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C’era una volta in Bhutan, in streaming su MYmovies l’affresco ironico di un Paese che si apre al Futuro

Tra attualità e commedia, l'incredibile storia di un popolo chiamato ad accogliere improvvisamente Internet, la Democrazia e, in sostanza, la modernità. ACCEDI | GUARDA ORA IL FILM »
di Alberto Libera

martedì 8 ottobre 2024 - mymoviesone

Ciò che C’era una volta in Bhutan mostra in maniera sorprendente è come si possa raccontare la storia recente con leggerezza ma evitando i luoghi comuni, alternando passione e ironia e scansando abilmente i rischi della retorica.

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Con il precedente Lunana – Il villaggio alla fine del mondo, l’allora esordiente regista Pawo Choyning Dorji aveva realizzato il primo lungometraggio bhutanese a essere candidato all’Oscar come Miglior Film Straniero. L’ardore civile, l’amore per i luoghi e i personaggi nonché la capacità di controllare i mille rivoli in cui si sfrangia il racconto che ne avevano decretato la fortuna vengono ulteriormente perfezionati in quest’opera seconda (presentata al Festival di Telluride prima di essere proiettata in tutto il mondo): un’autentica sarabanda d’invenzioni e scene corali che, per vitalità e intelligenza, si ritaglia un posto in prima fila tra i migliori film di recente distribuzione.

La vicenda si ambienta nel 2006 quando, dopo l’abdicazione del re Jigme Singye Wangchuck, in Bhutan si preparano le prime elezioni democratiche della Storia. Si tratta di un momento epocale, segnato dalla transizione verso la democrazia parlamentare favorita dal recente sviluppo economico. 

E se l’agricoltura rimane il settore in cui è impiegata la stragrande maggioranza della popolazione (per questo indissolubilmente legata alla natura e alla sua bellezza ancora incontaminata), la modernizzazione comincia però a mostrare i suoi primi segni: la televisione trasmette la musica di MTV e le immagini del trailer del bondiano Quantum of Solace, l’abbigliamento manifesta i timidi segni dell’influenza occidentale, la Coca Cola si trova in bella vista sugli scaffali dei bar (anche se un monaco – sorpreso – la chiama «acqua nera»).


In foto una scena del film C’era una volta in Bhutan.

La prospettiva scelta da Dorji per descrivere un passaggio così decisivo è quella di aderire allo sguardo della gente comune, senza ricorrere ad alcun proclama ma privilegiando il piacere della pura narrazione. Motivo per cui, senza mai essere confuso o dispersivo, ha deciso d’incrociare diverse storie: come quella della funzionaria elettorale Tshering Yangden (Pema Zangmo Sherpa), incaricata di sovrintendere a una simulazione di voto finalizzata a scolarizzare la popolazione sui principi e i fondamenti della democrazia; quella incentrata sui contrasti politici che inquinano l’equilibrio famigliare tra la giovane Tshomo (Deki Lhamo) e il marito Choephel (Choeying Jatsho); oppure quella in cui un anziano lama (Kelsang Choejay) incarica il suo assistente Tashi (Tandin Wangchuk) di procurargli delle armi (sarebbe un delitto rivelare la ragione di questa richiesta), una vicenda a sua volta destinata a intrecciarsi con quella dell’americano Ronald Coleman (Harry Einhorn), lì giunto per recuperare due fucili antichi e preziosi.

Per uno spettatore occidentale, il mondo descritto sembra apparentemente distante, immerso com’è in un’atmosfera fuori dal tempo dove è normale vendere degli animali per potersi permettere di acquistare la TV. Eppure, stupisce l’immediatezza con cui si è trascinanti nelle sue logiche antiche e misteriose, nelle sue luci magiche e nei suoi colori vividi e brillanti, nel suo clima rarefatto e nei suoi ritmi scanditi dalla devozione solenne alla vita spirituale


In foto una scena del film C’era una volta in Bhutan.

La placida quiete del film, però, non è una scusa per nascondere la polvere sotto il tappeto: dietro la pacifica conversione delle istituzioni rimangono le questioni aperte di un Paese che cerca faticosamente di conciliare le sue diverse anime, affascinato dalle novità e allo stesso tempo fedele alle vecchie tradizioni. Ma anche tutto questo è espresso con una naturalezza che lascia a bocca aperta, inscritto nel flusso armonico dell’esistenza e nelle tensioni più o meno sotterranee che attraversano il microcosmo raccontato: un piccolo universo facile da attraversare e decisamente più difficile da abbandonare.


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