Titolo originale Surrogates.
Azione,
Ratings: Kids+13,
durata 95 min.
- USA 2009.
- Walt Disney
uscita venerdì 8gennaio 2010.
MYMONETROIl mondo dei replicanti
valutazione media:
2,57
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
La tecnologia ci aiuta a scegliere o ci impedisce di farlo? ci incita ad accettare il cambiamento o ci stimola a resistere a esso? libera il nostro tempo o ne assorbe le energie più significative? Sono le domande che mi sono posto uscendo con un po' di angoscia dalla visione del "Mondo dei replicanti" (Surrogates). Perché - per quanto possa sembrare paradossale - mi sembra che se esistesse davvero una tecnologia analoga a quella immaginata nella storia del film, essa prenderebbe piede facilmente (me lo conferma mia figlia quindicenne con uno sguardo sognante, perso in chissà quale gorgo di possibilità). A ben guardare infatti, nel primo decennio del terzo millennio il processo di virtualizzazione della vita sociale ha subìto una rapida accelerazione, come si evince da una pur superficiale analisi delle tecnologie più in voga (chat, sms, social network, second life, ecc.
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La tecnologia ci aiuta a scegliere o ci impedisce di farlo? ci incita ad accettare il cambiamento o ci stimola a resistere a esso? libera il nostro tempo o ne assorbe le energie più significative? Sono le domande che mi sono posto uscendo con un po' di angoscia dalla visione del "Mondo dei replicanti" (Surrogates). Perché - per quanto possa sembrare paradossale - mi sembra che se esistesse davvero una tecnologia analoga a quella immaginata nella storia del film, essa prenderebbe piede facilmente (me lo conferma mia figlia quindicenne con uno sguardo sognante, perso in chissà quale gorgo di possibilità). A ben guardare infatti, nel primo decennio del terzo millennio il processo di virtualizzazione della vita sociale ha subìto una rapida accelerazione, come si evince da una pur superficiale analisi delle tecnologie più in voga (chat, sms, social network, second life, ecc.). L'idea di un surrogato, dunque, che viva al posto nostro, proteggendoci dall'irreversibilità dell'esistenza, mi sembra dunque che possa funzionare assai bene. L'insensato timore dell'irreversibilità dell'esistenza: è questo il punto cruciale della storia. L'agente Greer (il poliziotto impersonato da Bruce Willis) e il dottor Canter (l'inventore della tecnologia dei surrogati) l'hanno sperimentata nella maniera più drammatica, con la perdita di un figlio. Entrambi sanno che l'irreversibilità - lungi dall'essere un accidente che è possibile combattere ed evitare - è connaturata all'esperienza stessa dell'umanità di esistere nel tempo. Per quanto si possa fare per rallentarne il processo - andando a rimodellare periodicamente l'involucro dei surroghi con appositi interventi estetici - non c'è nulla che possa proteggere gli esseri umani dalla quintessenza stessa dell'irreversibilità, ovvero dalla morte. E questo è chiaro fin dall'inizio, quando il dottor Canter, nella sua ultima conversazione con il figlio, gli riassume con una risata amara la conclusione della Tosca: "va a finire come finiscono tutte le storie: muoiono tutti". I replicanti possono vivere al posto nostro, rischiare di farsi male in nostra vece, di avere un incidente che sarebbe dovuto capitare a noi; sono loro a mettere la faccia nelle relazioni sociali, ed è impressionante vedere un mondo costituito interamente da persone giovani, belle, sempre sorridenti e disponibili al flirt (salvo poi scoprire che dietro la bionda avvenente abbordata in discoteca si cela un ciccione sudato in canottiera, in cerca di trasgressione). Ma vale la pena rinunciare a entrare nel tempo, evitare di scegliere, rifiutare il cambiamento? vale la pena risparmiarsi il dolore, l'umiliazione del rifiuto, la desolazione dell'invecchiamento, se questo significa rinunciare all'essenza stessa della vita? Come ai tempi del giardino dell'Eden - quando preferì un travagliato libero arbitrio a un'immobile, eterna beatitudine - anche oggi l'uomo è chiamato a rischiare, a compiere la propria esperienza nella storia accettando di esserne modellato per sempre, di riceverne i segni indelebili sulla pelle e nella coscienza. Rivendicando con orgoglio di averlo fatto. Irreversibilmente.
