ale
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domenica 11 dicembre 2005
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un film insolito
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Ho visto questo film un mercoledì sera come tanti, con tanto di nebbia urbinate, freddo e poca voglia di muovermi da casa.Quand'è così finisco sempre per dirmi che sono una 'pantofolaia' e per uscire lo stesso, ma stavolta c'era soprattutto che avevo appena letto il teatro di Fausto Paravidino, e l'avevo trovato così straordinario da farmi sfidare la pigrizia.Così piena di aspettative sono entrata nel piccolo cinema.Cosa ho visto?Una commedia dal sapore amaro:la scena una città di provincia del Nord Italia, dove i genitori perdono il lavoro e i figli non sanno bene che fare della loro vita, passano le serate a bere e parlare di niente finchè uno di loro vive una storia d'amore con una donna quarantenne, annoiata da un matrimonio tranquillo e da un marito rinunciatario.
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Ho visto questo film un mercoledì sera come tanti, con tanto di nebbia urbinate, freddo e poca voglia di muovermi da casa.Quand'è così finisco sempre per dirmi che sono una 'pantofolaia' e per uscire lo stesso, ma stavolta c'era soprattutto che avevo appena letto il teatro di Fausto Paravidino, e l'avevo trovato così straordinario da farmi sfidare la pigrizia.Così piena di aspettative sono entrata nel piccolo cinema.Cosa ho visto?Una commedia dal sapore amaro:la scena una città di provincia del Nord Italia, dove i genitori perdono il lavoro e i figli non sanno bene che fare della loro vita, passano le serate a bere e parlare di niente finchè uno di loro vive una storia d'amore con una donna quarantenne, annoiata da un matrimonio tranquillo e da un marito rinunciatario.E' il solito ritratto della gioventù di oggi incapace di trovare la propria strada, il copione trito di matrimonio e tradimento,l'ironia tipica della commedia all'italiana, tutto condito da una regia poco esperta?Il giorno dopo avrei saputo di queste ed altre critiche, ma mentre guardavo 'Texas'nessuna mi si è affacciata alla mente.Dopo lo sconcerto del primo quarto d'ora, quando storia e personaggi erano ancora confusi, qualcosa è cominciato ad arrivare.I personaggi, a prima vista deformati in senso quasi grottesco, li ho trovati in fondo veri.Veri specchi magari non di una provincia precisa o di persone riconoscibili, ma, in modo allargato,di quella che è la vita di chi ha più o meno la mia età, che si ritrova ad essere un pò orfano di valori e incapace di comunicare davvero,succube di modelli importati e in fin dei conti 'figlio di Vittorini e di Fenoglio e fratello di Kurt Cobain' .Guardando il film, e poi una volta uscita di nuovo nella nebbia di Urbino, ho trovato molte cose che rispondono alla mia esperienza, e non so voi, ma a me ha fatto riflettere pensare a come parliamo, passiamo il tempo,cerchiamo affetto.Più che in tanti altri film, ho visto la capacità di cogliere certa contemporaneità,e restituirla in modo assolutamente immediato,senza scendere nel banale, e ponendo domande.Tutto questo mi è piaciuto, e mi è piaciuto il modo di raccontare ironico, divertente in certi punti, caustico in altri.Senza dimenticare che chi racconta è un ragazzo di 29 anni,attore e scrittore,che attraverso il teatro parla spesso in modo geniale del nostro tempo e che stavolta ha affidato ad un film il messaggio di un giovane ai giovani.E direi che qualche errore tecnico possiamo pure perdonarglielo.
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paola
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giovedì 27 ottobre 2005
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superficialità dalla geografia
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Un Texas drammatico sì, ma fin troppo teatrale; forse più ingenuo che geniale.
Un primo tempo debordante di citazioni dal genere generazionale; un secondo tempo che tocca invece a fondo la corda della tragicità. Alcuni interpreti sembrano che siano colti da un violento singhiozzo ad ogni battuta un pò più elaborata. Ma ciò che lascia il segno sono i silenzi di Alessandro e Maria, gli ambienti scarni degli interni familiari - verosimilissimi e vicini alla quotidianità, non solo piemontese ma di tutti quelli che abitano le terre di mezzo della famigeratissima provincia italiana - nei parcheggi, in auto, su un'altalena...
Questo non è un film che distrae, che fa "sognare"; nessuno dei personaggi è simpatico o accattivante.
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Un Texas drammatico sì, ma fin troppo teatrale; forse più ingenuo che geniale.
