L'anno che verrà

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Un film di Mehdi Idir, Grand Corps Malade. Con Bakary Diombera, Adèle Galloy, Zita Hanrot, Alban Ivanov.
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Titolo originale La Vie Scolaire. Commedia, - Francia 2019. - Movies Inspired uscita giovedì 9 luglio 2020. MYMONETRO L'anno che verrà * * * 1/2 - valutazione media: 3,50 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un anno nella banlieue francese Valutazione 3 stelle su cinque

di Eugenio


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lunedì 5 ottobre 2020

Ci sono film che pongono l’accento sull’abusato clichè della realtà scolastica, crogiolo di culture e melting pot in una società sempre più “globalizzata”; film con una meta, un obiettivo, una ricerca che possa dare allo spettatore elementi di riflessione.
E poi ci sono pellicole come L’anno che verrà di Mehdi Idir e Grand Corps Malade che non hanno pretese pedagogiche quanto la semplice disamina di una routine quotidiana scolastica annuale.
Il luogo è importante: una banlieue, uno dei sobborghi più degradati della periferia parigina di Saint Denis in Francia. Quartiere multietnico come ce ne sono diversi a distanza di pochi chilometri da Milano, dal centro, dall’elite, dal professionismo imperante. In periferia, tutto appare sfumato, i contorni assumono caratteri spigolosi, il ruolo del docente assurge spesso a psicologo al confronto con realtà popolari, in cui l’affetto è frammentato, in cui la lezione spesso scade in un rapporto dialogico, una trattativa con la realtà familiare dell’alunno per “trovare un accordo” anche su un vetro rotto dall’allievo colto sul fatto.
Lo sa bene Samia (Zita Hanrot), una giovane vice-preside che si trasferisce (più per necessità che per vocazione) da un paesino di provincia, Ardèche che dovrà affrontare diversi problemi in un nuovo contesto, non solo la vitalità di alcuni studenti, diciamo così, troppo “esuberanti” -per usare un eufemismo- ma soprattutto, la delicata situazione personale. Parimenti, lo specchio critico della donna è Yanis (Liam Pierron), giovane vivace e intelligente, ma dalla situazione familiare non promettente e dal carattere insolente. Nascerà una velata affezione che renderà quell’anno scolastico, indimenticabile.
Samia e in generale il corpo docente, rappresentano il corpo e l’anima, l’imprimatur, della futura formazione di giovani studenti delle medie (età scelta non a caso dai registi, forse perché più critica dal punto di vista dell’evoluzione psicologica dei ragazzini non più bambini e nemmeno adulti). Un corpo docente, figlio di quegli anni ’70 che hanno tentato di ribellarsi all’ordine precostituito senza riuscirci, che tentano di comunicare con quegli allievi, stabilendo una tolleranza linguistica prima che umanitaria ma subendo, per converso, la frustrazione dell’incomunicabilità e della rassegnazione di gavettoni, colpiti appunto alla dignità da studenti riottosi, dalle critiche.
Eppure sta proprio qui la crisi della scuola oggi, tradotto nel volto smarrito di Samia. Da un lato allievi spesso ostili, figli di immigrati nordafricani, arabi, polacchi o indiani, che cercano di nascondere la loro fragilità dietro atti di tracotanza, rassegnazione e bullismo; dall’altro i problemi familiari che si posano come macigno sulla pelle di questi giovani, influenzandone il carattere e soprattutto la condotta scolastica.
La frustrazione della giovane Samia nasce dalla difficoltà di “parlare chiaro” agli studenti e, soprattutto ai rispettivi genitori e colleghi del corpo docente prediligendo a punizioni spesso inutili che fanno uso di un linguaggio desueto, le tranche de vie di un confronto, oltre la semplice ora di lezione.
Il mestiere del docente è l’esaltazione della bellezza della storia, della poesia, dell’arte, il mestiere di vivere per dirla come Pavese, insomma che tradotto da una logica di pura “pedagogia”, dà discredito alla barriera linguistica e crolla su se stesso come castello di carte.
Samia, in qualche modo, non ci sta e prova lo stesso a perseguire il suo obiettivo: portare fino in fondo i suoi allievi come quel complicato Yanis, senza perderne nessuno, un’impresa che lui sa già dall’inizio dell’anno scolastico, essere fallace. Ambientata in Francia non a caso, paese laico per eccellenza, simbolo dell’Illuminismo, della tolleranza e del fallimento del pensiero laico, L’anno che verrà è un crocevia di sguardi (tra cui menzione speciale va data al professore di matematica), un rapporto corale tra docenti e i studenti, un coacervo di lamentele, rimostranze, disillusioni, frustrazioni di una tradizione etnica, culturale, religiosa sullo sfondo di una “grande vetrata”, un grande albero che rappresenta il ciclo naturale della vita, tra piccoli e grandi drammi di esclusione sociale e incidenti scolastici quotidiani di giovani “apprendisti della vita”.

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