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Siamo al cospetto di un buon film di fantascienza,vecchio stile in cui a prevalere non sono suntuosi effetti speciali e neppure eccessive scene d’azione. Qualcuno ne rimarrà certamente deluso per questo ma credo che ciò che dovrebbe colpire lo spettatore sia invece il messaggio di denuncia sociale che è insito in questa pellicola. Un’accurata riflessione su quali dovrebbero essere, e che sempre più spesso vengono prevaricati,i confini etici della scienza. Il film propone la visione di una popolazione,in un imminente futuro,soggiogata dai media,dalle grandi corporations le quali professano il culto della paura nei confronti della criminalità(vedi il parallelismo con l’eccessiva angoscia che si perpetra nei confronti dei cittadini attraverso l’uso strumentale del terrorismo da parte dell’informazione ai giorni nostri),e l’eccessivo timore di inadeguatezza estetica che si infonda nei cittadini, timorosi di non rispecchiare i giusti canoni estetici.
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Siamo al cospetto di un buon film di fantascienza,vecchio stile in cui a prevalere non sono suntuosi effetti speciali e neppure eccessive scene d’azione. Qualcuno ne rimarrà certamente deluso per questo ma credo che ciò che dovrebbe colpire lo spettatore sia invece il messaggio di denuncia sociale che è insito in questa pellicola. Un’accurata riflessione su quali dovrebbero essere, e che sempre più spesso vengono prevaricati,i confini etici della scienza. Il film propone la visione di una popolazione,in un imminente futuro,soggiogata dai media,dalle grandi corporations le quali professano il culto della paura nei confronti della criminalità(vedi il parallelismo con l’eccessiva angoscia che si perpetra nei confronti dei cittadini attraverso l’uso strumentale del terrorismo da parte dell’informazione ai giorni nostri),e l’eccessivo timore di inadeguatezza estetica che si infonda nei cittadini, timorosi di non rispecchiare i giusti canoni estetici. Una società che vive nella paura,maggiormente controllabile dai poteri economici, che riduce le persone a delle larve rinchiuse nei propri appartamenti e che faccia agire in loro sostituzione delle macchine(surrogati) nel mondo reale esterno che tale non è più.Individui privi di spontanee relazioni sociali persino tra i famigliari stessi, le quali possono essere paragonate per certi versi a ciò che accade oggi attraverso l’uso eccessivo di chat in cui il computer crea quella barriera psicologica che nel film è rappresentata dal surrogato.Una proiezione sociale futura a dir poco agghiacciante alla quale spero non arriveremo mai in cui è triste poter notare come le uniche persone che ancora rimangono ancorate ai vecchi valori di una comunità e che rifiutano quindi di possedere i “surrogati”siano costretti a vivere ghettizzati come bestie.Riconosco che il film non possiede un’elaborata sceneggiatura e che forse il finale può risultare abbastanza scontato ma non si può rimanere comunque indifferenti nei confronti di un film che cerca a suo modo di far riflettere le nostre coscienze non avendo come unica funzione quella di imbottirci di effetti speciali. [-]
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Il genere fantascientifico legato alla robotica mi ha sempre affascinato. Sin quando ero bambino, ricordo che mi rimase particolarmente impresso il film "Il mondo dei robot". Così come successivamente ho apprezzato tantissimo la saga di "Terminator". Ebbene non poteva certo non piacermi anche questo ultimo film di tale filone fantascientifico che porta la firma del regista Jonathan Mostow. Considero, senza dubbio, la trama decisamente originale ed uscendo dalla sala dopo aver visto questo film, l'impressione che ho avuto è stata quella di non essere molto d'accordo con una parte della critica che ha definito tale pellicola una specie di fumettone. Certo non mi sento di definirlo un film d'autore (come le si possono definire certe opere passate che hanno portato la firma di registi come Spielberg o Kubrick), ma nonostante il suo aspetto tipicamente manieristico, lo reputo interessante come tematica ed avvincente e fluido nella sceneggiatura e nelle scene d'azione.
