bruce harper
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giovedì 13 settembre 2012
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la madre di tutte le province.
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Il battesimo del fuoco dietro la cinepresa di Fausto Parvidino è un film generoso, divertente e gradevole. E plumbeo. Come il cielo del Piemonte. Profondo Nord. Il nord del Nord.
Il film racconta del consueto gruppo di ragazzi irrequieti, smarriti, ribelli, immortalati nel loro più naturale e congeniale contesto: la provincia. Ragazzi disperati, indecisi, costretti a pirotecniche acrobazie emotive per sfuggire alla morsa del proprio avvilente destino. Aspiranti-uomini allo sbaraglio che non coltivano più attese di nessun tipo sul proprio futuro se non quella di arrivare al sabato successivo pronti per sfogare tutto il loro livore nel week-end. Weekend forzati. Gioventù forzata.
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Il battesimo del fuoco dietro la cinepresa di Fausto Parvidino è un film generoso, divertente e gradevole. E plumbeo. Come il cielo del Piemonte. Profondo Nord. Il nord del Nord.
Il film racconta del consueto gruppo di ragazzi irrequieti, smarriti, ribelli, immortalati nel loro più naturale e congeniale contesto: la provincia. Ragazzi disperati, indecisi, costretti a pirotecniche acrobazie emotive per sfuggire alla morsa del proprio avvilente destino. Aspiranti-uomini allo sbaraglio che non coltivano più attese di nessun tipo sul proprio futuro se non quella di arrivare al sabato successivo pronti per sfogare tutto il loro livore nel week-end. Weekend forzati. Gioventù forzata. Feste a base di scazzi, alcol e droga.
Paravidino ha girato un ordinario romanzo di formazione immerso nelle tinte di un affresco generazionale sulla vita di provincia.
La scansione narrativa, soprattutto nella prima parte, è tanto articolata quanto stereotipata. Non bastava già una camionata di inutili film americani dannatamente-uguali-a-se-stessi a propinarci l’ennesimo rocambolesco e artificioso antefatto, ci si è messo pure Paravidino! L’iniziale intreccio di piani temporali complica decisamente l’introduzione dei caratteri, nonostante il tutto venga alleggerito dai toni della commedia e dai variopinti quadretti familiari in stile Favoloso mondo di Ameliè o Tenenbau, ma la deriva caricaturale è scongiurata grazie ad alcune magistrali prove d’attore: l’ingenua Cinzia, interpretata da una splendida Iris Fusetti, e lo stesso Paravidino, secondo noi molto più bravo davanti che dietro la macchina da presa, che incarna il testimone ideale, inerte e incredulo, di tutta la vicenda. Un Luigi Locascio più stralunato e schizzato, che gigioneggia impavido Chaplin nel concitato epilogo da post-sbronza.
Un film in generale saturo di parole e dialoghi, ma non scevro d’azione e che giocoforza risulta essere interessante soprattutto in quelle fasi dove emerge il non-detto, i silenzi. E tutta l’afasia di un’ umanità allo sbando. Frangenti, in cui affiora prepotente la straordinaria musica di Nicola Tescari al quale va oggettivamente data una nota di merito. Colonna sonora che in certi tratti riecheggia i toni epici delle musiche Western, al pari di Valerio Binasco, l’attore che incarna il marito di Valeria Golino, e al pari del titolo stesso del film.
Il western. Il Texas. La madre di tutte le province. Di tutte le periferie. La provincia della provincia. La quintessenza dell’isolamento di un microcosmo che si eleva ad universo referenziale. Perché questo è il messaggio che più colpisce nel film: no escape from here. Non esiste via di fuga. I movimenti ascensionali del Dolly in testa e in coda al film muovono dal generale al particolare e poi di nuovo al generale, in un movimento che si fa sintomatico di una condizione universale, quintessenziale. La provincia come carcere di massima sicurezza. La vita come lotta alla claustrofobia del proprio contesto. L’autostrada che fluisce inesausta come un recinto percorso da scariche di alta tensione. Il movimento è indolente perché è circolare. Riporta sempre al punto di partenza.