Un primo tempo debordante di citazioni dal genere generazionale; un secondo tempo che tocca invece a fondo la corda della tragicità. Alcuni interpreti sembrano che siano colti da un violento singhiozzo ad ogni battuta un pò più elaborata. Ma ciò che lascia il segno sono i silenzi di Alessandro e Maria, gli ambienti scarni degli interni familiari - verosimilissimi e vicini alla quotidianità, non solo piemontese ma di tutti quelli che abitano le terre di mezzo della famigeratissima provincia italiana - nei parcheggi, in auto, su un'altalena...
Questo non è un film che distrae, che fa "sognare"; nessuno dei personaggi è simpatico o accattivante. Mancano caratterizzazioni a tutto tondo dei ragazzi, ma una loro caratterizzazione si avverte, grazie anche ai costumi - azzeccatissima la scelta soprattutto per quelli di Cinzia -
L'ingombrante tematica della superficialità, imperante negli stili e nelle scelte di vita di oggi, non è più una questione generazionale, ma invade l'intera geografia umana, in ogni suo interstizio spazio - temporale: Cinzia è ingenua e superficiale nelle ambizioni lavorative come nella vita sentimentale; la marcata vuotezza nello sguardo di Gianluca ci informa della sua crudele superficialità nei confronti di Maria, di Cinzia, della sua famiglia, della sua stessa vita; la superficialità della maestra elementare non riguarda l'insegnamento, anzi fin troppo scrupoloso, ma gli affetti profondi, quelli che vanno coltivati, pensati, a cui non basta volersi bene e stare bene insieme per sopravvivere. E poi c'è la superficialità generale, di tutti con tutti e tutto: nell'amicizia, nella poitica, nell'amore, in famiglia.
Alla fine ti chiedi: davvero è il contesto geografico che incide sulla natura ed il comportamento degli uomini che lo occupano?
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anna
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martedì 24 gennaio 2006
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un bel pugno allo stomaco...
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Ieri sera sono andata a vedere il film..non so quando è uscito nelle sale italiane, ma da noi, piccola cittadina Piemontese è stato inserito solo in una serata come "Cinema qualità"...premetto che non ho visto trailer o pubblicità e che in tutta onestà volevo vederlo solo per Scamarcio...e poi mi son ritrovata davanti questo film che è come un pugno nello stomaco..dato a fin di bene!Abito in un paese di 500 anime e vedere sullo schermo le "nostre persone" mi ha riempito di tenerezza, perchè davvero da noi tante case sono ancora così..spartane, sgarruppate, coi mobili spaiati e poco design..mi è venuta in mente la casa di mio zio, come parliamo noi in dialetto e poi effettivamente come sono le compagnie di giovani, le cene a casa di amici, il lavoro, le abitudini, i sogni o la mancanza di sogni.
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Ieri sera sono andata a vedere il film..non so quando è uscito nelle sale italiane, ma da noi, piccola cittadina Piemontese è stato inserito solo in una serata come "Cinema qualità"...premetto che non ho visto trailer o pubblicità e che in tutta onestà volevo vederlo solo per Scamarcio...e poi mi son ritrovata davanti questo film che è come un pugno nello stomaco..dato a fin di bene!Abito in un paese di 500 anime e vedere sullo schermo le "nostre persone" mi ha riempito di tenerezza, perchè davvero da noi tante case sono ancora così..spartane, sgarruppate, coi mobili spaiati e poco design..mi è venuta in mente la casa di mio zio, come parliamo noi in dialetto e poi effettivamente come sono le compagnie di giovani, le cene a casa di amici, il lavoro, le abitudini, i sogni o la mancanza di sogni..insomma come si vive..Forse in molti momenti la recitazione o la tecnica non sono state il top del top, ma sono uscita dalla sala (multisala in contesto industriale) col mal di stomaco (forse causato dalla scena della violenza di Davide sull'amica), il sorriso sulle labbra..dimentica della figura di "quel gran figo" di Scamarcio, con il piacere della recitazione della Golino (che di solito non mi piace) e con in testa tante parole e immagini che avrei voluto raccontare a qualcuno..magari seduti sulla soglia di casa a quattr'occhi e non con un telefonino puntato alla tempia..
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bruce harper
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giovedì 13 settembre 2012
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la madre di tutte le province.
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Il battesimo del fuoco dietro la cinepresa di Fausto Parvidino è un film generoso, divertente e gradevole. E plumbeo. Come il cielo del Piemonte. Profondo Nord. Il nord del Nord.
Il film racconta del consueto gruppo di ragazzi irrequieti, smarriti, ribelli, immortalati nel loro più naturale e congeniale contesto: la provincia. Ragazzi disperati, indecisi, costretti a pirotecniche acrobazie emotive per sfuggire alla morsa del proprio avvilente destino. Aspiranti-uomini allo sbaraglio che non coltivano più attese di nessun tipo sul proprio futuro se non quella di arrivare al sabato successivo pronti per sfogare tutto il loro livore nel week-end. Weekend forzati. Gioventù forzata.
