marco
|
domenica 2 ottobre 2022
|
depresso e deprimente
|
|
|
|
Ho messo due stelle solo per il rispetto che ho di Laconte e dei suoi film migliori, ma non è certo in questo film che lo si ritrova. Un film deludente, depresso e deprimente. Qui e là si intrevade forse l'intenzione di focalizzare stati d'animo compressi e taciuti, ma l'esito è sinceramente nullo. Depardieu inutilmente monocorde e noioso, la vicenda raccontata banalmente, la messa in scena scarsa e svogliata. Da rivedere il Laconte di "Lo strano caso di mr. Hire" sempra da Simenon dove il regista ha creato un film magistrale. Cercando di dimenticare questo triste e inutile Magrait.
[+] chi lo dice sa forse di esserlo?
(di adriana bianchin)
[ - ] chi lo dice sa forse di esserlo?
[+] non basta il pensiero
(di carli)
[ - ] non basta il pensiero
|
|
[+] lascia un commento a marco »
[ - ] lascia un commento a marco »
|
|
d'accordo? |
|
maramaldo
|
domenica 16 ottobre 2022
|
ceci n''est pas un maigret
|
|
|
|
La lezione di Magritte non aiuta. L'opera cinematografica frequenta già la falsificazione, parte spesso da idee confuse, prende partito viscerale. Meglio nel presente caso attenersi al criterio saggio e concreto di Paola Casella che ci vede tre "ispiratori". Direi la coabitazione coatta di tre anime diverse che non possono che becchettarsi, ciò che in politica suscita angosce ma che al film offre un discorso variegato e, soprattutto, lo affranca da manierismi e prevedibilità.
Patrice Leconte. Finge di rioccuparsene (sul Commissario aveva "già dato") ma se ne frega. Fa un film per conto suo. S'intrattiene in piacevoli morbosità, veste e traveste i suoi tipetti, immerge in uno sfumato onirico un accurato e mai lezioso vintage.
[+]
La lezione di Magritte non aiuta. L'opera cinematografica frequenta già la falsificazione, parte spesso da idee confuse, prende partito viscerale. Meglio nel presente caso attenersi al criterio saggio e concreto di Paola Casella che ci vede tre "ispiratori". Direi la coabitazione coatta di tre anime diverse che non possono che becchettarsi, ciò che in politica suscita angosce ma che al film offre un discorso variegato e, soprattutto, lo affranca da manierismi e prevedibilità.
Patrice Leconte. Finge di rioccuparsene (sul Commissario aveva "già dato") ma se ne frega. Fa un film per conto suo. S'intrattiene in piacevoli morbosità, veste e traveste i suoi tipetti, immerge in uno sfumato onirico un accurato e mai lezioso vintage.
Simenon, inevitabile, affiora. Non si possono scansare le notazioni d'obbligo. L'inclinazione di Maigret per i nettari di Francia, per le sue pietanze (opinabile quel fricandò di lepre, omessa, in quanto oggi dieteticamente scorretta, la sua vera debolezza, il cassoulet). Ovviamente si dà spazio all'infantile libido orale e al dramma che deriva dall'astinenza, quella di succhiare una pipa.
La scelta del soggetto, "la giovane morta" dice di più. Dal film: nell'intrecciare al dito una ciocca di capelli si legge una vita, s'indovina il destino di chi, ingenua e speranzosa, si perde nella città tentacolare e pervertita. Così si "guarda", si fruga nel vissuto, nel sofferto del "mostruoso" romanziere il quale avrà pure ricavato qualche competenza da quelle vantate diecimila vittime del suo sopruso maschilista.
Dépardieu. Certo, fu lui a chiedere, a voler fare Maigret. Leconte lo ha accontetato, anzi lo ha fatto contento e gabbato. Effettua una specie di "sublimazione", un fatto che avviene in chimica, in fisica. Lo fa passare dall'ingombrante corporeità dell'obeso che si trascina stanco alla leggerezza di una silhouette o, meglio, di un'impalpabile sagoma nerastra. Per farlo svanire in una stradina deserta, nella dissolvenza di un ectoplasma.
Può finire un poliziesco così?