E fin qui poco o nulla di nuovo. Ma è proprio su questo clichè tematico che Paravidino innesta il vero nucleo drammatico del film: il conflitto generazionale. I padri. I figli. I figli dei figli. Eredità pesanti, gravose. Speranze disilluse da problemi di estrazione o da senilità ostentata e protetta. Tracce disseminate di atavica colpa: come la pistola del padre ex-partigiano che innesca l’ultima fatale spirale di violenza. Generazioni costrette a scontare le colpe di propri padri incapaci di creare una provincia sana e anche loro nel contempo indaffarati a tentare nuove vie di fuga attraverso l'alcool e nuove pseudo-carriere. Mentre i figli in ostaggio si sbattono per creare una falla, incrinare il meccanismo, cercando di rubare la donna ai loro stessi padri. Ma il destino è inesorabile. Fatale. Bisogna far quadrare il cerchio. Rientrare nei ranghi. Serrare le fila.
La famiglia, la discendenza, come universo claustrofobico. Stagno. Un universo dentro un universo. Una gabbia dentro una gabbia. La famiglia dentro la provincia. Le proprie radici come ghetto.
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gianluca stanzani
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mercoledì 21 maggio 2008
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generazione x
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Il cinema salvato dal teatro? Probabilmente no ma una ventata di sana freschezza, Fausto Paravidino la dà. Giovanissimo ma già affermato autore/attore teatrale, premio Pier Vittorio Tondelli e Gassman, si pone all'esordio della macchina da presa con una trama che assomiglia tanto a una matassa intricata.
Per tutto il primo tempo si stenta a capire. Con quei fili sottili che a volte sembrano dei semplici inceppi: l'amore, l'amicizia, i sogni... la vita, che si trasformano in nodi e poi strappi; che quando li vai a riannodare non è più la stessa cosa, altre vite altri fili altri suoni. Come diversi possono essere i posti, le langhe o la bassa pianura ma i figli sono sempre quelli, una generazione indecisa che rifiuta i propri sogni per “il mondo dei grandi”.
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Il cinema salvato dal teatro? Probabilmente no ma una ventata di sana freschezza, Fausto Paravidino la dà. Giovanissimo ma già affermato autore/attore teatrale, premio Pier Vittorio Tondelli e Gassman, si pone all'esordio della macchina da presa con una trama che assomiglia tanto a una matassa intricata.
Per tutto il primo tempo si stenta a capire. Con quei fili sottili che a volte sembrano dei semplici inceppi: l'amore, l'amicizia, i sogni... la vita, che si trasformano in nodi e poi strappi; che quando li vai a riannodare non è più la stessa cosa, altre vite altri fili altri suoni. Come diversi possono essere i posti, le langhe o la bassa pianura ma i figli sono sempre quelli, una generazione indecisa che rifiuta i propri sogni per “il mondo dei grandi”. Una generazione fatta di tipi standardizzati altamente improbabili, uniti dalla sola voglia di non restarsene soli e abbandonati come i propri vecchi, a cui consciamente o inconsciamente fanno tanto per somigliare.
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motasex
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domenica 13 gennaio 2008
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che cazzata
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ecco lo pseudo intellettuale che si crede il nuovo virzì (o chissà, magari addirittura aspirava a una coralità alla altman) e che intanto si ciuccia tutti i soldi che potrebbero aiutare un sacco di giovani con talento a esordire e che invece vanno a finire nell'ennesimo prodotto ingolfato e inutile. che tristezza. dialoghi così li scrivevo a sedic'anni. e vabbé...
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piemonteseinesilio
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domenica 5 agosto 2007
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fantastico
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Per chi ci ha vissuto in quella provincia questo film è come un album di foto.
I ricordi sbiaditi di quando sedici o diciotto anni riaffiorano.
La provincia, le cose da cui si scappa sono rappresentate con una veridicità e con una crudeltà disarmanti.
Praticamente perfetto.
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(. )( .)
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mercoledì 18 luglio 2007
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ma che oooooooooo!!!!
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A me il film è piaciuto tantissimo............... sarà perché esco con la sorella del regista!!!! Spero che Fausto non mi sgami!!
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(di yocopomayoko)
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unclescrooge
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domenica 24 giugno 2007
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se il buon giorno si vede dal mattino...
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Ottimo film: fresco, fuori dai soliti schemi, narrativamente impeccabile e, altro punto a suo favore, snobbato dalla Kritika.
