kronos
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sabato 25 giugno 2011
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disarmante
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E' comprensibile che questo potente affresco bellico della Cavani (uno dei suoi migliori film) sia sempre stato un pò nascosto, autocensurato, svilito dalla critica dominante.
Non è facile sopportare la visione di un intero popolo che si prostituisce, letteralmente e moralmente, per sopravvivere. Ed è altrettanto deprimente la tracotanza predatoria degli occupanti, la loro supponenza, ignoranza, ingordigia.
Ma i tanti siparietti napoletani e yankees che i recensori più superficiali hanno sempre tacciato di stereotipi un pò gratuiti, non solo hanno piena fondatezza storica, ma soprattutto riescono a comunicare allo spettatore quel senso profondo di tragedia che ogni guerra porta in sè: un abbruttimento morale e materiale che colpisce tanto i vinti quanto i vincitori.
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E' comprensibile che questo potente affresco bellico della Cavani (uno dei suoi migliori film) sia sempre stato un pò nascosto, autocensurato, svilito dalla critica dominante.
Non è facile sopportare la visione di un intero popolo che si prostituisce, letteralmente e moralmente, per sopravvivere. Ed è altrettanto deprimente la tracotanza predatoria degli occupanti, la loro supponenza, ignoranza, ingordigia.
Ma i tanti siparietti napoletani e yankees che i recensori più superficiali hanno sempre tacciato di stereotipi un pò gratuiti, non solo hanno piena fondatezza storica, ma soprattutto riescono a comunicare allo spettatore quel senso profondo di tragedia che ogni guerra porta in sè: un abbruttimento morale e materiale che colpisce tanto i vinti quanto i vincitori.
Un vento di tragedia che la Cavani riesce a infondere grazie anche a un gran cast, su cui spicca la maiuscola interpretazione di Marcello Mastroianni: caustico e disilluso, ma anche portatore di un profondo senso di dignità.
"La pelle" è un'opera da riscoprire e che non sfigura innanzi a tanti grandi classici italiani a sfondo bellico.
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weach
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mercoledì 15 dicembre 2010
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dipinto doloroso di una storia vera
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Quando è in scena Liliana Cavani, la banalità non è da queste parti.
Perché vergognarci di questo film documento della nostra storia , vera, fatta di miseria, di umiliazioni, di contraddizioni?
Il realismo della Cavani è sempre proverbiale e la rappresentazione di un tempo lontano "in pietosa visione "è nitido, incisivo, forte , sofferto , drammatico , coinvolgente ; un documento che va accettato per quello che è stato, quello che siamo o che potremmo ancora essere , una sorta di monito per chi osserva, per i posteri ,per capire quanto può veramente essere grande e lacerante la sofferenza di un mondo di guerra, di occupazione in un angola della nostra Italia partenopea .
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Quando è in scena Liliana Cavani, la banalità non è da queste parti.
Perché vergognarci di questo film documento della nostra storia , vera, fatta di miseria, di umiliazioni, di contraddizioni?
Il realismo della Cavani è sempre proverbiale e la rappresentazione di un tempo lontano "in pietosa visione "è nitido, incisivo, forte , sofferto , drammatico , coinvolgente ; un documento che va accettato per quello che è stato, quello che siamo o che potremmo ancora essere , una sorta di monito per chi osserva, per i posteri ,per capire quanto può veramente essere grande e lacerante la sofferenza di un mondo di guerra, di occupazione in un angola della nostra Italia partenopea .
Il cicerone di questo film è Il grande Marcello Mastroianni che incarna una figura contradditoria di un Italiano che ha repudiato il fascisco e che si messo a disposizione degli alleati nel poco credibile ruolo di " loro fiduciario".
Sprazzi di dignità di un popolo vorrebbero emergere ma inevitabilmente ricadono nell'abisso sospinti da un dolore endemico, traboccante, in certi attimi .incontenibile ,martellante, umiliante , offensivo...ma vero .
Il film lo consiglio particolarmente ai giovanissimi "perché possano capire ,amare , difendere , far lievitare "quel poco che hanno " ma che è infinitamente più grande di quanto rappresentato in questa storia vera .
weach illuminati
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mariano m.