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Il genere fantascientifico legato alla robotica mi ha sempre affascinato. Sin quando ero bambino, ricordo che mi rimase particolarmente impresso il film "Il mondo dei robot". Così come successivamente ho apprezzato tantissimo la saga di "Terminator". Ebbene non poteva certo non piacermi anche questo ultimo film di tale filone fantascientifico che porta la firma del regista Jonathan Mostow. Considero, senza dubbio, la trama decisamente originale ed uscendo dalla sala dopo aver visto questo film, l'impressione che ho avuto è stata quella di non essere molto d'accordo con una parte della critica che ha definito tale pellicola una specie di fumettone. Certo non mi sento di definirlo un film d'autore (come le si possono definire certe opere passate che hanno portato la firma di registi come Spielberg o Kubrick), ma nonostante il suo aspetto tipicamente manieristico, lo reputo interessante come tematica ed avvincente e fluido nella sceneggiatura e nelle scene d'azione. Assolutamente non banale cone certi filmetti fantasy moderni nei quali sovrabbondano tanti megagalattici effetti speciali creati (gulp) col computer. Del resto la presenza di un attore come Bruce Willis è già di per se una garanzia. In un prossimo futuro, si narra, che gli uomini preferiranno nella quasi totalità dei casi restarsene a casa, dal momento che si serviranno di cloni sintetici che svolgeranno per loro conto qualsiasi attività inerente la vita sociale: lavoro, divertimento e naturalmente andare a combattere quando scoppierà una guerra. Una sorta di estremizzazione concettuale di ciò che già si sta intravedendo, per certe sfaccettature, nel nostro presente concreto: la diffusione di Internet, della televisione come passatempi sempre più imperanti coi quali l'uomo si vede sempre meno in giro, preferendo "rannicchiarsi" in un mondo casalingo e virtuale sempre più diffuso. Ed appunto questo film, attraverso una narrazione che lascia spazio ad un'intelligente componente fantasiosa e dinamica, ci ammonisce di una morale: non dimentichiamoci che siamo esseri umani e nessuna forma di surrogato virtuale potrà mai sostituire la nostra vera felicità che trova il suo fondamento nella nostra voglia di condividere concretamente la nostra esperienza di vita con gli altri.
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E' sorprendente la somiglianza tra questo film e Avatar usciti nello stesso anno, c'è da dire che sembri il suo cattivo gemello, cattivo inteso come pessimista, ma bando alle somiglianze questo film è molto più attuale e quasi-realistico che tutte le menate su possibili mondi ecologici o matrixiani, e ha qualcosa da dire rispetto a questi altri film, infatti il racconto evidenzia molto bene uno dei mali di questo secolo, cioè la dipendenza da internet, con le varie second-life chat irc o msn che siano e facebook e company, rappresentate nel film da miliardi di persone imbolsite che guidano da remoto i loro surrogati, e proprio la parola remoto che appare molte volte nel film fa associare nello spettatore, specie per chi si intende di informatica, la connessione che avviene tra client e server stando anche a distanza di migliaia di chilometri laddove lo permettano i router o le backbone, e di connettersi a chat o social network o al contrario per motivi di lavoro a servizi utili, illuminante anche la frase del protagonista nel rivolgersi a una donna-avatar gli fa capire che questa poteva essere anche un grassone sdraiato a pancia in su disteso su un lettino con l'uccello di fuori.
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E' sorprendente la somiglianza tra questo film e Avatar usciti nello stesso anno, c'è da dire che sembri il suo cattivo gemello, cattivo inteso come pessimista, ma bando alle somiglianze questo film è molto più attuale e quasi-realistico che tutte le menate su possibili mondi ecologici o matrixiani, e ha qualcosa da dire rispetto a questi altri film, infatti il racconto evidenzia molto bene uno dei mali di questo secolo, cioè la dipendenza da internet, con le varie second-life chat irc o msn che siano e facebook e company, rappresentate nel film da miliardi di persone imbolsite che guidano da remoto i loro surrogati, e proprio la parola remoto che appare molte volte nel film fa associare nello spettatore, specie per chi si intende di informatica, la connessione che avviene tra client e server stando anche a distanza di migliaia di chilometri laddove lo permettano i router o le backbone, e di connettersi a chat o social network o al contrario per motivi di lavoro a servizi utili, illuminante anche la frase del protagonista nel rivolgersi a una donna-avatar gli fa capire che questa poteva essere anche un grassone sdraiato a pancia in su disteso su un lettino con l'uccello di fuori... più attuale di cosi; peccato per la regia che non dice nulla di nuovo sulle immagini gia viste in altri film o nei spot publicitari, d'altronte non si può pretendere troppo dal regista di Terminator 3 che viene dal mondo dei videoclip; fino all'arrivo di Willis che qui recita più che assonnato (volutamente o involontario?) il film ha l'encefalogramma piatto, sembra di vedere un telefilm tirato a lucido; anche nel corso del film ci sono i soliti personaggi-triti il profeta e altri ancora sembrano solo li per fare tappezzeria; di bello ci sono alcune rivelazioni che si incastrano sottilmente tra sequenza e sequenza e alcune car-crash girate molto bene; il finale, azzeccatissimo e alquanto teso, fa capire che di fronte a internet che è diventato ormai un fenomeno mondiale, il più delle volte usato male, (sia a livello sociologico quando rompe gli equilibri politici, sia a livello privato quando se ne fa un uso smodato e si dimenticano cose più importanti), l'unica soluzione è lo staccare la spina, ma noi da bravi internauti con un minimo di buon senso affermiamo che la virtù sta sempre nel mezzo.