Fausto Paravidino è uno che fa sul serio: riesce a rendere così bene i personaggi da convincere il pubblico che anche Scamarcio sappia recitare.
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salvatore
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domenica 3 giugno 2007
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non ci siamo
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riccardo,mi hai deluso,mi sono piaciuti tutti i film che hai fatto tranne ho voglia di te e texas.L'ho visto ieri da un amico che ha il DVD di texas.Comunque ricca,mi hai deluso molto con questi 2 film,ma soprattutto su texas
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lucca
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mercoledì 21 marzo 2007
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circa due ore perse
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Si in qyanto un film farraginoso inconcludente che dice e non dice. I soliti giovani registi entusiasti che non sanno bene come si fa cinema e si lasciano prendere da un entusiamo che, amio parere, non contagia il Pubblico nella mia sala
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babi
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giovedì 14 dicembre 2006
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inutile
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Premettendo con sincerità di aver visto "Texas" solo per ammirare il fascino del bellissimo Riccardo, oserei dire che questo film sia pienamente inutile e senza senso.. Fino a circa metà film non sono riuscita a capire la trama e anche dopo averla capita mi ha delusa totalmente; pieno di scene e frasi troppo volgari.. Evitatelo.
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stefania poppi
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domenica 26 novembre 2006
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texas, italia
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Prima opera cinematografica del regista e attore teatrale Fausto Paravidino, il film risente indubbiamente di questa formazione artistica del suo giovane autore, nonchè delle sue personali suggestioni di pellicola (troppo facile il ricorso ad un montaggio veloce e alle sequenze in flash back).
Il punto debole è infatti la regia, che forse il giovane Paravidino avrebbe potuto affidare ad altri, mentre è nella sceneggiatura che troviamo la forza di questo lavoro. La pellicola infatti restituisce il senso di spaesamento e di disagio dell'attuale generazione che vive nelle provincia italiana, che quando trascinata in un rapido stravolgimento economico (ci asteniamo dal definirlo, filosoficamente, sviluppo) non ne riesce ad assorbire altrettanto velocemente e non senza fatica i mutamenti sul piano delle relazioni e culturale (solo nelle sue forme più superficiali - vedi il ristorante cinese o i continui riferimenti alla cultura americana).
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Prima opera cinematografica del regista e attore teatrale Fausto Paravidino, il film risente indubbiamente di questa formazione artistica del suo giovane autore, nonchè delle sue personali suggestioni di pellicola (troppo facile il ricorso ad un montaggio veloce e alle sequenze in flash back).
Il punto debole è infatti la regia, che forse il giovane Paravidino avrebbe potuto affidare ad altri, mentre è nella sceneggiatura che troviamo la forza di questo lavoro. La pellicola infatti restituisce il senso di spaesamento e di disagio dell'attuale generazione che vive nelle provincia italiana, che quando trascinata in un rapido stravolgimento economico (ci asteniamo dal definirlo, filosoficamente, sviluppo) non ne riesce ad assorbire altrettanto velocemente e non senza fatica i mutamenti sul piano delle relazioni e culturale (solo nelle sue forme più superficiali - vedi il ristorante cinese o i continui riferimenti alla cultura americana).
La caratterizzazione dei personaggi è tanto stereotipata da sembrare caricaturale, forse si sarebbe potuto insistere maggiormente sulle sfumature delle varie identità raccontate, poichè l'individuo è un essere in movimento, e quello che è oggi non vale più domani.
Nonostante questi limiti, il film convince per un duro realismo e per certe ambientazioni, gli interni disadorni e per nulla eleganti (giusto il centrino sotto la tv)dove la sostanza conta più della forma, la campagna del nord, i suoi inverni e i rimedi ad esso, la staticità, come se la provincia fosse un mondo a sè, agrappata a se stessa, e quello che succede fuori dai suoi confini è destinato solo a sfiorarla, di lato, senza fare grossi danni, tranne quando ne mina il cuore.
In un epoca di meltin pot di culture, idee, tradizioni e valori, o mancanza di valori, se ci va bene, ogni tanto ci fermiamo a guardare indietro, e ritrovare le nostre radici. Altrimenti, come andiamo avanti?
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