casomai21
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giovedì 8 ottobre 2020
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quante attese nel deserto
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Per chi ha visto "Il deserto dei Tartari" di Valerio Zurlini il paragone è improponibile, in quel film il cast era davvero stellare, analogamente i doppiatori di una generazione di attori formidabili della storia del nostro cinema.
Quei soldati sono l'immagine di un decadente impero austroungarico, che ai confini del mondo civile si confrontano con un ambiente ostile , polveroso e misterioso, con un nemico sconosciuto e con strategie dai tempi indefiniti.Per degli occidentali l'attesa diventa insopportabile, soprattutto nell'nterpretazione dei segnali di un attacco per nulla imminente e nel desiderio di fare il loro mestiere di soldati.
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Per chi ha visto "Il deserto dei Tartari" di Valerio Zurlini il paragone è improponibile, in quel film il cast era davvero stellare, analogamente i doppiatori di una generazione di attori formidabili della storia del nostro cinema.
Quei soldati sono l'immagine di un decadente impero austroungarico, che ai confini del mondo civile si confrontano con un ambiente ostile , polveroso e misterioso, con un nemico sconosciuto e con strategie dai tempi indefiniti.Per degli occidentali l'attesa diventa insopportabile, soprattutto nell'nterpretazione dei segnali di un attacco per nulla imminente e nel desiderio di fare il loro mestiere di soldati. Le scene iniziali furono girate in Alto Adige, per avere come sfondo l'architettura ottocentesca austriaca, le seguenti in un fortezza in Iran, distrutta da un sisma nel 2003.In entrambi i film è protagonista vero il deserto, che condiziona gli spostamenti e rappresenta l'incompiuta civilizzazione di questi luoghi.In quest'ultimo film mostra la sua forza nella scena della tempesta di sabbia che terrorizza i cavalli oscura ogni cosa ed isola il forte dalle comunicazioni e dai pericoli di improvvise ribellioni di un popolo sottomesso. Il protagonista del film, nonostante le accuse di complottare col nemico, esprime quella umanità e desiderio di legalità caratteristica di ogni uomo giusto. Subisce il martirio della tortura e del pubblico ludibrio, solo per essersi infatuato di una donna barbara e aver alleviato le pene dei ribelli incarcerati. Gli attori ciascuno nel suo ruolo
interpretano magistralmente la loro immagine di spietatezza, di connivenza col più forte o di rara umanità. Tra le note il film sottolinea che una presenza militare in un luogo porta all'impoverimento degli abitanti, esposti a saccheggi di cibo, cavalli, quale unico mezzo per spostarsi ed al rapimento di donne da far prostituire sia in tempi di vittoria che di sconfitta. Greta Scacchi ha un ruolo marginale nella Storia e rappresenta una figura rassicurante, mentre Johnny Depp con la sua professionalità interpreta bene il ruolo dell'inesorabile giustiziere militare privo di scrupoli,pur di arrivare allo scopo, ma anche dello sconfitto che credeva di aver compreso l'entità della resistenza di un popolo sconosciuto. Le torture subite dal protagonista, la lavanda dei piedi e il viaggio nel deserto hanno un chiaro richiamo evangelico, ma il protagonista da onesto silenzioso funzionario di un esercito invasore non è certamente un missionario
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felicity
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martedì 23 marzo 2021
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storia universale sul rapporto con lo straniero
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Waiting for the Barbarians è una storia universale, il racconto metaforico di un rapporto millenario.
Da un lato noi, l’occidente, forte della nostra presunzione fragile di essere i detentori della Civiltà, della vera Religione, della giusta Morale. Dall’altro c’è l’Alieno, il Barbaro, quello che, nel migliore dei casi, è un eccentrico personaggio da sfruttare, nel peggiore, un pericolo da annientare.
Il film di Ciro Guerra, pur ambientato in un tempo improprio che unisce elementi medioevali a sapori ottocenteschi, vuole ribadire la propria atemporalità, in un’esposizione “contraddittoria” che è, allo stesso tempo, saggio storico e storia d’attualità.
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Waiting for the Barbarians è una storia universale, il racconto metaforico di un rapporto millenario.
Da un lato noi, l’occidente, forte della nostra presunzione fragile di essere i detentori della Civiltà, della vera Religione, della giusta Morale. Dall’altro c’è l’Alieno, il Barbaro, quello che, nel migliore dei casi, è un eccentrico personaggio da sfruttare, nel peggiore, un pericolo da annientare.
Il film di Ciro Guerra, pur ambientato in un tempo improprio che unisce elementi medioevali a sapori ottocenteschi, vuole ribadire la propria atemporalità, in un’esposizione “contraddittoria” che è, allo stesso tempo, saggio storico e storia d’attualità.
Waiting for the Barbarians potrebbe essere ambientato il giorno prima della Caduta dell’impero romano, nel pieno della conquista del West o a Lampedusa dei nostri giorni. Il peso del suo messaggio rimarrebbe identico.
Guerra si pone al centro dei deliri paranoici e dell’ambizione famelica di una società, la nostra, che dietro ad alibi ottusi perde inesorabile la propria umanità e accentua il lato metaforico del romanzo per comporre un quieto ma incisivo pamphlet sul senso del razzismo contemporaneo e i rigurgiti colonialisti della nostra società.
È soprattutto interessante e originale il lavoro di descrizione del protagonista: un baluardo di ragionevolezza contro la scomposta violenza del potere, contro il bisogno disperato di ogni governo – qui ritratto nel suo braccio armato – di costruirsi un nemico ad hoc, costruendo attorno a esso una propaganda, contro la voglia di costruire sempre nuovi muri e nuovi confini.
Eppure, il magistrato dello splendido Mark Rylance fa parte dello stesso sistema di dominio razziale, seppure ne mostra il lato “buono”: tutta l’emozionante parte centrale, che descrive il rapporto con la barbara sfregiata dagli interrogatori dell’esercito, sancisce la distanza tra i mondi che collidono, mette alla berlina il modo in cui funziona il senso di colpa, basato sul paternalismo peloso anziché sulla comprensione.
Più ieratico rispetto al testo scritto, il film può lasciare perplessi proprio per le sue scelte di ritmo, per il suo andamento cadenzato e anche per qualche tocco più goffo con cui si evidenza una difficoltà di Guerra a interagire con una produzione più grande, con i modi e le strutture del cinema d’autore tradizionale.
Però, nell’uso di un set metafisico, nella capacità di mettere in scena i gesti del suo protagonista e di dar loro un senso, nel modo di mettere in scena gli spazi e i luoghi, Waiting for the Barbarians resta un film affascinante e a suo modo compiuto, più intimo e personale di ciò che appare al primo sguardo.
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