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Superato l’impatto violento col caschetto biondo di Bruce Willis, che appare sin dal primo minuto destinato a fare una fine giustamente orrenda, Surrogates, adattamento dell’omonima graphic novel di Venditti e Weldele, propone immediatamente un mondo costruito come la versione concreta di Second Life. Con l’inevitabile eccezione dello sparuto gruppo di irriducibili, il genere umano s’è chiuso in casa: all’esterno circolano solo gli avatar robotici, sincronizzati nei cinque sensi al proprio padrone, che percepisce le rielaborazioni degli stimoli esterni in maniera così nitida da fornire un comodo surrogato alla vita in prima persona.
Il soggetto, che ricorda alcuni dei temi di Matrix, ma li tratta in maniera infinitamente più diretta, sintetica e terrena, è interessante nel suo allontanarsi dall’argomento forte e più volte declinato della nascita e consistenza della coscienza e della personalità, che è poi il tema classico di Asimov, che sarà di Dick, e al cinema di Blade Runner, di Ghost in the Shell e molti altri.
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Superato l’impatto violento col caschetto biondo di Bruce Willis, che appare sin dal primo minuto destinato a fare una fine giustamente orrenda, Surrogates, adattamento dell’omonima graphic novel di Venditti e Weldele, propone immediatamente un mondo costruito come la versione concreta di Second Life. Con l’inevitabile eccezione dello sparuto gruppo di irriducibili, il genere umano s’è chiuso in casa: all’esterno circolano solo gli avatar robotici, sincronizzati nei cinque sensi al proprio padrone, che percepisce le rielaborazioni degli stimoli esterni in maniera così nitida da fornire un comodo surrogato alla vita in prima persona.
Il soggetto, che ricorda alcuni dei temi di Matrix, ma li tratta in maniera infinitamente più diretta, sintetica e terrena, è interessante nel suo allontanarsi dall’argomento forte e più volte declinato della nascita e consistenza della coscienza e della personalità, che è poi il tema classico di Asimov, che sarà di Dick, e al cinema di Blade Runner, di Ghost in the Shell e molti altri. I quesiti di Surrogates si trasferiscono dall’interno all’esterno, sono rivolti al valore delle sensazioni, alla possibilità di mediare le stesse e quindi di mediare il mondo, nonché al conflitto fra l’istinto alla socializzazione e la tendenza all’isolamento, dettata da una voglia di sicurezza indotta dall’allarmismo della comunicazione di massa, che si fa percezione di massa. Oltre al vantaggio narcisistico che danno i replicanti, tutti indefinitamente giovani e affascinati, perfetto supporto per un’evoluzione dell’ossessione per l’immagine.
Insomma, ce ne sarebbe tanta di carne da cuocere, ma in realtà il film di Mostow (già autore del tutt’altro che epocale Terminator 3, episodio meno riuscito di una serie da cui il regista mutua buona parte dell’iconografia), non vuole essere un film speculativo, ma non riesce neanche ad essere un buon film d’azione. Privo com’è di un’atmosfera e un’identità particolare, si accontenta di seguire un plot investigativo fin troppo scarno e ingenuo, spesso forzato nei passaggi chiave. Nella sua breve durata (poco più di 80 minuti) Il Mondo dei Replicanti non ha il tempo di annoiare, ma neanche le qualità per farsi ricordare.
slowfilm.splinder.com
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è sicuramente un bel mix di film già visti e apprezzati, evoca pellicole come Avatar e Blade Runner, anche se i contenuti sono magistralmente modificati. Richiama lo spettatore a riflettere sulle manie dei nostri tempi, quale la tecnologia, la perfezione e l'estetica, c'è chi gioca a fare Dio, è sempre lo stesso personaggio interpretato in vari film, ma sembra di vedere sempre la stessa persona, Max Von Sidow che interpreta il direttore Lamar Burgess in Minority Report è praticamente identico al mite James Cromwell che è l'ideatore dei surrogati. Si evocano gli scenari e il movimento, ma la tristezza è mal celata dagli eventi troppo incalzanti, che in Blade Runner invece erano molto evidenziati.