P.S. Doveroso ricordare che a Gérard vogliamo tutti bene. Senza malizia ma per puro intrattenimento accenno ad alcune sue peculiarità "umane". Proprietario di un ristorante di lusso, a Parigi, portava la sua congrega a mangiare alle Halles, Au Pied de Cochon. Bazzicò l'Islam. In una comparsa in TV fece un personaggio, quello sì eccessivo, che per una casuale assonanza gli fece conferire, solennemente, un passaporto di cui oggi non può menar vanto.
Renitenza al fisco. Abbracciatelo, "tiene un cuore italiano".
[-]
|
|
[+] lascia un commento a maramaldo »
[ - ] lascia un commento a maramaldo »
|
|
d'accordo? |
|
eugenio
|
sabato 21 gennaio 2023
|
l’omaggio a simenon di leconte
|
|
|
|
Ondivago, sapido di cinismo ma pregnante, capace di vivere grazie soprattutto al physique du role di Depardieu questo omaggio accorato di Patrice Leconte a Maigret. Un Maigret stanco, intristito, a tratti malato (a cui il dottore leva la pipa per una non meglio precisata malattia polmonare), ma vero. Un Maigret che beve vino bianco perché “il caso così come è iniziato, deve finire” e che di poche parole intuisce e ragione senza darlo a vedere. Un Maigret insomma, Maigret.
Caso oscuro, summa in realtà di tanti casi investigativi vagamente ispirati a "Maigret e la giovane morta", con al centro l’uccisione violenta di una giovane senza nome ritrovata in strada.
[+]
Ondivago, sapido di cinismo ma pregnante, capace di vivere grazie soprattutto al physique du role di Depardieu questo omaggio accorato di Patrice Leconte a Maigret. Un Maigret stanco, intristito, a tratti malato (a cui il dottore leva la pipa per una non meglio precisata malattia polmonare), ma vero. Un Maigret che beve vino bianco perché “il caso così come è iniziato, deve finire” e che di poche parole intuisce e ragione senza darlo a vedere. Un Maigret insomma, Maigret.
Caso oscuro, summa in realtà di tanti casi investigativi vagamente ispirati a "Maigret e la giovane morta", con al centro l’uccisione violenta di una giovane senza nome ritrovata in strada. Caso “pretesto” per deviazioni di vario genere, non ultimo il contesto sociale di una metropoli oscura come Parigi, dalle molte ombre imborghesite dietro sfavillanti matrimoni d’essai ma nel quale oltre al cinismo pare sopravvivere quel delicato sentimento di affezione e solidarietà che caratterizza il corpulento commissario nel suo vagar appesantito tra i meandri della Senna.
L’ingombrante Depardieu occupa la macchina da presa nella cristalleria della fragilità umana, attento a non fare più danni di quanti non sia strettamente necessario fare, perché sa benissimo quanto sia difficile mettere assieme i cocci quando si va in pezzi. Un’esistenza spezzata come quella della ragazza senza nome, come quella di una figlia, sua, che non c'è più, e che è paventata nello specchio di un’altra giovane donna che il commissario incontrerà (per caso?) e che salverà riportandola al giusto nido.
Storia semplice, insomma, ma poco importa perché in questo Maigret non c’è la dolorosa caducità umana che caratterizza un Rocco Schiavone di Manzini. Non c’è mai un segno di intolleranza nei confronti delle istituzioni da lui rappresentate, mai la condanna giustizialista o moralista delle storture di una ricchezza che cerca di sotterrare sotto le gonne delle starlette o di puttane da quattro soldi tutto il suo marciume. No, c’è semplicemente la lucida accettazione unita all’amara consapevolezza della virtù umana, che pare dissolversi in una maturità mai goduta. E forse per questo ineluttabile.
Maigret è un film fatto di sguardi, ombre, e perché no, abbozzati sorrisi (come nello sketch della pipa), anomalo di questi tempi forieri alla grande produzione di massa odierna che si prende il gusto autorizzato di fare del bene, con la leggerezza di una burbera smorfia e nulla più.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a eugenio »
[ - ] lascia un commento a eugenio »
|
|
d'accordo? |
|
|