Texas

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Un film di Fausto Paravidino. Con Fausto Paravidino, Iris Fusetti, Riccardo Scamarcio, Valeria Golino, Valerio Binasco.
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Drammatico, durata 105 min. - Italia 2005. uscita venerdì 14 ottobre 2005. MYMONETRO Texas * * - - - valutazione media: 2,38 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La madre di tutte le province. Valutazione 3 stelle su cinque

di Bruce Harper


Feedback: 1664 | altri commenti e recensioni di Bruce Harper
giovedì 13 settembre 2012

Il battesimo del fuoco dietro la cinepresa di Fausto Parvidino è un film generoso, divertente e gradevole. E plumbeo. Come il cielo del Piemonte. Profondo Nord. Il nord del Nord.
Il film racconta del consueto gruppo di ragazzi irrequieti, smarriti, ribelli, immortalati nel loro più naturale e congeniale contesto: la provincia. Ragazzi disperati, indecisi, costretti a pirotecniche acrobazie emotive per sfuggire alla morsa del proprio avvilente destino. Aspiranti-uomini allo sbaraglio che non coltivano più attese di nessun tipo sul proprio futuro se non quella di arrivare al sabato successivo pronti per sfogare tutto il loro livore nel week-end. Weekend forzati. Gioventù forzata. Feste a base di scazzi, alcol e droga.
Paravidino ha girato un ordinario romanzo di formazione immerso nelle tinte di un affresco generazionale sulla vita di provincia.
La scansione narrativa, soprattutto nella prima parte, è tanto articolata quanto stereotipata. Non bastava già una camionata di inutili film americani dannatamente-uguali-a-se-stessi a propinarci l’ennesimo rocambolesco e artificioso antefatto, ci si è messo pure Paravidino! L’iniziale intreccio di piani temporali complica decisamente l’introduzione dei caratteri, nonostante il tutto venga alleggerito dai toni della commedia e dai variopinti quadretti familiari in stile Favoloso mondo di Ameliè o Tenenbau, ma la deriva caricaturale è scongiurata grazie ad alcune magistrali prove d’attore: l’ingenua Cinzia, interpretata da una splendida Iris Fusetti, e lo stesso Paravidino, secondo noi molto più bravo davanti che dietro la macchina da presa, che incarna il testimone ideale, inerte e incredulo, di tutta la vicenda. Un Luigi Locascio più stralunato e schizzato, che gigioneggia impavido Chaplin nel concitato epilogo da post-sbronza.
Un film in generale saturo di parole e dialoghi, ma non scevro d’azione e che giocoforza risulta essere interessante soprattutto in quelle fasi dove emerge il non-detto, i silenzi. E tutta l’afasia di un’ umanità allo sbando. Frangenti, in cui affiora prepotente la straordinaria musica di Nicola Tescari al quale va oggettivamente data una nota di merito. Colonna sonora che in certi tratti riecheggia i toni epici delle musiche Western, al pari di Valerio Binasco, l’attore che incarna il marito di Valeria Golino, e al pari del titolo stesso del film.
Il western. Il Texas. La madre di tutte le province. Di tutte le periferie. La provincia della provincia. La quintessenza dell’isolamento di un microcosmo che si eleva ad universo referenziale. Perché questo è il messaggio che più colpisce nel film: no escape from here. Non esiste via di fuga. I movimenti ascensionali del Dolly in testa e in coda al film muovono dal generale al particolare e poi di nuovo al generale, in un movimento che si fa sintomatico di una condizione universale, quintessenziale. La provincia come carcere di massima sicurezza. La vita come lotta alla claustrofobia del proprio contesto. L’autostrada che fluisce inesausta come un recinto percorso da scariche di alta tensione. Il movimento è indolente perché è circolare. Riporta sempre al punto di partenza.
E fin qui poco o nulla di nuovo. Ma è proprio su questo clichè tematico che Paravidino innesta il vero nucleo drammatico del film: il conflitto generazionale. I padri. I figli. I figli dei figli. Eredità pesanti, gravose. Speranze disilluse da problemi di estrazione o da senilità ostentata e protetta.  Tracce disseminate di atavica colpa: come la pistola del padre ex-partigiano che innesca l’ultima fatale spirale di violenza. Generazioni costrette a scontare le colpe di propri padri incapaci di creare una provincia sana e anche loro nel contempo indaffarati a tentare nuove vie di fuga attraverso l'alcool e nuove pseudo-carriere. Mentre i figli in ostaggio si sbattono per creare una falla, incrinare il meccanismo, cercando di rubare la donna ai loro stessi padri. Ma il destino è inesorabile. Fatale. Bisogna far quadrare il cerchio. Rientrare nei ranghi. Serrare le fila.
La famiglia, la discendenza, come universo claustrofobico. Stagno. Un universo dentro un universo. Una gabbia dentro una gabbia. La famiglia dentro la provincia. Le proprie radici come ghetto.

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