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è sicuramente un bel mix di film già visti e apprezzati, evoca pellicole come Avatar e Blade Runner, anche se i contenuti sono magistralmente modificati. Richiama lo spettatore a riflettere sulle manie dei nostri tempi, quale la tecnologia, la perfezione e l'estetica, c'è chi gioca a fare Dio, è sempre lo stesso personaggio interpretato in vari film, ma sembra di vedere sempre la stessa persona, Max Von Sidow che interpreta il direttore Lamar Burgess in Minority Report è praticamente identico al mite James Cromwell che è l'ideatore dei surrogati. Si evocano gli scenari e il movimento, ma la tristezza è mal celata dagli eventi troppo incalzanti, che in Blade Runner invece erano molto evidenziati. Non c'è spirito per il povero surrogato, è semplicemente uno strumento di movimento, non esiste nessuna sensibilità per i surrogatiavatar, assolutamente evidenziata nel film in questione. Rimane in evidenza solo la realtà umana e questo lo differenzia da tutti gli altri. Eh allora come mai si ha la sensazione di aver visto un film già portato sul grande schermo. Bello nel complesso, forse perchè gli attori e gli scenari fanno bene il loro mestiere, ma rimane una domanda? Per quanto tempo ancora dovremo sopportare i falsi Remaxe. Ci si diverte, questo è indubbio, ma esistono delle idee. [-]
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Nel 2054 una potente innovazione tecnologica rende possibile vivere la propria vita da casa attraverso l'utilizzo dei Surrogati, che agiscono come gli umani e trasmettono loro le emozioni sensoriali.
Ma la morte, caso mai verificatosi prima, di una persona attraverso l'omicidio del suo surrogato spinge l'agente Greer a uscire a indagare di persona, per la prima volta dopo molto tempo.
La prima cosa da dire è che senza Bruce Willis, e nonostante il fatto che egli si limiti alle sue solite due espressioni, il film si ridurrebbe a un episodio di Ai Confini della Realtà.
Poi c'è da dire che, nonostante sia tratto da una graphic novel, il plot nel complesso deve non poco ai deliri visionari del grandissimo Philip K.
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Nel 2054 una potente innovazione tecnologica rende possibile vivere la propria vita da casa attraverso l'utilizzo dei Surrogati, che agiscono come gli umani e trasmettono loro le emozioni sensoriali.
Ma la morte, caso mai verificatosi prima, di una persona attraverso l'omicidio del suo surrogato spinge l'agente Greer a uscire a indagare di persona, per la prima volta dopo molto tempo.
La prima cosa da dire è che senza Bruce Willis, e nonostante il fatto che egli si limiti alle sue solite due espressioni, il film si ridurrebbe a un episodio di Ai Confini della Realtà.
Poi c'è da dire che, nonostante sia tratto da una graphic novel, il plot nel complesso deve non poco ai deliri visionari del grandissimo Philip K. Dick.
Intanto perchè continua la sottile apologia, se non delle guerre preventive, almeno degli spionaggi a fini di sicurezza. E poi perchè l'aura di paranoia scatenata più dalla massicccia campagna di difesa, che dall'attacco alle Twin Tower, sembra essere ancora lontana dallo sfumare.
Abbiamo un mondo futuro in cui non si esce più di casa e si mandano in giro dei bellissimi surrogati, i quali vivono le esperienze al posto dei veri umani, rimandandogli via rete le emozioni e gli eventuali scambi di fluidi corporei. Ovviamente tutte le informazioni circa le suddette esperienze sono monitorate e registrate.
Quindi il tasso di crimini è sceso paurosamente, non fosse altro che per il fatto che si può disconnettere a distanza un surrogato che sta compiendo un'azione illegale.
Naturalmente ci sono dei dissidenti, e esiste un'area che somiglia molto da vicino a un ghetto, in cui un non meglio identificato predicatore conduce le sue greggi, che non usano surrogati, sulla via della spontaneità e, a un certo punto del terrorismo.Fin qui tutto bene. Ma improvvisamente accade qualcosa che fino ad allora era considerato impossibile: un umano perde la vita nel momento in cui il suo surrogato viene colpito da una raffica di colpi, partiti da quella che pare essere un'arma non convenzionale.In pratica un'arma che non dovrebbe esistere. La polizia, per mezzo degli agenti Greer e Peters, indaga nel settore dei surrogati, cercando di capire come sia potuto accadere che si sia messa a punto un'arma in grado di uccidere chi è connesso al suo surrogato, invalidando così il vero motivo per cui tutti ne usano uno: la paura di uscire di casa. Naturalmente quello che scopriranno aumenterà il senso di sfiducia dello spettatore circa la reale affidabilità di un governo che, prima spaventa a morte la gente inducendola a restare in casa e a farsi spiare in nome della sicurezza, e che poi si rivela assolutamente incapace di proteggerla.
Tutta l'indagine segue il copione di mille altre precedenti, e come quelle non ci dice nulla di nuovo.