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sabato 26 marzo 2011
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carne al macello
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Spaccato crudo ma reale del caos che ogni guerra lascia appena finisce. Sonno della ragione,vuoto di potere,vincitori che vincono per sé,potere che riduce anche i "liberati" ad un mero oggetto della vittoria altrui. La linea guida del film è la pelle,nuda e impotente,dell'uomo: mercanteggiata al "chilo" come la carne,esposta al macello dei mezzi da guerra,alla perversione irrazionale di una sessualità brutale e quasi bestiale e infine alla violenza della natura. Non è un film antinapoletano,né antiamericano. Ciò che viene condannato è solo la guerra con i suoi strascichi disumani. E' la disperazione,la perdita di una speranza nel domani,che porta i protagonisti ai gesti più cruenti o comunque ad abbandonarsi al vortice degli eventi,esemplificato nella "festa per soli uomini".
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Spaccato crudo ma reale del caos che ogni guerra lascia appena finisce. Sonno della ragione,vuoto di potere,vincitori che vincono per sé,potere che riduce anche i "liberati" ad un mero oggetto della vittoria altrui. La linea guida del film è la pelle,nuda e impotente,dell'uomo: mercanteggiata al "chilo" come la carne,esposta al macello dei mezzi da guerra,alla perversione irrazionale di una sessualità brutale e quasi bestiale e infine alla violenza della natura. Non è un film antinapoletano,né antiamericano. Ciò che viene condannato è solo la guerra con i suoi strascichi disumani. E' la disperazione,la perdita di una speranza nel domani,che porta i protagonisti ai gesti più cruenti o comunque ad abbandonarsi al vortice degli eventi,esemplificato nella "festa per soli uomini". I "liberatori" sembrano turisti alla ricerca di sfoghi sessuali,non importa come e con chi. Anche Jimmy,che inizialmente sembra un personaggio positivo,nonostante si creda innamorato,non può fare a meno di frequentare continuamente una prostituta e sarà l'autore del gesto più violento ai danni di Maria. Il capitano Malaparte (Marcello Mastroianni)è la voce narrante: l'italiano già mandato in rovina dal fascismo che guarda sconfitto all'ascesa di una nuova potenza mentre la condizione di vittima sacrificale della sua nazione resta praticamente immutata,come testimonia la scena finale del carrarmato che travolge chi lo accoglieva: un incidente da non documentare neanche,una macchia da rimuovere nel protocollo dell'entrata trionfale a Roma. Poetica e significativa l'interpretazione di Carlo Giuffré il cui personaggio non è un camorrista,ma l'espressione di un un uomo ormai disincantato che cerca di sopravvivere reagendo in modo altrettanto duro alle dure vicende che gli si abbattono addosso,non riuscendo più a provare alcun sentimento e neanche la paura dell'eruzione: anche mentre il Vesuvio si scatena,l'importante è che "pure stasera ce magnamm' i maccarun".
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rescart
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domenica 31 marzo 2013
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caos inquieto
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Si potrebbe fare un elenco delle virtù di Curzio Malaparte. Montale disse che era capace di ascoltare ma non si pronunciò sulle sue doti di scrittore e giornalista, suo collega al Corriere della Sera. La differenza sostanziale fra Montale e Malaparte è che il primo fu grande intellettuale e sommo poeta, il secondo fu sostanzialmente uomo di mondo. Non per nulla Montale riconobbe in lui soprattutto doti “salottiere”. Oggi si direbbe che Curzio da piccolo soffriva di un disordine da iperattività o, per dirla con termini meno tecnici, era un impaziente. Sia nei fatti che nelle parole. Per questo partì a soli sedici anni per arruolarsi nella grande guerra contro i crucchi prima che l’Italia entrasse a far parte del fronte degli Alleati.
