Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?

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Un film di Ettore Scola. Con Alberto Sordi, Nino Manfredi, Bernard Blier, Franca Bettoja.
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Commedia, Ratings: Kids+13, durata 128 min. - Italia 1968. MYMONETRO Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa? * * * - - valutazione media: 3,39 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

AFRICA, FUGA DA UNA SOCIETA' OPPRIMENTE Valutazione 5 stelle su cinque

di DOMENICO RIZZI


Feedback: 7134 | altri commenti e recensioni di DOMENICO RIZZI
giovedì 23 ottobre 2014

Una delle migliori interpretazioni in assoluto di Alberto Sordi (l’editore De Salvio) e Nino Manfredi (Oreste “Titino” Sabatini) ai quali si aggiunge il bravissimo Bernard Blier nella parte del ragionier Ubaldo Palmarini, su soggetto di Age & Scarpelli e dello stesso regista Ettore Scola. All’ottima scenografia di Gianni Polidori, che spazia su molti aspetti dell’Africa quasi incontaminata (la vicenda si svolge nell’Angola colonia portoghese nel 1968) si aggiunge la stupenda colonna sonora del maestro Armando Trovajoli, che escogita il trascinante leit motiv “Canto de Angola”. Abbastanza marginali soltanto i ruoli femminili di Franca Bettoja (moglie di De Salvio) e Giuliana Lojodice (Marisa, moglie di Titino) perché il film è incentrato principalmente sulle due figure di Fausto De Salvio, editore di sinistra “con le idee chiare” e del cognato Titino che ha dato uno strappo alla monotona vita della capitale, fatta di discorsi futili, noiosi giochi da salotto e convenzioni sociali divenute ormai insopportabili. Dopo un lunghissimo itinerario attraverso l’Angola selvaggia e innumerevoli peripezie contrassegnate dalla irresistibile comicità di Sordi, De Salvio e il suo ragioniere riescono finalmente a rintracciare Sabatini, che si è trasformato nello sciamano bianco di una tribù nera ai margini di una terra desertica e inospitale. Il sopraggiungere del “Leopardo”, colonnello di una formazione mercenaria belga (Josè Maria Mendoza) che Titino ha imbrogliato appropriandosi del denaro ricevuto per acquistare delle armi, non riesce a costringere l’improvvisato stregone a lasciare il villaggio, perché i bellicosi guerrieri della tribù gli fanno scudo con le proprie lance. Dopo avere ingannato una seconda volta l’ufficiale belga, spacciando delle pietre di quarzo ferroso per diamanti, Titino – divenuto ancora più popolare dopo che la sua  strana “danza della pioggia” ha aperto le cateratte del cielo su quella regione arida – viene convinto dal cognato a seguirlo fino all’imbarco, mentre l’intera tribù lo insegue, schierandosi sulla spiaggia a salutare il battello che si allontana. Il finale è struggente: Titino si getta in acqua e riguadagna la riva con vigorose bracciate, mentre De Salvio starebbe per compiere inconsapevolmente il medesimo gesto se la voce del suo ragioniere non lo riportasse alla realtà (“Dottore, ma che fa?”). La sequenza sfuma nella cornice di un tramonto infuocato su una terra che l’editore abbandona malvolentieri per fare ritorno alla civiltà, ammettendo per la prima volta “di non avere le idee chiare”. Rimpianto per il mondo naturale che il progresso sta distruggendo e amara constatazione del deterioramento della società civile, sempre più condizionata da comportamenti frenetici e autolesionistici (l’uomo che muore d’infarto a Roma durante la breve pausa all’inizio del film) da conversazioni futili e giochi puerili per sopravvivere ad una noiosa quotidianità. Un capolavoro prodotto nel momento in cui in tutto il mondo industrializzato si scatenava la protesta studentesca, sostenuta dall’illusione di poter rilanciare un nuovo umanesimo che la prepotente intromissione della politica impedirà di realizzare, soffocando la spontaneità iniziale dei contestatori.
 
Domenico Rizzi, scrittore

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