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il popolo è il vero perdente di tutte le guerre Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


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venerdì 17 dicembre 2021

 La prospettiva dalla quale Curzio Malaparte osserva gli esiti dell’ultimo conflitto mondiale a Napoli, che la Cavani fedelmente trascrive filmicamente dall’omonimo romanzo dello scrittore pratese, è quella dei perdenti, non intesi storicamente bensì universalmente, ossia i perdenti di tutte le guerre, fatte  o che si faranno in futuro.
Il film risulta disturbante, non per le scene dei corpi mutilati, straziati dalle mine o schiacciati da un carro armato, che oggi diremmo appartenere al genere horror splatter, non per la cruda descrizione dei bordelli a cielo aperto, della compravendita dei corpi, finanche di quella dei bambini ai soldati marocchini, ma perché per molti italiani, ancora oggi, è difficile ammettere che l’Italia abbia perso la seconda guerra mondiale.
Con un cast internazionale, formato da straordinari interpreti come Mastroianni, Lancaster e la Cardinale e con una pletora di comprimari e di comparse, attinti dal ricco ambiente teatrale partenopeo dell’epoca, in primis Carlo Giuffrè, ma anche Peppe Barra e la madre Concetta, la Cavani mette in scena gli orrori della Napoli liberata-occupata dalle truppe americane senza farsi troppo scrupolo di offendere la sensibilità dello spettatore medio, il piccolo borghese che ama le versioni edulcorate e favolistiche della realtà.
Il film oscilla pericolosamente tra cinema verità, documentario folkloristico e romanzo rosa e rischia di cadere persino nel melodrammatico quando tratta delle due storie d’amore che corrono parallele, tra l’aviatrice americana e lo scrittore toscano e tra il tenente USA e la ragazzina, la vergine di Napoli, sfruttata dal padre come fenomeno da baraccone.
In soccorso della trama traballante e dell’indecisione stilistica della Cavani arrivano le musiche di Roberto De Simone, che riportano il film nella giusta carreggiata, ovvero nel solco della tradizione neorealistica nella quale il vero è rappresentato sempre con lo sguardo del poeta. In questo caso il poeta è anonimo perché i testi delle canzoni di De Simone sono stati scritti nella notte dei tempi dallo stesso popolo napoletano, che rimane l’unico vero protagonista della storia ad incarnare la sofferenza morale e materiale dei perdenti di tutte le guerre.
In una delle sequenze finali, suggestivamente, tra le colonne della basilica di San Francesco di Paola, che si affaccia su Piazza del Plebiscito, risuona il canto di una donna che intona da sola la filastrocca corale di Jesce sole, emblematica dell’insopprimibile desiderio del popolo di rinascita, dopo le tenebre della guerra e le tragedie del dopoguerra.

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