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Il battesimo del fuoco dietro la cinepresa di Fausto Parvidino è un film generoso, divertente e gradevole. E plumbeo. Come il cielo del Piemonte. Profondo Nord. Il nord del Nord.
Il film racconta del consueto gruppo di ragazzi irrequieti, smarriti, ribelli, immortalati nel loro più naturale e congeniale contesto: la provincia. Ragazzi disperati, indecisi, costretti a pirotecniche acrobazie emotive per sfuggire alla morsa del proprio avvilente destino. Aspiranti-uomini allo sbaraglio che non coltivano più attese di nessun tipo sul proprio futuro se non quella di arrivare al sabato successivo pronti per sfogare tutto il loro livore nel week-end. Weekend forzati. Gioventù forzata. Feste a base di scazzi, alcol e droga.
Paravidino ha girato un ordinario romanzo di formazione immerso nelle tinte di un affresco generazionale sulla vita di provincia.
La scansione narrativa, soprattutto nella prima parte, è tanto articolata quanto stereotipata. Non bastava già una camionata di inutili film americani dannatamente-uguali-a-se-stessi a propinarci l’ennesimo rocambolesco e artificioso antefatto, ci si è messo pure Paravidino! L’iniziale intreccio di piani temporali complica decisamente l’introduzione dei caratteri, nonostante il tutto venga alleggerito dai toni della commedia e dai variopinti quadretti familiari in stile Favoloso mondo di Ameliè o Tenenbau, ma la deriva caricaturale è scongiurata grazie ad alcune magistrali prove d’attore: l’ingenua Cinzia, interpretata da una splendida Iris Fusetti, e lo stesso Paravidino, secondo noi molto più bravo davanti che dietro la macchina da presa, che incarna il testimone ideale, inerte e incredulo, di tutta la vicenda. Un Luigi Locascio più stralunato e schizzato, che gigioneggia impavido Chaplin nel concitato epilogo da post-sbronza.
Un film in generale saturo di parole e dialoghi, ma non scevro d’azione e che giocoforza risulta essere interessante soprattutto in quelle fasi dove emerge il non-detto, i silenzi. E tutta l’afasia di un’ umanità allo sbando. Frangenti, in cui affiora prepotente la straordinaria musica di Nicola Tescari al quale va oggettivamente data una nota di merito. Colonna sonora che in certi tratti riecheggia i toni epici delle musiche Western, al pari di Valerio Binasco, l’attore che incarna il marito di Valeria Golino, e al pari del titolo stesso del film.
Il western. Il Texas. La madre di tutte le province. Di tutte le periferie. La provincia della provincia. La quintessenza dell’isolamento di un microcosmo che si eleva ad universo referenziale. Perché questo è il messaggio che più colpisce nel film: no escape from here. Non esiste via di fuga. I movimenti ascensionali del Dolly in testa e in coda al film muovono dal generale al particolare e poi di nuovo al generale, in un movimento che si fa sintomatico di una condizione universale, quintessenziale. La provincia come carcere di massima sicurezza. La vita come lotta alla claustrofobia del proprio contesto. L’autostrada che fluisce inesausta come un recinto percorso da scariche di alta tensione. Il movimento è indolente perché è circolare. Riporta sempre al punto di partenza.
E fin qui poco o nulla di nuovo. Ma è proprio su questo clichè tematico che Paravidino innesta il vero nucleo drammatico del film: il conflitto generazionale. I padri. I figli. I figli dei figli. Eredità pesanti, gravose. Speranze disilluse da problemi di estrazione o da senilità ostentata e protetta. Tracce disseminate di atavica colpa: come la pistola del padre ex-partigiano che innesca l’ultima fatale spirale di violenza. Generazioni costrette a scontare le colpe di propri padri incapaci di creare una provincia sana e anche loro nel contempo indaffarati a tentare nuove vie di fuga attraverso l'alcool e nuove pseudo-carriere. Mentre i figli in ostaggio si sbattono per creare una falla, incrinare il meccanismo, cercando di rubare la donna ai loro stessi padri. Ma il destino è inesorabile. Fatale. Bisogna far quadrare il cerchio. Rientrare nei ranghi. Serrare le fila.
La famiglia, la discendenza, come universo claustrofobico. Stagno. Un universo dentro un universo. Una gabbia dentro una gabbia. La famiglia dentro la provincia. Le proprie radici come ghetto.