O almeno nulla che non sia venuto in mente per primo allo spettatore, dopo soli venti minuti di inseguimenti e distruzioni di vetrine e automobili. Del resto se il problema è sempre quello della sicurezza, delle armi e dell'uso delle seconde per garantire la prima, sappiamo già a chi rivolgere il nostro pensiero.Il granitico e, in alcuni momenti blandamente ironico, Willis è adattissimo alla parte. Nonostante il suo surrogato sfoggi un'improbabile pettinatura e un sorriso da pubblicità del dentifricio. Ma forse è più convincente come surrogato, piuttosto che come marito afflitto. L'afflizione e i piagnistei sentimentali non sono mai stati nelle corde di nessun attore action degno di questo nome.
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Insomma, ammetto certo che (anche) qui l'idea c'è (pur se, ripeto, non è per niente nuova: ma la forza di un'idea si constata, appunto, dal fatto che resiste perché continua a valere come chiave di lettura del mondo e dell'uomo, attraverso tutti i mutamenti delle varie epoche); eppure, per quanto buona sia l'idea, se non le viene dato il giusto risalto e peso e prospettiva essa perde molta parte della sua forza; e in questo film non è appunto stata approfondita e condotta a dovere, come accennavo prima: sono sicuro che i fratelli Wachowski, per esempio, avrebbero fatto molto meglio, dando profondità all'importante (anzi fondamentale, direi) tesi di fondo del film, con dialoghi più coinvolgenti e profondi, e anche con una congruenza generale maggiore (un altro dubbio, sempre a titolo d'esempio: come fa l'inventore d'una tecnologia talmente avanzata, com'è quella dei surrogati, a non arrivare infine a capire, nel suo piano di ritorno all'umano e alla vita autentica, che appunto non è affatto necessario - per non dire proprio del tutto controproducente e sotto ogni aspetto, soprattutto etico, sconveniente - uccidere appunto gli umani stessi, che si vorrebbe così riportare alla loro vita vera ("La verità vi renderà liberi", diceva già 2000 e più anni fa qualcuno che aveva una visione piuttosto alta dell'Uomo)? Dico: se arriva a capirlo infine anche il personaggio di Buce Willis, un semplice poliziotto, come fa allora proprio un genio quale il padre dei surrogati a non arrivarci, almeno per via meramente intellettuale se non propriamente col cuore e l'anima intera).
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Insomma, ammetto certo che (anche) qui l'idea c'è (pur se, ripeto, non è per niente nuova: ma la forza di un'idea si constata, appunto, dal fatto che resiste perché continua a valere come chiave di lettura del mondo e dell'uomo, attraverso tutti i mutamenti delle varie epoche); eppure, per quanto buona sia l'idea, se non le viene dato il giusto risalto e peso e prospettiva essa perde molta parte della sua forza; e in questo film non è appunto stata approfondita e condotta a dovere, come accennavo prima: sono sicuro che i fratelli Wachowski, per esempio, avrebbero fatto molto meglio, dando profondità all'importante (anzi fondamentale, direi) tesi di fondo del film, con dialoghi più coinvolgenti e profondi, e anche con una congruenza generale maggiore (un altro dubbio, sempre a titolo d'esempio: come fa l'inventore d'una tecnologia talmente avanzata, com'è quella dei surrogati, a non arrivare infine a capire, nel suo piano di ritorno all'umano e alla vita autentica, che appunto non è affatto necessario - per non dire proprio del tutto controproducente e sotto ogni aspetto, soprattutto etico, sconveniente - uccidere appunto gli umani stessi, che si vorrebbe così riportare alla loro vita vera ("La verità vi renderà liberi", diceva già 2000 e più anni fa qualcuno che aveva una visione piuttosto alta dell'Uomo)? Dico: se arriva a capirlo infine anche il personaggio di Buce Willis, un semplice poliziotto, come fa allora proprio un genio quale il padre dei surrogati a non arrivarci, almeno per via meramente intellettuale se non propriamente col cuore e l'anima intera).
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Una domanda generale, necessaria premessa per poi andar a parlare del film con una prospettiva di lettura (e/o di visione) più ampia, in cui è coinvolto ma certo non l'esaurisce.
