Gangs of New York |
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Un film di Martin Scorsese.
Con Leonardo DiCaprio, Daniel Day-Lewis, Cameron Diaz, Liam Neeson, John C. Reilly.
continua»
Drammatico,
durata 168 min.
- USA 2002.
MYMONETRO
Gangs of New York
valutazione media:
3,22
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Nascere dall'ignoranzadi GermonFeedback: 1306 | altri commenti e recensioni di Germon |
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lunedì 11 febbraio 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Gerardo Monizza La nascita di un capitale è – spesso – il frutto di una serie di concatenazioni violente, anche non corrette, talvolta al limite della legge. Così sosteneva il vecchio Marx e Martin Scorsese sembra dargli ragione, documentando. In “Gangs of New York” il capitale è quello morale della “capitale” del mondo contemporaneo che si affonda, sino a sprofondare, nella violenza assurta a legge, nel fango e nel sangue. Siamo a New York nella metà dell’Ottocento (stupendamente ricostruita a Cinecittà da Dante Ferretti) con sobborghi di casupole e falansteri angoscianti. L’umanità che popola la periferia della futura metropoli è multietnica, multireligiosa e abbastanza stracciata da lasciar intendere che la convivenza tra razze, popoli, nazionalità non sarà né tollerante né facile. Le lotte tra bande (le “gangs”) avvengono al di fuori di qualsiasi legalità. I pubblici amministratori osservano senza intervenire e il macello continuo è la “corte di giustizia” popolare efficiente ed efficace. Troppo presto per parlare di “mafia”, ma il risultato è lo stesso, anzi peggio. Il codice non è d’onore, ma di sangue. Tratto da un romanzo di Herbert Ashbury pubblicato nel 1929, il film di Scorsese non è un atto d’amore, né s’impone di seguire una verità storica documentata; se alcuni personaggi (come “il macellaio” magistralmente e crudamente interpretato da Daniel Day Lewis) sono realmente esistiti e la sostanza delle vicende corrisponde alla storia, Scorsese non narra, ma definisce, segnando lo spazio umano dentro cui nascerà la New York dei nostri giorni. È un film violento e brutale, anche esagerato, a tratti, incredibile. Impossibile accettare che una città sia nata dalla violenza e dalla paura, dall’intolleranza e dall’ignoranza. Eppure, proprio questo è il tema: l’ignoranza che genera l’intolleranza. Nel film c’è tutto: il rito sanguinolento trasformato in spettacolo circense, la contrapposizione ideologica sanata con le sfide di massa, le convezioni che restano valide solo dentro le comunità specifiche, la definizione dei “ruoli” che resteranno inalterati (il prete, l’arcivescovo, il sindaco, i politicanti, il popolino, i partiti già corrotti tutti presi a rappresentare una loro – ignobile - parte). Lo schema – dice Scorsese – è quello e tale resterà. I rituali della compravendita, del commercio, del traffico (inteso come movimento d’affari, raggiro e speculazione, ma anche come mobilità caotica e soffocante) sembrano insistere con la stessa violenza sulla terra battuta della città che sta nascendo (i Five Points che più o meno corrispondono all’attuale Wall Street) e sui grandi viali imborghesiti della New York attuale. Il simbolo del rasoio (attrezzo che passa dal padre capopopolo irlandese (Liam Neeson) al figlio Amsterdam (Leonardo DiCaprio) e su cui il sangue resta impresso), sotterrato vicino ai morti delle risse, è l’ascia di guerra pronta ad essere nuovamente impugnata. Infine: l’immagine della città sullo sfondo, scorre dalle casupole miserande ai grattacieli superbi, ma non è cambiato niente. Il rasoio – unica eredità morale - è ancora lì. Sempre pronto.
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