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gianluca stanzani
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mercoledì 21 maggio 2008
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generazione x
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Il cinema salvato dal teatro? Probabilmente no ma una ventata di sana freschezza, Fausto Paravidino la dà. Giovanissimo ma già affermato autore/attore teatrale, premio Pier Vittorio Tondelli e Gassman, si pone all'esordio della macchina da presa con una trama che assomiglia tanto a una matassa intricata.
Per tutto il primo tempo si stenta a capire. Con quei fili sottili che a volte sembrano dei semplici inceppi: l'amore, l'amicizia, i sogni... la vita, che si trasformano in nodi e poi strappi; che quando li vai a riannodare non è più la stessa cosa, altre vite altri fili altri suoni. Come diversi possono essere i posti, le langhe o la bassa pianura ma i figli sono sempre quelli, una generazione indecisa che rifiuta i propri sogni per “il mondo dei grandi”.
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Il cinema salvato dal teatro? Probabilmente no ma una ventata di sana freschezza, Fausto Paravidino la dà. Giovanissimo ma già affermato autore/attore teatrale, premio Pier Vittorio Tondelli e Gassman, si pone all'esordio della macchina da presa con una trama che assomiglia tanto a una matassa intricata.
Per tutto il primo tempo si stenta a capire. Con quei fili sottili che a volte sembrano dei semplici inceppi: l'amore, l'amicizia, i sogni... la vita, che si trasformano in nodi e poi strappi; che quando li vai a riannodare non è più la stessa cosa, altre vite altri fili altri suoni. Come diversi possono essere i posti, le langhe o la bassa pianura ma i figli sono sempre quelli, una generazione indecisa che rifiuta i propri sogni per “il mondo dei grandi”. Una generazione fatta di tipi standardizzati altamente improbabili, uniti dalla sola voglia di non restarsene soli e abbandonati come i propri vecchi, a cui consciamente o inconsciamente fanno tanto per somigliare.
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stefania poppi
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domenica 26 novembre 2006
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texas, italia
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Prima opera cinematografica del regista e attore teatrale Fausto Paravidino, il film risente indubbiamente di questa formazione artistica del suo giovane autore, nonchè delle sue personali suggestioni di pellicola (troppo facile il ricorso ad un montaggio veloce e alle sequenze in flash back).
Il punto debole è infatti la regia, che forse il giovane Paravidino avrebbe potuto affidare ad altri, mentre è nella sceneggiatura che troviamo la forza di questo lavoro. La pellicola infatti restituisce il senso di spaesamento e di disagio dell'attuale generazione che vive nelle provincia italiana, che quando trascinata in un rapido stravolgimento economico (ci asteniamo dal definirlo, filosoficamente, sviluppo) non ne riesce ad assorbire altrettanto velocemente e non senza fatica i mutamenti sul piano delle relazioni e culturale (solo nelle sue forme più superficiali - vedi il ristorante cinese o i continui riferimenti alla cultura americana).
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Prima opera cinematografica del regista e attore teatrale Fausto Paravidino, il film risente indubbiamente di questa formazione artistica del suo giovane autore, nonchè delle sue personali suggestioni di pellicola (troppo facile il ricorso ad un montaggio veloce e alle sequenze in flash back).
Il punto debole è infatti la regia, che forse il giovane Paravidino avrebbe potuto affidare ad altri, mentre è nella sceneggiatura che troviamo la forza di questo lavoro. La pellicola infatti restituisce il senso di spaesamento e di disagio dell'attuale generazione che vive nelle provincia italiana, che quando trascinata in un rapido stravolgimento economico (ci asteniamo dal definirlo, filosoficamente, sviluppo) non ne riesce ad assorbire altrettanto velocemente e non senza fatica i mutamenti sul piano delle relazioni e culturale (solo nelle sue forme più superficiali - vedi il ristorante cinese o i continui riferimenti alla cultura americana).
La caratterizzazione dei personaggi è tanto stereotipata da sembrare caricaturale, forse si sarebbe potuto insistere maggiormente sulle sfumature delle varie identità raccontate, poichè l'individuo è un essere in movimento, e quello che è oggi non vale più domani.
Nonostante questi limiti, il film convince per un duro realismo e per certe ambientazioni, gli interni disadorni e per nulla eleganti (giusto il centrino sotto la tv)dove la sostanza conta più della forma, la campagna del nord, i suoi inverni e i rimedi ad esso, la staticità, come se la provincia fosse un mondo a sè, agrappata a se stessa, e quello che succede fuori dai suoi confini è destinato solo a sfiorarla, di lato, senza fare grossi danni, tranne quando ne mina il cuore.
In un epoca di meltin pot di culture, idee, tradizioni e valori, o mancanza di valori, se ci va bene, ogni tanto ci fermiamo a guardare indietro, e ritrovare le nostre radici. Altrimenti, come andiamo avanti?
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