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Si potrebbe fare un elenco delle virtù di Curzio Malaparte. Montale disse che era capace di ascoltare ma non si pronunciò sulle sue doti di scrittore e giornalista, suo collega al Corriere della Sera. La differenza sostanziale fra Montale e Malaparte è che il primo fu grande intellettuale e sommo poeta, il secondo fu sostanzialmente uomo di mondo. Non per nulla Montale riconobbe in lui soprattutto doti “salottiere”. Oggi si direbbe che Curzio da piccolo soffriva di un disordine da iperattività o, per dirla con termini meno tecnici, era un impaziente. Sia nei fatti che nelle parole. Per questo partì a soli sedici anni per arruolarsi nella grande guerra contro i crucchi prima che l’Italia entrasse a far parte del fronte degli Alleati. Criticò radicalmente l’Italietta che gli riconobbe la medaglia al valor militare e si schierò in tutto e per tutto con Mussolini nella sua scalata al potere. Fece la marcia su Roma e approvò lo squadrismo fascista giustificando l’omicidio Matteotti. A conferma che l’impaziente non era il povero onorevole, profeticamente critico verso un’ingiustificata quanto insensata abolizione di tutte le libertà sin lì conquistate in nome di un bene superiore identificato in un grumo di false promesse, che ben presto si rivelarono tali. Probabilmente dagli studi di liceo Malaparte si ricordava della famosa frase attribuita a Machiavelli: “Il fine giustifica i mezzi” e a quella rimase fedele sino alla morte, quando si convertì finalmente non solo alla fede cattolica ma anche alla Cina Popolare, cui lasciò in eredità la sua villa di Capri. E proprio da Capri parte il film della Cavani ispirato al romanzo postbellico malapartiano, per sbarcare ben presto nella vicina Napoli, teatro della lenta liberazione dell’Italia operata dagli Alleati. Era inevitabile che per un impaziente come lui la compresenza prolungata di queste truppe multinazionali fosse motivo di profondo disagio, da cui scaturì questo romanzo crudo e iperrealistico, come il film realizzato trentadue anni più tardi. Il sospetto è che la decisione di fare questo film, costato ben tre miliardi, sia sorta in una regista coma la Cavani, famosa per il suo Galileo, per testare l’atteggiamento del nuova papa Woityla nei confronti di un autore che si era infine schierato con il suo acerrimo nemico comunista e di un romanzo già messo all’indice da un altro papa reazionario, Pacelli ovvero Pio XII. Ma non risulta che il film sia stato preso male allora dalla gerarchia cattolica. D’altronde la tessera del PCI fu concessa a Malaparte solo alla fine e con grandi difficoltà “burocratiche” per le ovvie diffidenze nei suoi confronti visto il suo controverso passato. Quello che non si perdonava a Malaparte fu di aver sostenuto il fascismo nella sua fase nascente, quella più squadrista e controversa. D’altronde negli anni ’50 le neuroscienze non avevano ancora fatto tutte quelle scoperte che porteranno a classificare in modo analitico tutta una serie di disturbi comportamentali, tra i quali la pedofilia e la cosiddetta ADHD (Attention Deficit Hyperactivity Desorder). Per non parlare della propensione al suicidio che colpì un contemporaneo di Malaparte come Cesare Pavese, anch’egli finito al confino durante il fascismo e come lui riportato a casa per l’intercessione di amicizie altolocate.
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alberto58
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venerdì 8 aprile 2016
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la guerra che attraversa le città
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Era dal 1981 che lo volevo vedere questo film, da quando me ne parlò mio padre perchè aveva assistito alla scena dell'ingresso a Roma, girata sull'Appia Antica, davanti alla tabaccheria di mio zio. Così ho approfittato della possibilità offerta ieri dall'Accademia di Francia a Villa Medici non solo di vederlo, ma di assistere prima ad una intervista con la stessa regista che ha poi assisitio (impassibile, anche nelle scene più crude o divertenti) alla proiezione, una fila di poltrone avanti a me. La chiave di lettura me l'ha fornita la stessa Cavani quando ha detto che ciò che l'ha colpita del romanzo di Malaparte (che ha acquistato per caso ad una bancarella) era il racconto di una guerra come è vissuta dalla popolazione civile nelle città.