Dato che, come dichiarato dagli autori (e come del resto tanti altri film che derivano da racconti precedenti: narrazioni orali raccolte poi in fiabe trascritte, o libri di novelle o romanzi, opere teatrali o musicali o altro, ma anche da fumetti o da vecchi film o cortometraggi etc. - dei quali tutti, l'unica e inesauribile fonte è, comunque, solo e sempre la realtà - vera o trasfigurata dalla fantasia, la sostanza non cambia), questo film è basato su una graphic novel (sono americani: riporto fedelmente) ossia su un racconto a fumetti (che non è certo il semplice e facile 'fumetto per bambini', ma un vero e proprio avanzato, complesso e articolato linguaggio di narrazione: per immagini, con accompagnamento di qualche parola, ma non necessariamente; per non dire che è, molto probabilmente, addirittura il più antico codice di comunicazione umano: risalente alla preistoria, e che tra l'altro resiste tuttora a tecnologie ben più accessibilmente fruibili e accattivanti, come il cinema e la stessa virtualità dell'web), mi chiedo quindi subito perché anche in questo film si verifica una volta di più (e di troppo, direi, ormai) che - mal per noi - mai nessun autore di fantascienza, se non forse appunto quelli dei soli fumetti, o quasi (ma lì si tratta magari di risultati raggiunti anche con uso o meglio abuso di sostanze stupefacenti - più precisamente acidi, come del resto suggeriva un noto disegnatore di fumetti veneziano, che ho conosciuto di persona a un suo corso gratuito a Mestre-Venezia qualche anno fa), dicevo nessun autore di fantascienza riesce in realtà ad andar mai oltre il mero potenziamento di quanto già c'è oggi, ovvero esclusivamente per quanto riguarda il solo livello della tecnologia?
Fateci un po' caso: nessuno, o pochissimi e per lo più misconosciuti o comunque travisati (e a riprova chiedo, per esempio: a chi alludevo, poco fa, con l'accenno agli acidi?), riescono a pensare né sanno quindi immaginare non soli sviluppi tecnici, riguardanti cioè la mera tecnologia attuale, il potenziamento delle macchine e di tutto ciò che di meccanico c'è nell'essere umano stesso; dico: mai nessuno riesce a creare sul piano della fantasia un essere umano realmente più evoluto, e quindi radicalmente diverso dall'attuale, più progredito veramente nell'intimo e più sviluppato e consapevole in senso propriamente umano ossia nelle sue facoltà spirituali migliori: perché, dunque, tutti sanno immaginare solo questi appariscenti quanto si vuole, ma sempre e solo meri potenziamenti tecnologici, e mai c'è un vero e proprio salto di qualità antropologico, profondo e reale, almeno finora, nella fantascienza? Perché solo e sempre ci si spinge, al massimo, a raffigurarsi una crescita della mera macchinalità, e non realmente dell'umanità in quanto tale? Come mai, insomma, quasi nessun autore di fantascienza sa vedere un mondo, avere la visione d'un futuro in cui l'umanità sia il vero cuore e la radice profonda e autentica del cambiamento, del vero e unico miglioramento possibile, auspicato da Cristo a Buddha (per citarne solo due noti ai più)?
[Continua.
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Una domanda generale, necessaria premessa per poi andar a parlare del film con una prospettiva di lettura (e/o di visione) più ampia, in cui è coinvolto ma certo non l'esaurisce.
Dato che, come dichiarato dagli autori (e come del resto tanti altri film che derivano da racconti precedenti: narrazioni orali raccolte poi in fiabe trascritte, o libri di novelle o romanzi, opere teatrali o musicali o altro, ma anche da fumetti o da vecchi film o cortometraggi etc. - dei quali tutti, l'unica e inesauribile fonte è, comunque, solo e sempre la realtà - vera o trasfigurata dalla fantasia, la sostanza non cambia), questo film è basato su una graphic novel (sono americani: riporto fedelmente) ossia su un racconto a fumetti (che non è certo il semplice e facile 'fumetto per bambini', ma un vero e proprio avanzato, complesso e articolato linguaggio di narrazione: per immagini, con accompagnamento di qualche parola, ma non necessariamente; per non dire che è, molto probabilmente, addirittura il più antico codice di comunicazione umano: risalente alla preistoria, e che tra l'altro resiste tuttora a tecnologie ben più accessibilmente fruibili e accattivanti, come il cinema e la stessa virtualità dell'web), mi chiedo quindi subito perché anche in questo film si verifica una volta di più (e di troppo, direi, ormai) che - mal per noi - mai nessun autore di fantascienza, se non forse appunto quelli dei soli fumetti, o quasi (ma lì si tratta magari di risultati raggiunti anche con uso o meglio abuso di sostanze stupefacenti - più precisamente acidi, come del resto suggeriva un noto disegnatore di fumetti veneziano, che ho conosciuto di persona a un suo corso gratuito a Mestre-Venezia qualche anno fa), dicevo nessun autore di fantascienza riesce in realtà ad andar mai oltre il mero potenziamento di quanto già c'è oggi, ovvero esclusivamente per quanto riguarda il solo livello della tecnologia?
