontrate dai protagonisti sono quasi tangibili, anche grazie al senso di calore claustrofobico trasmesso dalla fotografia in bianco e nero. La scenografia è ridotta al minimo, ma efficace e funzionale al ruolo scenico svolto. La pellicola è sorretta da una sceneggiatura ispiratissima, condita da trovate stupefacenti, che mostra estrema attenzione alle parole ed alla varietà dei registri linguistici dei personaggi. Le parole si rivelano dirette protagoniste, fungendo da vere e proprie armi: esse sono infatti artefici, talvolta squisitamente ironiche, del meccanismo della confutazione, e si rivoltano spesso contro chi le pronuncia. Notevoli, tra le altre comunque eccellenti interpretazioni, quelle di Lee J. Cobb, Ed Begley e E. G. Marshall, i giurati più intellettualmente e/o emotivamente marcati nelle loro caratterizzazioni. Capolavoro del dramma giudiziario e brillante esempio di cinema etico ed impegnato. Manifesto di quell'arte realizzata con mezzi esigui ma con solide, brillanti idee.
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