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Era dal 1981 che lo volevo vedere questo film, da quando me ne parlò mio padre perchè aveva assistito alla scena dell'ingresso a Roma, girata sull'Appia Antica, davanti alla tabaccheria di mio zio. Così ho approfittato della possibilità offerta ieri dall'Accademia di Francia a Villa Medici non solo di vederlo, ma di assistere prima ad una intervista con la stessa regista che ha poi assisitio (impassibile, anche nelle scene più crude o divertenti) alla proiezione, una fila di poltrone avanti a me. La chiave di lettura me l'ha fornita la stessa Cavani quando ha detto che ciò che l'ha colpita del romanzo di Malaparte (che ha acquistato per caso ad una bancarella) era il racconto di una guerra come è vissuta dalla popolazione civile nelle città..perchè in Italia tra il 43 ed il 44 la guerra ce l'abbiamo avuta letteralmente in casa. La Cavani è dissacrante e provocatoria, come del resto ha sempre dimostrato di essere (ad esempio nel San Francesco interpretato da Mickey Roucke). La guerra sembra che stia fuori dalla porta, nella scena iniziale c'è una bellissima ripresa su Capri e poco dopo siamo tutti nella villa di Malaparte con vista sui faraglioni cosicchè quando arirva la prima scena cruda si è quasi sorpresi. E la Cavani va avanti così, mostrando etremi opposti e situazioni grottesche (come la tutta la storia del menù di una cena di gala che il generale Cork è obbligato a curare mentre intorno a lui piovono le bombe "Siamo in guerra qui..come posso occuparmi di questo..." dice al telefono, ma poi se ne occupa e come perchè si tratta di una protetta del presidente USA. La Cavani va avanti così, in una specie di crescendo, con scene spiazzanti e senza pietà, che viene la voglia di scappare, fino alla scena finale davanti alla Tomba di Cecilia Metella la cui crudezza batte perfino "Salvate il soldato Ryan". Ma poi, anche se è dura arrivare fino alla fine, non si scappa e si esce con la convinzione di avere visto un film grande ed originalissimo, una produzione sfarzosa e di alto livello, senza risparmi..e la voglia di vedere gli altri film della cavani (ne ha fatti 15)
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carloalberto
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venerdì 17 dicembre 2021
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il popolo è il vero perdente di tutte le guerre
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La prospettiva dalla quale Curzio Malaparte osserva gli esiti dell’ultimo conflitto mondiale a Napoli, che la Cavani fedelmente trascrive filmicamente dall’omonimo romanzo dello scrittore pratese, è quella dei perdenti, non intesi storicamente bensì universalmente, ossia i perdenti di tutte le guerre, fatte o che si faranno in futuro.
Il film risulta disturbante, non per le scene dei corpi mutilati, straziati dalle mine o schiacciati da un carro armato, che oggi diremmo appartenere al genere horror splatter, non per la cruda descrizione dei bordelli a cielo aperto, della compravendita dei corpi, finanche di quella dei bambini ai soldati marocchini, ma perché per molti italiani, ancora oggi, è difficile ammettere che l’Italia abbia perso la seconda guerra mondiale.
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La prospettiva dalla quale Curzio Malaparte osserva gli esiti dell’ultimo conflitto mondiale a Napoli, che la Cavani fedelmente trascrive filmicamente dall’omonimo romanzo dello scrittore pratese, è quella dei perdenti, non intesi storicamente bensì universalmente, ossia i perdenti di tutte le guerre, fatte o che si faranno in futuro.
Il film risulta disturbante, non per le scene dei corpi mutilati, straziati dalle mine o schiacciati da un carro armato, che oggi diremmo appartenere al genere horror splatter, non per la cruda descrizione dei bordelli a cielo aperto, della compravendita dei corpi, finanche di quella dei bambini ai soldati marocchini, ma perché per molti italiani, ancora oggi, è difficile ammettere che l’Italia abbia perso la seconda guerra mondiale.
Con un cast internazionale, formato da straordinari interpreti come Mastroianni, Lancaster e la Cardinale e con una pletora di comprimari e di comparse, attinti dal ricco ambiente teatrale partenopeo dell’epoca, in primis Carlo Giuffrè, ma anche Peppe Barra e la madre Concetta, la Cavani mette in scena gli orrori della Napoli liberata-occupata dalle truppe americane senza farsi troppo scrupolo di offendere la sensibilità dello spettatore medio, il piccolo borghese che ama le versioni edulcorate e favolistiche della realtà.
Il film oscilla pericolosamente tra cinema verità, documentario folkloristico e romanzo rosa e rischia di cadere persino nel melodrammatico quando tratta delle due storie d’amore che corrono parallele, tra l’aviatrice americana e lo scrittore toscano e tra il tenente USA e la ragazzina, la vergine di Napoli, sfruttata dal padre come fenomeno da baraccone.
In soccorso della trama traballante e dell’indecisione stilistica della Cavani arrivano le musiche di Roberto De Simone, che riportano il film nella giusta carreggiata, ovvero nel solco della tradizione neorealistica nella quale il vero è rappresentato sempre con lo sguardo del poeta. In questo caso il poeta è anonimo perché i testi delle canzoni di De Simone sono stati scritti nella notte dei tempi dallo stesso popolo napoletano, che rimane l’unico vero protagonista della storia ad incarnare la sofferenza morale e materiale dei perdenti di tutte le guerre.
In una delle sequenze finali, suggestivamente, tra le colonne della basilica di San Francesco di Paola, che si affaccia su Piazza del Plebiscito, risuona il canto di una donna che intona da sola la filastrocca corale di Jesce sole, emblematica dell’insopprimibile desiderio del popolo di rinascita, dopo le tenebre della guerra e le tragedie del dopoguerra.
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