Fateci un po' caso: nessuno, o pochissimi e per lo più misconosciuti o comunque travisati (e a riprova chiedo, per esempio: a chi alludevo, poco fa, con l'accenno agli acidi?), riescono a pensare né sanno quindi immaginare non soli sviluppi tecnici, riguardanti cioè la mera tecnologia attuale, il potenziamento delle macchine e di tutto ciò che di meccanico c'è nell'essere umano stesso; dico: mai nessuno riesce a creare sul piano della fantasia un essere umano realmente più evoluto, e quindi radicalmente diverso dall'attuale, più progredito veramente nell'intimo e più sviluppato e consapevole in senso propriamente umano ossia nelle sue facoltà spirituali migliori: perché, dunque, tutti sanno immaginare solo questi appariscenti quanto si vuole, ma sempre e solo meri potenziamenti tecnologici, e mai c'è un vero e proprio salto di qualità antropologico, profondo e reale, almeno finora, nella fantascienza? Perché solo e sempre ci si spinge, al massimo, a raffigurarsi una crescita della mera macchinalità, e non realmente dell'umanità in quanto tale? Come mai, insomma, quasi nessun autore di fantascienza sa vedere un mondo, avere la visione d'un futuro in cui l'umanità sia il vero cuore e la radice profonda e autentica del cambiamento, del vero e unico miglioramento possibile, auspicato da Cristo a Buddha (per citarne solo due noti ai più)?
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Ed ecco, infine, la lista dei precedenti film che hanno usato la metafora fantascientifica per trattare tematiche analoghe a quelle di quest'ultimo (e forse pure di Avatar: vedremo quando uscirà), e a cui con, ogni evidente probabilità si sono ispirati in un modo o nell'altro gli autori: si parte con l'archetipo ante litteram dell'alienazione-robotizzazione umana "Metropolis" di Friz-Lang (1927 - attenzione alla data, e alle tematiche in parte riprese addirittura dal "Frankenstein" di M. Shelley, rinnovate in chiave tencologico-fantascientifica) per far poi tappa nella rivolta della tecnologia autocosciente col geniale e sempre attuale "2001 Odissea nello spazio" di Kubrik (1968), quindi c'è l'episodio altrettanto geniale del controllo genetico umano da parte delle macchine in "L'uomo che fuggì dal futuro" (1971 - di G.
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Ed ecco, infine, la lista dei precedenti film che hanno usato la metafora fantascientifica per trattare tematiche analoghe a quelle di quest'ultimo (e forse pure di Avatar: vedremo quando uscirà), e a cui con, ogni evidente probabilità si sono ispirati in un modo o nell'altro gli autori: si parte con l'archetipo ante litteram dell'alienazione-robotizzazione umana "Metropolis" di Friz-Lang (1927 - attenzione alla data, e alle tematiche in parte riprese addirittura dal "Frankenstein" di M. Shelley, rinnovate in chiave tencologico-fantascientifica) per far poi tappa nella rivolta della tecnologia autocosciente col geniale e sempre attuale "2001 Odissea nello spazio" di Kubrik (1968), quindi c'è l'episodio altrettanto geniale del controllo genetico umano da parte delle macchine in "L'uomo che fuggì dal futuro" (1971 - di G. Luckas, che poi creerà anche la straordinaria e insuperata saga fanta-mitologica di "Star Wars"), quindi il premonitore "Il mondo dei robot" (1973), l'impareggiabile e supremo "Blade Runner" (1974), poi ancora il prodromo generale d'una lunga serie "Terminator" (1984) e a questo il collegato "Total Recall" (1990), il cyber-horror "Il Tagliaerbe" (1992) e l'avveniristico-profetico "Strange Days" (1995), il lungimirante "Il sesto giorno" (2001), per arrivar infine al riassuntivo e rilanciante "Matrix" (1999), il similare ma più profondo e co-diretto (Kubrik-Spielberg) "Artificial Intelligence" (2001) e la versione per pellicola di "Io Robot" (2004 - ma il libro di Asimov risale addirittura al 1950: e come si nota, la letteratura vede ben più lontano del cinema - in tema analogo, ad esempio, "Pinocchio" di Collodi lo testimonia senz'alcun dubbio), si passa anche poi per l'interessante episodio psico-tecnologico di "Se mi lasci ti cancello" (2004) e s'arriva quindi - almeno per il momento - alla scottante bio-ingegneria e alla sottesa bio-etica di "The Island" (2005).
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